FERRARI, Tommaso Maria (al secolo Pier Agostino)
Nacque a Manduria (allora detta anche Casalnuovo) in provincia di Taranto, il 20 nov. 1647, dal giurista Francesco e da Vittoria Bruni; fu battezzato col nome di Pier Agostino. Ultimo di sei figli (Alfonso, Giovanni, Vincenzo, Giovanna e Anna Lucrezia), dopo i primi studi condotti sotto la guida dello zio patemo e del domenicano padre X. Troiani, entrò a quindici anni nell'Ordine di S. Domenico, presso il monastero del Ss. Rosario di Manduria, assumendo il nome Tommaso Maria. Trasferitosi a Lecce per compiere il noviziato nel convento della Ss. Annunziata, venne raggiunto, nel primb anno di soggiorno nella città pugliese, dalla notizia della morte di due fratelli, a cui faranno seguito le pressanti richieste dei genitori di ritornare nel seno familiare e di abbandonare la carriera ecclesiastica.
Opposto un deciso rifiuto a queste richieste, il F. emise, nel 1663, i propri voti religiosi e, terminata brillantemente la sua istruzione secondaria sotto il magistero di padre Giovanni Pietro Galatola, espresse ai superiori il desiderio di frequentare il corso di teologia in un convento, dove gli alunni di questa facoltà non fossero dispensati dall'esatta osservanza della disciplina claustrale. Era, questa, un'aperta manifestazione di quell'atteggiamento rigorista che segnò per intero la sua esperienza religiosa. L'arcivescovo di Otranto ottenne dai superiori del F. il permesso di farlo entrare nel convento domenicano di S. Maria della Sanità a Napoli. Qui, sotto la guida di Filippo Maria Tarantino, diede una così precoce e brillante dimostrazione della sua erudizione da essere inviato nel 1672, prima del compimento regolare della consueta ratio studiorum, a Roma, dove lo stesso generale dell'Ordine domenicano J. T. de Rocaberti e un collegio di teologi lo esaminarono lungamente per nominarlo infine lettore di filosofia e teologia.
Nel 1673 gli fu assegnata la cattedra di filosofia nel collegio di S. Tommaso di Napoli, ove ricoprì anche la carica di maestro degli studenti. Nel 1677, riunitisi a Roma i comizi generali dell'Ordine dei predicatori (occasione nella quale ognuno dei provinciali delle diverse regioni d'Europa conduceva con sé il lettore più valente della propria circoscrizione, per sostenere una pubblica disputa teologica), il provinciale di Napoli lo scelse per questa prova. In questa occasione il F. svolse gli argomenti assegnatili con tanta abilità che, per acclamazione, gli venne conferito il dottorato in teologia e il suo nome venne iscritto nel numero dei dodici maestri della sua Congregazione.
Nel 1678 il F. fu nominato baccelliere ordinario di teologia nello stesso collegio di S. Tommaso, dei quale, nel 1680, divenne moderatore delle controversie dottrinali, carica che gli sarà rinnovata allo scadere del triennio. Ma il 5 luglio 1685 il procuratore generale dell'Ordine lo nominava reggente nel convento di S. Domenico a Bologna, che in quel tempo costituiva uno dei più importanti centri di studi dell'Ordine domenicano. Durante il suo soggiorno a Bologna il F. intrattenne amichevoli rapporti con il legato pontificio Antonio Pignatelli (il futuro papa Innocenzo XII), che convinse Innocenzo XI a nominarlo, il 1º nov. 1688, maestro del Sacro Palazzo apostolico.
