MALVITO (de Sumalvito), Tommaso
È sconosciuta la data di nascita di questo scultore originario di Como, attivo nella seconda metà del XV secolo (Filangieri).
Dopo un probabile tirocinio nella sua terra d'origine, confermato dai caratteri stilistici e formali rilevabili nelle opere documentate, la storiografia è sostanzialmente concorde nel ritenerlo attivo a Napoli all'inizio degli anni Settanta del Quattrocento, coinvolto in alcuni importanti cantieri scultorei presso i quali erano operanti maestranze lombarde, come l'altare Miroballo a S. Giovanni a Carbonara (Causa, pp. 119 s.; Abbate, 1992, p. 16) e la Tomba di Diomede Carafa a S. Domenico Maggiore (Morisani, 1941, p. 8; Causa, pp. 118-120).
In un documento del 4 genn. 1479 è citato presso il cantiere della cappella di S. Lazzaro nella cattedrale di Marsiglia come aiuto di Francesco Laurana, che ne fu il direttore fino al 1481 (Barthélemy, pp. 634 s.). Al M. è stata riferita la decorazione di archi e pilastri (ibid., p. 637; Robin, pp. 253 s.), mentre più dibattuta è l'attribuzione del S. Lazzaro sul trono (Muñoz, pp. 59 s.; Kruft, pp. 195 s.). Il 14 maggio 1483 risulta essere ancora nella città francese insieme con il maestro, avendo fatto ricorso per non essere stato pagato per tali lavori (Barthélemy, p. 633).
Nel 1484 il M. è documentato a Napoli, dove svolse la sua successiva attività. Il 25 febbraio gli fu infatti commissionato, in società con lo scultore Francesco da Milano, il sepolcro per Maria Francesca Orsini, superiora del monastero di S. Sebastiano, da collocarsi nell'omonima chiesa (Filangieri, III, pp. 82 s.). L'opera, di cui non rimangono tracce, potrebbe non essere mai stata compiuta dai due artisti (ibid., p. 81; Muñoz, pp. 61 s.; Abbate, 1992, pp. 27 s.).
La critica è d'accordo nell'attriburgli la Tomba di Francesco Carafa in S. Domenico Maggiore, datata al 1487 secondo un'iscrizione e in base a confronti stilistici con le opere da lui successivamente eseguite e ascritte con certezza al suo catalogo (Burger, p. 147; Causa, p. 120; Abbate, 1992, pp. 42 s.).
Dalla fine del decennio i documenti registrano un intensificarsi della sua produzione artistica, in gran parte perduta. Non si ha infatti traccia del sepolcro marmoreo commissionatogli il 25 marzo 1489 da Bernardino Poderico destinato a S. Lorenzo Maggiore (Filangieri, VI, p. 474), né della cappella Ricco in S. Pietro ad Aram documentata da un pagamento del 3 maggio 1491 (Id., III, p. 83). Il 27 ottobre dello stesso anno il M., associato al toscano Lorenzo da Pietrasanta, stipulò un contratto per il perduto Sepolcro di Galeotto Pagano per la chiesa di S. Pietro Martire (Id., VI, p. 474).
Sempre nel 1491 il M. eseguì la Tomba del giureconsulto Antonio D'Alessandro nella chiesa di Monteoliveto, la più antica delle opere conservate che gli può essere riferita con certezza. Il complesso è citato nel contratto stipulato dal M. nel 1506 per il perduto Sepolcro di Galeazzo Caracciolo da destinarsi alla chiesa di S. Maria Donnaregina (Id., III, pp. 92 s.) ed è menzionato come modello insieme con il Monumento sepolcrale di Giovan Paolo Vassallo vescovo d'Aversa realizzato sempre per la chiesa di Monteoliveto, di cui rimane solo la figura del defunto (Muñoz, pp. 92 s.).
Il Monumento D'Alessandro fu realizzato secondo i prototipi toscani di tomba a parete, dove l'effigie del defunto disteso sul sarcofago è inquadrata da un'arcata sostenuta da paraste (ibid., pp. 90-92). A livello stilistico, la maniera del M. rivela molteplici caratteri che richiamano Laurana, soprattutto nella definizione dei visi. Una certa debolezza si evidenzia invece nel trattamento delle figure umane, che, soprattutto nei rilievi, sembrano essere prive di consistenza, quasi fossero sbalzate su lastra di metallo, secondo i modi di altri scultori lombardi attivi a Napoli in quegli anni, come Jacopo della Pila.
Entro l'ottobre del 1492 eseguì il perduto Monumento sepolcrale di Bernardino Mormile per la chiesa di S. Maria in Cosmodin o di Portanova, su commissione del fratello del defunto Nardo arcivescovo di Sorrento (Filangieri, IV, p. 38), il quale nello stesso anno promosse la ristrutturazione dell'interno della cattedrale di cui era titolare secondo un modello sempre del M. (ibid., p. 37).
