MATTEI, Tommaso (Tomasso)
– Figlio di Carlo e di Anna Felice Zanghe, nacque a Roma il 24 dic. 1652 nella casa-bottega del padre situata in via di Tor Millina, alle spalle della chiesa di S. Agnese in Agone.
Conosciuto come lo «spadaro del papa», il padre fu un artigiano orafo di notevole abilità al cui magistero G.L. Bernini fece ricorso in S. Pietro per nettare, indorare e limare la cattedra, il ciborio del Ss. Sacramento e la statua della Morte nella tomba di Alessandro VII. Fu proprio nella sua bottega che il M. ricevette una prima istruzione artistica, come suggeriscono il soprannome di «spadarino», a lui attribuito da Valesio, e la sua opera, connotata da eleganza formale e da una raffinata ricerca nella cura dei dettagli stilistici, che rimandano all’arte paterna.
Il M. è menzionato a margine della biografia di Carlo Fontana, scritta da Pascoli, come uno dei molti «scolari» avuti dall’architetto ticinese. Studi recenti, tuttavia, collocano la costituzione dello studio professionale di Fontana tra il 1675 e il 1677 (Bonaccorso), quando il M., ormai di venticinque-ventisette anni, aveva superato il tempo dell’alunnato didattico. Gli stretti legami di collaborazione e, forse, di amicizia tra Carlo Mattei e Bernini suggeriscono che il giovane M., al pari di molti coetanei aspiranti artisti, dovette essere introdotto presso l’atelier di quest’ultimo.
È presumibile che il M. fosse entrato in contatto con Fontana (intrattenendo con lui un iniziale rapporto di apprendistato e successivamente di collaborazione professionale) proprio nell’atelier di Bernini, dove Fontana attendeva agli incarichi del maestro relativi all’architettura.
Dal 1674 C. Fontana è documentato come architetto del duca Filippo Cesarini (Ticconi, 2004) per conto del quale sovrintese ad alcuni interventi edilizi e infrastrutturali nei feudi di Genzano e Civita Lavinia, l’odierna Lanuvio. È possibile che il M. fosse coadiutore di Fontana in tale incarico, nel quale gli subentrò tra il 1679 e il 1680, portando a termine cantieri avviati sotto il suo coordinamento progettuale e direttivo. Del resto la prima opera nota del M. è il campanile della medievale collegiata di S. Maria Maggiore a Lanuvio, ristrutturata tra il 1674 e il 1677 proprio da C. Fontana (Galieti). Del campanile si conserva un disegno donato dal M. all’Accademia di S. Luca, al momento di esservi ammesso come accademico di merito all’età di cinquantaquattro anni il 31 dic. 1706.
Sul verso del disegno si trova la notazione autografa «Disegno della prima opera fatta da me Tomasso Mattei in Civita Lavinia l’anno 1680». La sobria eleganza formale dell’architettura del campanile, il gusto per le flessioni di delicato plasticismo ricercate nel disegno delle modanature, gli effetti grafici e pittorici di superficie denotano il M. come un autore già maturo e consapevole dei propri mezzi espressivi e orientano la sua opera verso accenti di pacato ed elegante decorativismo, ponendola sull’orizzonte del Settecento ormai prossimo. Circostanza, quest’ultima, che insieme con il non ordinario impegno tecnico che la costruzione del campanile doveva richiedere, induce a ritenere come il cimento di Lanuvio sia stato preceduto da un intenso tirocinio formativo (caratterizzato dallo studio e dall’assorbimento attivo della cultura architettonica dei grandi maestri del Seicento) e professionale.
Sul M. di Lanuvio si scorge inoltre l’incidenza culturale di Carlo Rainaldi, che deve essere ritenuto il suo vero maestro e che lo introdusse definitivamente nell’ambiente della professione (Fasolo).
