TOMMASO I D'AQUINO, CONTE DI ACERRA
Esponente di un'antica famiglia feudale di origine longobarda, acerrima nemica degli Altavilla, fedelissima degli Svevi fin dalla prima discesa di Enrico VI nell'Italia meridionale.
Gli Aquinati vivono ancora nel XIII sec. more langobardorum. Figlio di Adenolfo "de Albeto" e di Ottolina dell'Isola. Nipote di "Landulfus de A.", che tenne dapprima in servitio dal conte Gionata di Carinola i feudi di Alvito, Campoli Appennino, e la quarta parte di Aquino; fu poi feudatario in capite dei feudi di Settefrati e dell'ottava parte di Aquino.
Nel 1201 T. non ha raggiunto la maggiore età, perché non è tra i domini de A. che ottengono la restituzione dei possessi da Gualtiero di Brienne. Sposa Margherita di Ugento (m. febbraio 1250). Nel 1208 partecipa all'assalto di Sora che si è ribellata a Federico II. Nel novembre 1210, rinchiuso in Aquino con i suoi consanguinei, si oppone alle truppe di Ottone IV comandate da Diopoldo, duca di Spoleto. Il 18 marzo 1212 accoglie a Gaeta il giovane Federico, che si reca in Germania. L'anno seguente è in contrasto con il comune di Benvenuto per il possesso di un castello. In occasione dell'incoronazione romana di Federico, il 22 novembre 1220, T. è investito della contea di Acerra, che era già appartenuta alla sua famiglia, nonché dei feudi di Montella e di Nusco. Il 1o gennaio 1221 su-bentra a Landolfo "de A." nella carica di capitano e maestro giustiziere di Apulia e di Terra di Lavoro. Grava di eccessive tasse la città di Benevento, provocando l'intervento da Onorio III. Intraprende la guerra contro Tommaso da Celano (v.), l'unico conte del Regno assente all'incoronazione dell'imperatore. Dopo aver conquistato Boiano, si reca con Federico ad assediare Roccamandolfi, dove si è rifugiata la contessa di Molise Giuditta. Poiché la fortezza risulta imprendibile, l'imperatore si allontana e T. continua da solo la campagna militare. Si reca in Marsia e assedia nel corso del 1221 le fortezze di Celano, Ovindoli e Castro. Sono superstiti due documenti privati che riguardano T. dell'aprile e del settembre 1221. Nel febbraio del 1222 continua con Federico l'assedio di Roccamandolfi costringendo alla resa la contessa, che ottiene salva la vita insieme a tutto il suo seguito. In questo anno accompagna Federico all'incontro di Veroli con Onorio III. Nella primavera del 1223 segue Federico in Marsia in una nuova campagna contro il conte di Molise. È poi a Ferentino, dove l'imperatore ha un secondo incontro con Onorio III per la crociata e per definire il suo matrimonio con Iolanda di Brienne. Partito l'imperatore, collabora con Enrico di Morra, nuovo maestro giustiziere, alla definizione delle clausole del trattato di resa del conte di Celano e ne è tra i garanti per la parte imperiale. Nel marzo 1225 è a Palermo, dove sottoscrive un diploma di Federico. Nel giugno è a Foggia, dove sottoscrive un altro diploma. Negli stessi giorni, dicendosi comes Acerrarum et dominus Nusci, fa una concessione alla badessa del monastero di S. Salvatore del Goleto. È molto probabile che sia vicino a Federico anche nelle settimane successive: alla fine di luglio in occasione della sottoscrizione del trattato di San Germano; all'inizio di ottobre quando sbarca a Brindisi la promessa sposa Iolanda; il 9 novembre quando Federico celebra il suo matrimonio. Nel gennaio 1226 è al seguito dell'imperatore e sottoscrive un diploma in favore dell'Ordine teutonico. Nel marzo è a Rimini con l'imperatore, che per la Pasqua ha convocato suo figlio Enrico e i principi tedeschi a una dieta in Cremona (v.). La ribellione delle città dell'Italia centrosettentrionale costringe la corte imperiale a trascorrere la Pasqua a Rimini, dove nel palazzo dell'Arengo l'imperatore promulga la Bolla d'oro, atto di nascita dello stato autonomo dell'Ordine teutonico in Prussia (v. Teutonici). Nel luglio intraprende con Federico il viaggio di ritorno in Sicilia, dopo un breve soggiorno a Pisa. Nel