Il 2 genn. 1497 il M. stipulò un contratto con Gerolamo de Angelis per un tabernacolo di cui non si conosce la destinazione (Id., III, pp. 86 s.); mentre il 3 marzo s'impegnò con la badessa del monastero di S. Patrizia a decorare una cappella con otto figure in marmo, anch'esse perdute (ibid., pp. 598 s.). Gli è stato inoltre attribuito il Sepolcro di Sante Vitaliano e di Ippolita Imparato nel chiostro di S. Maria la Nova, recante un'iscrizione sempre del 1497, che fu però probabilmente completato dal figlio Giovan Tommaso (Morisani, 1941, p. 18; Abbate, 1992, pp. 71 s.).
La definitiva affermazione del M. nell'ambito della produzione scultorea partenopea avvenne con la direzione del cantiere del succorpo del duomo di Napoli.
Collocato al di sotto dell'area presbiteriale e celebrato dai contemporanei come la "reina di tucte le cappelle", fu realizzato tra l'ottobre del 1497 e il 1508 per volere del cardinale Oliviero Carafa, al fine di contenere le reliquie di s. Gennaro e la sepoltura dello stesso porporato. Se non esistono documenti che permettano di riferire con certezza al M. la paternità del progetto architettonico (Norman, pp. 353 s.), non sussistono dubbi nel riferirgli la regia della vasta decorazione marmorea che si sviluppa lungo le pareti e il soffitto, come si evince dalla Cronaca del 1503-05 composta dal frate di S. Lorenzo Maggiore Bernardino Siciliano, che si dice testimone oculare dei lavori (Miola; Strazzullo). Ulteriori conferme sono fornite dalla celebre lettera del cardinale Pietro Summonte, nonché dal contratto per un altare del 1504 in cui viene esplicitamente richiesto al M. di replicare alcuni ornamenti da lui eseguiti nel succorpo. Tale impresa ha contribuito a definire il M. come artista che eccelse soprattutto nell'ambito della decorazione a grottesche. Le pareti sono infatti articolate da paraste ornate con candelabre di estrema delicatezza e fantasia nell'intaglio, alcune delle quali messe in relazione ad analoghi esempi realizzati da Andrea Bregno a Roma (Abbate, 1981). La rappresentazione della figura umana viene invece relegata al soffitto, che presenta riquadri con la Madonna col Bambino e busti di santi, di più debole esecuzione.
Grazie all'apporto di una vasta bottega, che, come ricorda lo stesso Summonte, affiancò il M. anche per i lavori del succorpo, l'artista poté far fronte ad altre numerose commissioni. Nell'agosto 1498, promise infatti alle monache di S. Gregorio Armeno un tabernacolo "con gli stessi lavori e figure, e della dimensione di mezzo palmo in più di quello della chiesa di S. Maria delle Grazie" di cui si sono pure perse le tracce (Filangieri, IV, p. 173).
Il poeta Antonio Tebaldeo, in alcuni sonetti del 1499 celebrò l'abilità ritrattistica del M., riferendo di una statua che gli fu commissionata dal medico nolano Ambrogio Leone per conservare il ricordo dell'amata Beatrice Notari (Percopo).
Dal suo testamento redatto il 2 luglio 1508 (D'Addosio) si ricava che il M. doveva ricevere ancora parte del compenso per la decorazione delle cappelle, ora distrutte, di S. Maria del Soccorso e di Maria Brancaccio nella chiesa dell'Annunziata. Ancora per l'Annunziata nel 1500, con gli scultori Pietro Belverte e Giovanni da Nola, eseguì un portale collocato successivamente presso l'accesso al cortile dell'ospizio annesso alla chiesa. Di tale complesso all'artista è stata riferita la Madonna della Misericordia nella lunetta (Rolfs, p. 188) e i pilastri con le candelabre (Muñoz, p. 95).
Sempre nel 1500 realizzò un sedile marmoreo per Lucrezia Del Balzo destinato a S. Giovanni a Carbonara, dove è ancora conservato dopo essere stato trasformato in paliotto d'altare (Filangieri, VI, p. 475).
Nella medesima chiesa è ancora presente l'altare che eseguì per i fratelli Francesco e Vincenzo Recco. Secondo il contratto stipulato il 25 luglio 1504 il M. s'impegnò, su richiesta dei committenti, a replicarvi alcune decorazioni del succorpo e a eseguirlo delle medesime dimensioni di quello di Francesco Coronato presso l'Annunziata, ora distrutto (Id., III, pp. 89-91).
Entro il maggio del 1506 il M., con il figlio Giovan Tommaso, Marco Siciliano, Mauro d'Amato da Giffoni, Giovanni da Carrara e Protasio Crivelli, membri della sua bottega, portò a termine l'altare di Giovanni Miroballo per la chiesa di S. Francesco a Castellammare di Stabia, il quale, secondo quanto pattuito, si doveva ispirare a quello realizzato per Francesco Coronato. I frammenti di tale monumento furono successivamente collocati presso il portale e la cappella del Crocifisso della chiesa di S. Maria di Loreto a Quisiana (Speranza).