Grazie alla nuova, importante carica il F. intrattenne stretti rapporti con papa Innocenzo XI, il cui rigorismo in materia dottrinale (nel 1679 il pontefice aveva condannato sessantacinque proposizioni di carattere lassista, assumendo una posizione decisamente antigesuita, da alcuni considerata addirittura come filogiansenista) risultava decisamente consono al suo. In questo stesso periodo il F. si legava d'amicizia con altri importanti prelati, come Prospero Lambertini (chiamato poi al soglio pontificio, con il nome di Benedetto XIV), Girolamo Casanate, Lorenzo Casoni e con il padre teatino Giovanni Maria Tommasi, il cui atteggiamento dichiaratamente ostile alla Compagnia di Gesù gli valse all'epoca l'accusa di giansenismo. Buoni furono, in ogni caso, anche i suoi rapporti con il generale dell'Ordine gesuita Tirso Gonzalez, che, nel 1690, ricorrera proprio al F. come arbitro, per dirimere una questione di ordine teologico che lo opponeva ai suoi confratelli, a causa del suo intransigente atteggiamento antiprobabilista.
Nel triennio 1689-1692, il F. partecipava assiduamente ai lavori delle congregazioni dell'Indice e del S. Uffizio, allora vertenti sul problema dei riti cinesi, del probabilismo e del giansenismo, assumendo in ordine a quest'ultima questione un atteggiamento conciliatorio, che si concretizzò nella condanna dell'opera di L. Hennepin, Moralis pratica Iansenismi, in cui erano contenute indiscriminate accuse di giansenismo contro molti ecclesiastici, nel tentativo di difendere in tutti i modi alcuni personaggi di rilievo, tacciati dagli ambienti più conservatori della Curia romana di essere seguaci della dottrina di Giansenio: il domenicano francese Noél Alexandre, l'agostiniano italiano Enrico Noris e Pierre Codde, vicario apostolico dell'Olanda.
Il 12 ag. 1695 il F. veniva nominato cardinale prete del titolo di S. Clemente a Roma. La nuova dignità conferitagli da Innocenzo XII lo destinava ad entrare in qualità di cardinale giudicante e non più nella veste di semplice consultore in alcune tra le più importanti congregazioni: quella del S. Uffizio, dei Vescovi e regolari, dei Riti, e quella dell'Indice, di cui più tardi fu nominato Prefetto. Iniziava poi, in questo stesso periodo, un fitto carteggio del F., a sfondo diplomatico, politico-religioso e culturale, che lo legherà ai regnanti cattolici europei e ad alcuni personaggi della repubblica letteraria internazionale e che proseguirà fino alla fine della sua esistenza. Tra i suoi corrispondenti: Leopoldo I, Giuseppe I, Carlo VI d'Asburgo, Augusto, re di Polonia, Giovanni V, monarca del Portogallo, Luigi XIV e il benedettino Jean Mabillon, che dedicò al F. il suo Indiculum institutionum veterum Patrum.
Grazie alla piena fiducia accordatagli dalla Curia, il F. fu anche incaricato di seguire alcuni affari particolari, di delicata rilevanza teologica. Nel 1699 entrava a far parte, infatti, della commissione chiamata a esaminare il libro di F. Fénelon, Explication des maximes des saints sur la vie intérieure, i cuilavori terminarono, soprattutto per volere di G. Casanate e nonostante una larvata opposizione del F., con la condanna dell'opera e della dottrina teologica in essa contenuta: il quietismo. Nel 1701, faceva parte della commissione composta dai cardinali Noris, Galeazzo Marescotti, Giovanni Maria Gabrielli e Giuseppe Spinelli, riunita per studiare la compatibilità tra culto cattolico e riti cinesi. Una questione, questa, che sin dal sec. XVI aveva visto contrapporsi duramente domenicani e gesuiti: i primi, implacabili difensori dell'ortodossia cattolica anche nei suoi aspetti cultuali; i secondi, aperti ad un atteggiamento di più elastica e tattica tolleranza. I lavori di questa commissione, protrattisi per un intero triennio, e a cui il F. fornì un importante contributo con la composizione di un ponderoso manoscritto, paradigmaticamente intitolato Responsa theologica super quaestionibus de ritibus Sinicis, si concluderanno solo il 17 genn. 1704. In quella data infatti veniva emesso un decreto, che condannava come idolatri quei cattolici cinesi che si ostinassero a professare la fede cattolica con tradizioni e riti locali, il cui contenuto sarà quasi letteralmente ripreso, nel 1707, da Clemente XI nella bolla papale Ex illa die.
