GROSSI, Tommaso
Letterato, nato a Bellano (lago di Como) da modesta famiglia il 23 gennaio 1790, laureatosi in legge a Pavia nel 1810, morto a Milano il 10 dicembre 1853. A Milano intraprese la pubblicazione di alcuni componimenti in versi dialettali, tra i più belli della letteratura milanese. Tra questi meritano speciale menzione La Prineide (1815), visione satirica diretta contro i milanesi massacratori del ministro Prina e contro l'imperatore d'Austria, che fu creduta opera di Carlo Porta e procurò all'autore qualche noia dalla polizia, e La fuggitiva, novella in ottave di argomento contemporaneo, che egli stesso tradusse poi in versi italiani, sciupandone la spontaneità. Divenuto amico del Porta, scrisse in collaborazione con lui delle sestine Per el matrimoni Verri-Borromeo, in difesa del romanticismo, e un mediocre dramma popolare, Giovanni Maria Visconti duca di Milano. Intanto, fin dal 1820, aveva pubblicato una novella italiana in ottave, Ildegonda, che ebbe presto fortuna grandissima. Incoraggiato dal buon successo, pose allora mano a un poema in ottave in quindici canti, I Lombardi alla prima crociata, con il quale - senza ch'egli ne avesse l'intenzione - parve voler gareggiare col Tasso. L'aspettazione era grande; ma quando il poema vide la luce nel 1826, se non dispiacque alla generalità dei lettori dando anche materia a un libretto d'opera musicato da G. Verdi, suscitò però una vera tempesta di critiche, che scoraggiarono il poeta. Egli allora, anche prima di pubblicare l'ultima sua novella in ottave, Ulrico e Lida (che aveva già composta, e che vide poi la luce nel 1837), pensò di mettersi per una nuova via, e nel 1831 s'accinse a scrivere un romanzo storico, Marco Visconti. A ciò dovette spingerlo l'amicizia col Manzoni, divenuta in breve tanto intima che egli fin dal 1822, era andato ad abitare in casa dell'amico, divenendo una specie di suo uomo di fiducia.
Il Marco Visconti (1834) ebbe un successo più grande e più durevole di quello di Ildegonda, tanto che ancora oggi è uno dei romanzi storici più apprezzati della letteratura italiana. Vero è che anche in esso il G. - come del resto aveva fatto nelle novelle e nel poema - in sostanza narra sempre la stessa storia: un amore infelice che termina con la morte dell'eroina; storia patetica nella quale il sentimento degenera spesso in sentimentalismo, mentre lo sfondo storico medievale appare più di una volta di maniera; e non mancano reminiscenze evidenti dei romanzi di W. Scott e specialmente poi di quello del Manzoni. Tuttavia la fortuna del libro non si può dire immeritata, per la felice rappresentazione di qualche tipo (il conte del Balzo, Lupo, Tremacoldo, ecc.) e di alcune scene (il duello rusticano, la giostra, ecc.) e anche per l'abilità con la quale è tenuto desto l'interesse del lettore. Alcuni episodî, come la morte di Arrigozzo e la romanza Rondinella pellegrina, ebbero grande popolarità.
Nel 1838 il G., ammogliatosi, lasciò la casa del Manzoni, e aprì studio di notaio. Da allora tralasciò ogni attività letteraria, eccetto qualche poesia d'occasione, come il canto in cui celebrò le Cinque giornate (1848). Durante il breve tempo in cui la città fu libera, ebbe incarichi dal governo provvisorio, e redasse l'atto con cui si proclamva il risultato del plebiscito per l'unione della Lombardia col Piemonte.
L'edizione più completa delle opere del G. è quella di Milano 1877.
Bibl.: A. Vismara, Bibliografia di T. G., Como 1881; C. Salvioni, Lettere di T. G. a C. Porta ecc., in Arch. stor. lombardo, XXXV; F. De Sanctis, La letter. ital. nel sec. XIX, Napoli 1897; G. Brognoligo, T. G., Messina 1916.