Ancora integro è invece il Monumento funebre per Mariano D'Alagno, documentato tra il novembre del 1506 e il settembre del 1507, il quale ricalca quasi completamente quello D'Alessandro (Filangieri, III, p. 599; Muñoz, pp. 90-92).
All'ultima fase dell'attività del M. sono stati ascritti anche i sepolcri di Carlo Pignatelli per S. Maria Assunta dei Pignatelli (1506-07), Bernardino Carafa in S. Domenico Maggiore ed Ettore Carafa nella medesima chiesa, completato probabilmente dal figlio Giovan Tommaso (Morisani, 1941, p. 17; Abbate, 1992, p. 71).
Dal momento della redazione del testamento, nel 1508, non si hanno notizie del M.; è probabile che la sua morte sia avvenuta non molto tempo dopo.
Fonti e Bibl.: G.B. D'Addosio, Origine, vicende storiche e progressi della Real Casa dell'Annunziata di Napoli, Napoli 1883, p. 65; L. Barthélemy, La chapelle Saint-Lazare à l'ancienne cathédrale de Marseille, in Bulletin monumental, s. 5, XII (1884), 633-635, 637; G. Filangieri, Documenti per la storia, le arti e le industrie delle provincie napoletane, III, Napoli 1885, pp. 81-100, 598 s.; IV, ibid. 1888, pp. 36-38, 148, 173; VI, ibid. 1891, pp. 474 s.; E. Percopo, Una statua di T. M. ed alcuni sonetti del Tebaldeo, in Napoli nobilissima, II (1893), pp. 10-13; A. Miola, Il "succorpo" di S. Gennaro scritto da un frate del Quattrocento, ibid., VI (1897), pp. 161-166; W. Rolfs, Neapel, II, Leipzig 1905, pp. 54 s., 57, 129, 133, 134, 188 s.; F. Burger, Francesco Laurana, Strassburg 1907, pp. 147, 151, 157, 164; A. Muñoz, T. M. da Como e suo figlio Giovan Tommaso, in Bollettino d'arte, III (1909), pp. 55-73, 83-101; P. Summonte, L'arte napoletana del Rinascimento e la lettera di Pietro Summonte a Marcantonio Michiel, a cura di F. Nicolini, Napoli 1925, p. 167; O. Morisani, Saggi sulla scultura napoletana del Cinquecento, Napoli 1941, pp. 7-14, 17; R. Causa, Contributi alla conoscenza della scultura del Quattrocento a Napoli, in Sculture lignee nella Campania (catal.), a cura di F. Bologna - R. Causa, Napoli 1950, pp. 118-121; O. Morisani, Considerazioni sui Malvito da Como, in Arte e artisti dei laghi lombardi. Atti del Convegno, Varenna, 1957, a cura E. Arslan, I, Como 1958, pp. 265-269; F. Strazzullo, La cappella Carafa del duomo di Napoli in un poemetto del primo Cinquecento, in Napoli nobilissima, s. 3, V (1966), 1, pp. 59-71; F. Abbate, Problemi della scultura napoletana del Quattrocento, in Storia di Napoli, IV, Napoli 1974, pp. 472-475; R. Pane, Il Rinascimento nell'Italia meridionale, I-II, Milano 1975-77, ad ind.; F. Abbate, Le sculture del "succorpo" di S. Gennaro e i rapporti Napoli-Roma tra Quattro e Cinquecento, in Bollettino d'arte, LXVI (1981), 11, pp. 89-108; F. Robin, La cour d'Anjou-Provence. La vie artistique sous le règne de René, Paris 1985, pp. 252-255; D. Norman, The Succorpo in the cathedral of Naples: "empress of all chapels", in Zeitschrift für Kunstgeschichte, XLIX (1986), pp. 353-356; F. Abbate, La scultura napoletana nel Cinquecento, Roma 1992, ad ind.; F. Speranza, La bottega di T. M. e l'altare di Giovanni Miroballo a Castellammare di Stabia, in Studi di storia dell'arte, III (1992), pp. 257-278; H.-W. Kruft, F. Laurana. Ein Bildhauer der Frührenaissaince, München 1995, ad ind.; Y. Ascher, T. M. and Neapolitan tomb design of the early Cinquecento, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, LXIII (2000), pp. 111-130; Id., Renaissance commemoration in Naples: the Rota chapel in S. Pietro a Maiella, in Renaissance Studies, XIV (2000), 2, pp. 190-209; I. Maietta, Scultori lombardi a Napoli tra Quattrocento e Cinquecento: aggiunte a Pietro Belverte, in Scultori e intagliatori del legno in Lombardia nel Rinascimento. Atti del Convegno( 2000, Milano 2002, pp. 85-103; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, pp. 601 s.