Nel periodo immediatamente successivo a questa data il F. si troverà coinvolto in una questione di carattere teologico di portata ancora più fondamentale. Con la bolla Universi del 15 luglio 1708 il pontefice Clemente XI aveva, infatti, condannato l'opera dell'oratoriano francese Pasquier Quesnel, Le Nouveau Testament en françois avec des réflexions morales sur chaque verset, edita per la prima volta nel 1671, con il titolo di Abrégé de la morale de l'Evangile, e poi progressivamente aumentata fino alla monumentale ristampa parigina del 1673, con l'accusa di contenere proposizioni di carattere giansenistico. Ma a qualche anno di distanza da questa disposizione Clemente XI, su pressione di alcuni dei maggiori esponenti del clero francese e dello stesso Luigi XIV, che temevano una vera e propria rinascita della teologia giansenista, dopo aver osservato che l'interdizione formale dell'opera non ne aveva arrestato la diffusione in Francia e nella stessa penisola (dove il libro di Quesnel era da molti considerato immune da ogni errore), ritenne opportuno riunire una nuova commissione che individuasse con maggiore esattezza le proposizioni da condannarsi, senza pregiudizio, per altro, della condanna dell'intero testo.
Tra i membri di questa commissione siedevano Carlo Agostino Fabroni, il famigerato "bracco delle eresie", chiamato a presiedere il gruppo dei cardinali che si riunì dal 9 febbraio all'8 ag. 1713, e lo stesso F., che, a causa delle frequenti assenze del cardinale Giovanni Battista Spada, si era trovato a detenere di fatto la presidenza vicaria del gruppo dei teologi, le cui riunioni si protrassero dal 6 luglio al 22 dic. 1712. Ma l'atteggiamento di ostilità a più riprese dimostrato dal F. nei confronti dei gesuiti (come per la questione dei riti cinesi) e di qualunque altra dottrina, come il quietismo, che potesse essere considerata come un tentativo di secolarizzazione della morale cristiana, e soprattutto la sua amicizia con ecclesiastici, quali Casanate, Noris, Tommasi, Spinelli, Giovanni Bona, Giuseppe Bianchini (in cui il desiderio di un ritorno alle origini cristiane della Chiesa sotto il segno dell'insegnamento di Agostino si configurava spesso come un sentimento di comprensione, se non addirittura di simpatia, per le esigenze moralizzatrici espresse dal movimento giansenista) rendevano estremamente delicata la posizione del F. in quella commissione.
Tra Fabroni e il F. insorsero infatti, quasi immediatamente, dei duri contrasti. All'intolleranza del primo si contrapponeva frontalmente la moderazione di giudizio di Ferrari. Questi, infatti, se tendeva a condannare risolutamente, nei suoi resoconti presentati alla commissione, tutte quelle proposizioni di Quesnel che vertevano sulle ardue questioni della grazia di Adamo e della grazia dell'uoino caduto, della differenza tra l'economia del vecchio e quella del nuovo patto, sulla operazione della fede e dei suoi rapporti con le altre virtù teologali, escludeva con convinzione il sospetto di eresia da tutte le altre proposizioni delle Réflexions morales che concernevano punti di più semplice comprensione e di più immediato interesse per i fedeli: se fosse sufficiente a rendere meritevole l'azione il movente costituito dalle pene infernali; la necessità per tutti i cristiani di leggere le Sacre Scritture;l'opportunità di differire l'assoluzione del penitente non completamente riconciliato; la possibilità di condanne ingiuste da parte della Chiesa, tali da non essere ratificate da Cristo; l'esclusione dei malvagi dalla comunione ecclesiale. Nei confronti dell'intero corpus delle proposizioni ricavate dall'opera di Quesnel il F. consigliò il non luogo a procedere per ottantasei, mentre i risultati della commissione che daranno luogo alla bolla Unigenitus dell'8 sett. 1713 ne esclusero solo cinquantaquattro, individuandone ben centouno di carattere dichiaratamente eretico.