marzo 1227 il nuovo pontefice Gregorio IX mostra subito di non essere debole verso Federico come il suo predecessore. La reazione dei fedelissimi esponenti della famiglia "de Aquino" è immediata. A Monte S. Giovanni Campano perseguitano il preposto di una dipendenza della Badia di Casamare, attirandosi l'ira del papa, che il 16 aprile 1227 ordina loro di presentarsi in Curia, pena la scomunica. All'inizio dell'estate, mentre Federico è impegnato nei preparativi per la partenza per la crociata, T. è inviato, con Berardo di Castagna, al Cairo presso il sultano d'Egitto per condurre le trattative relative al programmato intervento dell'imperatore in Palestina. In qualità di vicario imperiale, opera "moult bien", secondo una fonte francese contemporanea (Scandone, 1905-1909, tav. XII). In una controversia sorta tra i Templari e i saraceni, dà ragione a questi ultimi, ordina la confisca dei beni dei Templari, tra cui vi sono anche un centinaio di schiavi che l'Ordine tiene nelle sue case di Sicilia e di Calabria, che sono liberati per ordine dell'imperatore. Un messo di T. avverte Federico, che trascorre la Pasqua del 1228 a Barletta, della morte del sultano di Damasco. Nel settembre 1228, subito dopo lo sbarco di Federico in Palestina, T. si reca, con Balione di Sidone, a Nablus per informare al-Kāmil, sultano d'Egitto, dell'arrivo dell'imperatore. Nel febbraio 1229, da S. Giovanni d'Acri, comunica all'imperatore le cattive notizie che giungono dall'Italia: Giovanni di Brienne e il legato pontificio Pelagio Albano hanno attraversato il confine del Regno a capo dei clavisignati e hanno invaso l'Abruzzo e la Campania. Tra la fine di marzo e gli inizi di aprile T. si reca a Baghdad per far ratificare al califfo il trattato concluso il 18 febbraio tra Federico e al-Kāmil. Nello stesso mese di aprile sottoscrive tre diplomi imperiali, e si dice 'balio del regno gerosolimitano'. Da una lettera di Geroldo (v.), patriarca di Gerusalemme, si evince che Federico decide dapprima di lasciare T. in Oriente, poi pensa bene di non privarsi del suo prezioso aiuto. Sbarcato a Brindisi il 10 giugno 1229, T. è subito inviato a Capua, in aiuto dei filoimperiali capeggiati da Pandolfo e Roberto d'Aquino. Nell'ottobre è inviato come paciere a Sora. Al rifiuto della città di sottomettersi, le truppe imperiali la distruggono. È tra i protagonisti delle trattative che portano Federico a firmare con il papa la pace di San Germano (v.) il 28 agosto 1230. Infatti, in giugno accompagna l'imperatore a San Germano; è delegato poi a sanzionare con giuramento i patti stabiliti per la resa di Gaeta e di S. Agata, e per la pace accordata alle terre della Chiesa nel ducato e nella Marca; il 23 luglio conferma, come plenipotenziario, i patti stabiliti tra il papa e l'imperatore, per la pace ai tedeschi, toscani e regnicoli che hanno partecipato alla guerra. Nell'agosto sottoscrive un diploma imperiale a Ceprano. Segue l'imperatore a Melfi, dove, nell'estate 1231, dopo la proclamazione delle Costituzioni, sottoscrive due diplomi. Nel dicembre 1231 accompagna Federico, che si reca a Ravenna senza l'esercito, per risolvere in una dieta le questioni tedesche e lombarde. A Ravenna sottoscrive due diplomi imperiali. Nel gennaio 1232 ritorna nel Regno col titolo di capitano generale. Nell'aprile raccoglie a Melfi un forte contingente di truppe e lo invia ad Antrodoco contro Bertoldo di Spoleto. Nel luglio 1232 è nominato podestà di Cremona e contribuisce a far concludere la pace della città con Piacenza. Nel maggio 1232 Federico, regolate le questioni tedesche nella dieta di Cividale, ritorna nel Regno dopo una assenza di otto mesi. T. lo raggiunge, con il gran giustiziere Enrico di Morra, a Melfi. Resta al seguito dell'imperatore nei mesi successivi. Nell'agosto 1234 è a Rieti. Dalla primavera del 1235 a quella del 1237 Federico si reca per la seconda volta in Germania. T. resta nel Regno e fa parte del collegio di familiari imperiali che reggono il governo. Nel luglio 1236 fa una donazione alla Ss. Trinità di Venosa. È incaricato, unitamente al gran giustiziere, di fare riunire un solenne concilio a Melfi. Nel dicembre del 1236 raggiunge l'imperatore in Germania, per lasciarlo all'inizio della primavera dell'anno seguente. L'11 novembre 1237 Federico ottiene la grande vittoria di Cortenuova (v.). Mentre l'imperatore è in Lombardia, T. è incaricato dell'amministrazione del Regno, unitamente agli arcivescovi di Palermo e di Capua e al vescovo di Ravello. Nell'aprile 1238 raggiunge l'imperatore in Lombardia e partecipa prima alla grande assemblea di Verona, poi all'assedio di Brescia. Nel novembre è a Roma, presso il pontefice, come membro di una delegazione costituita anche dagli arcivescovi di Messina e di Palermo e da Ruggero Porcastrella. Insieme a quest'ultimo, nel dicembre, ritorna nel Regno. Nel 1239 gli vengono affidati i prigionieri lombardi Bonifacio Pusterla, Oldrano Staccabaroccio e il conte Goffredo de Corte. Nel giugno 1239 è nuovamente al seguito dell'imperatore a Verona, nel luglio a Bologna, poi a Pizzighettone, nel novembre e nel dicembre a Cremona. Alla fine del 1239 è al seguito dell'imperatore, che ritorna nel Regno. Il 28 da Pisa T. invia degli ordini in nome del suo signore. Il 26 gennaio 1240 è mallevadore per Federico nei confronti di alcuni mercanti romani, creditori di 400 once. Il 10 febbraio e il 15 marzo, rispettivamente da Cocaione e da Viterbo, invia due ordini imperiali. Alla fine del mese di marzo è incaricato da Federico di inviare al secreto di Messina una certa quantità "de pulvere pro destructione luporum": la storiografia ritiene che T. avesse imparato la fabbricazione della polvere da sparo in Siria. Il 1o aprile 1240 Federico gli invia una lettera in cui lo informa che, desiderando mostrare ai prigionieri lombardi le sue domus (v.) e i suoi loca solaciorum (v.), ha disposto che sia assegnato il castello di Deliceto come dimora per sua moglie, la contessa Margherita. Segue l'imperatore nel tentativo di invasione dello Stato pontificio. Nel maggio è a Orte, poi a Capua; nel luglio ad Ascoli; nell'agosto a Fermo. Mentre sono in corso le trattative tra il neoeletto Gran Maestro dell'Ordine teutonico, Corrado di Turingia, e papa Gregorio IX, T. segue Federico in Romagna, alla conquista di Ravenna, poi all'assedio di Faenza. Nel giugno 1241 è ancora con l'imperatore a Spoleto. Nel giugno 1242 ritorna in Palestina come 'baiulo del Regno gerosolimitano'. Mentre è in Terrasanta gli muore l'unico figlio che gli è rimasto, Adenolfo (III), impegnato in una missione in Ungheria. Federico lo consola, inviandogli una lettera in cui lo rassicura che farà convergere sui suoi nipoti ‒ il valletto Tommaso II (v.), il rimatore Iacopo, Tommasa ‒ i meriti che lo stesso T. e suo figlio hanno acquistato al suo servizio. Nel giugno 1248 si trova ancora nella contea di Tripoli. Muore il 27 febbraio 1251.
Fonti e Bibl.: per le sottoscrizioni di T. dei diplomi imperiali, cf., in attesa dell'ediz. Koch, quelle attualmente disponibili. Per la famiglia "de Aquino", cf. Catalogus Baronum. Commentario, a cura di E. Cuozzo, Roma 1984, §§ 1008, 1009, 836 e la bibliografia ivi citata. F. Scandone, I d'Aquino di Capua, in P. Litta, Famiglie celebri italiane, Napoli 1905-1909; F. Schneider, Tos-canische Studien, "Quellen und Forschungen aus Italienischen Archiven und Bibliotheken", 11, 1908, pp. 268-273; F. Scandone, L'alta valle del Calore, II, Palermo 1916; VII, Napoli 1970; Id., La vita, la famiglia e la patria di S. Tommaso de Aquino, estr. da S. Tommaso d'Aquino. Miscellanea storico-artistica, Roma 1924; R. Grousset, Histoire des Croisades et du Royaume franc de Jérusalem, III, Paris 1936, pp. 276, 286, 302-304, 400; E. Cuozzo, L'antroponimia aristocratica nel 'Regnum Siciliae', "Mélanges de l'École Française de Rome", 106, 1994, pp. 653-665; Id., La nobiltà dell'Italia meridionale e gli Hohenstaufen, Salerno 1995, pp. 29 ss., 94 ss.