La condanna di Quesnel contenuta nella bolla papale provocava però, soprattutto in Francia, non solo il riaccendersi delle polemiche, destinate a protrarsi per tutta la metà del sec. XVIII.I ma il loro estendersi in una cerchia sempre più vasta. La Sorbona, il Parlamento della capitale francese, ma soprattutto una maggioranza qualificata dell'assemblea del clero gallicano, capeggiata dall'arcivescovo di Parigi, Louis-Antoine de Noailles, si rifiutavano infatti di accettare i contenuti della Unigenitus, affermando che gli insegnamenti delle Réflexions erano perfettamente convergenti con quelli dei Padri della Chiesa.
Di fronte a questo rifiuto Clemente XI era costretto a riunire, nel marzo 1714, una nuova commissione, incaricata di stigmatizzare il comportamento del clero oltremontano. In essa siedevano il gesuita Gian Battista Tolomei, il cappuccino Francesco Maria Carini, il nipote del pontefice Annibale Albani e nuovamente Fabroni e il Ferrari. In questa occasione il F. si porrà nuovamente a capo dell'ala più tollerante della commissione, cercando di collaborare con i suoi colleghi per moderare la reazione del pontefice contro i vescovi dell'assemblea francese, arrivando a proporre a Clemente XI l'invio ad essi di un breve di carattere conciliatorio. Tale opera di mediazione riuscì ad impedire, anche se solo momentaneamente, nella riunione del 27 luglio 1716, una condanna formale dell'operato dell'assemblea del clero di Francia, che fu rimandata al 1718, con l'emissione della bolla Pastoralis offici.
Ma solo una decina di giorni prima di quest'ultima, effimera vittoria del partito moderato, i rapporti tra il F. e Fabroni si erano irrimediabilmente deteriorati. Nella riunione delPII luglio 1716, Fabroni era infatti arrivato a mettere pubblicamente in dubbio la sua ortodossia e ad avanzare sul suo operato un formale sospetto di eresia.
Il colpo inferto al F. da questa accusa contribuì a minare ulteriormente la sua già precaria situazione fisica, compromessa dalla gran mole di lavoro degli ultimi anni e da un duro regime di digiuni e di penitenze corporali, conducendolo alla morte, avvenuta a Roma, il 20 luglio 1716, mentre era intento a redigere un'apologia per rispondere alle accuse del Fabroni.
Fonti e Bibl.: Sui manoscritti del F. si veda Concina (1755), pp. 106-117. Sul tentativo di pubblicazione degli stessi per impulso di Passionei, si veda l'articolo di G. Bianchini apparso nelle Novelle letterarie di Firenze, del 17-24 nov. 1741, coll. 722-729 e 740-744. Per gli studi integralmente o in parte dedicati al F. si veda: D. Concina, De vita et rebus gestisp. Thomae Mariae F. O.P., R. E. Cardinalis, Romae 1755; R. Gigli, Scrittori manduriani, Lecce 1888, pp. 125-151; J. J. A. von Dollinger-F. H. Reusch, Geschichte der Moralstreitigkeiten in der römisch-katholischen Kirche, Nordlingen 1889, I, pp. 153-167; R. Coulon, Scriptores Ordinis praedicatorum, Parisiis 1912, II, pp. 241 -245; I. Taurisano, Hierarchia Ordinis praedicatorum, Romae 1916, p. 59; A. C. Jemolo, Ilgiansenismo in Italia prima della Rivoluzione, Bari 1928, p. 102; G. Arnò, Una gloria dell'Ordine domenicano nel '700. Il Card. Fr. T. M. F. da Manduria, Manduria 1942; P. M. Carcini, F.-M. Carini. Un restauratore dell'ortodossia italiana, Roma 1969, p. 269; L. Geyssens, Le cardinal Thomas Marie F., O.P. (1647-1716), victime singulière de la bulle Unigenitus, in Augustiniana, III (1987), pp. 317-358.