Eloquenti accenti rainaldeschi nell’opera del M. a Lanuvio sono nella guglia di coronamento del campanile, ispirata all’opera di Rainaldi nei campanili di S. Agnese in Agone. Ma, come rileva Fasolo, l’opera ultima di Rainaldi si orientò verso esiti di inedita inventiva che bene può essere spiegata dal contributo del giovane collaboratore, designato dal medesimo Rainaldi quale suo successore nelle committenze di maggior prestigio. Che l’ultima fase creativa del maestro potesse essere influenzata, anche in parte, dal M. è circostanza suggerita da una preziosa fontana ornamentale, oggi vistosamente manomessa, disegnata dal medesimo M. per la Comunità di Lanuvio. L’esecuzione di quest’ultima coincide, ispirandone taluni fraseggi stilistici, con l’opera di collaborazione che il M. prestò a Rainaldi nella ristrutturazione del terzo giardino segreto di villa Pinciana (1680-88), dove l’articolazione architettonica e stilistica del casino detto della Meridiana e della prospettiva verso il parco dei Daini è il frutto di una condivisione comune di idee e pensieri progettuali.
Alla morte del duca Filippo, avvenuta nel 1685, subentrò nella primogenitura di casa Cesarini la nipote Livia per conto della quale, dal 1687 e almeno fino al 1696, il M. sovrintese alla nuova espansione urbana fuori dalle mura medievali del feudo di Genzano, portando a compimento il nuovo stradone fiancheggiato da fabbriche, iniziato sotto la responsabilità di Carlo Fontana nel corso del 1675.
Il M. proseguì l’opera iniziata da Fontana consolidandone il piano degli allineamenti edilizi e progettando ogni singolo edificio. Di notevole invenzione scenica sono i due blocchi edilizi che aprono a valle la prospettiva del gran canale urbano posto a inquadrare a monte la facciata del duomo di S. Maria della Cima e a valle quella di S. Sebastiano, la cui costruzione fu iniziata nel 1647 su disegno probabilmente di Giovanni Antonio De Rossi e terminata nella facciata dal medesimo Fontana con la possibile collaborazione del M. (Ticconi, 2003-05). Gli edifici progettati dal M. per il nuovo stradone sono denotati da un disegno delle quinte sobrio e standardizzato seppur non privo di soluzioni formali e stilistiche di più alto rango; come accade nel casino di villeggiatura disegnato ed edificato intorno al 1690 per Carlo Maratti, a cui il M. era legato da stretti vincoli di amicizia, come testimoniato da G.P. Bellori nella biografia da lui dedicata all’artista marchigiano. Un’amicizia che, come nel caso della residenza di Genzano, e in altre circostanze di cui si tratterà in seguito, si tradusse anche in occasioni di collaborazione artistica.
Tra il 1682 e il 1684, dopo averlo affiancato per alcuni anni in qualità di coadiutore, sostituì Giuseppe Brusati Arcucci (altro architetto gravitante nell’orbita di Carlo Rainaldi e nipote di Camillo Arcucci e che ebbe certamente un ruolo nella formazione professionale del M.) in qualità di architetto delle famiglie Mattei e Spada Veralli.
Per i Mattei sovrintese, nel corso del 1686, al «rimodernamento» (Titi) della cappella di famiglia nella chiesa dell’Aracoeli intitolata a S. Matteo progettata da Giacomo Del Duca (1586-87), optando per un inedito, quanto originale, restauro conservativo. Sempre per i Mattei, tra il 1710 e il 1711, curò la progettazione della nuova chiesa parrocchiale del feudo di Giove, portata a compimento solo molti anni dopo la morte dell’artista da uno dei suoi allievi e collaboratori più brillanti, Francesco Ferrari che lo sostituirà pure nel ruolo di architetto degli Spada Veralli dal 1722 (Ticconi, 2003-05).
Nella chiesa di S. Maria in Montesanto, a piazza del Popolo, disegnò la cappella Montioni ultimata nel corso del 1687 (Titi). L’afflato decorativo di quest’opera del M. a giudizio di Rudolph (p. 91), «segnerà il primo Rococò romano».
Su commissione del canonico Giovanni Battista Sabatini disegnò il coro d’inverno per i canonici di S. Maria in Cosmedin, anch’esso ultimato entro il 1687; come nella cappella Montioni anche qui il M. fu coadiuvato da Carlo Maratti per la decorazione pittorica e scultorea.
L’opera che segna la piena maturità del M. è la chiesa del Miracolo a Bolsena, attigua a quella di S. Cristina, progettata nel corso del 1693 per il cardinale vescovo di Orvieto Savo Millini e compiuta nel 1699.
Nella chiesa del Miracolo, la spazialità circolare dell’aula cupolata con nartece d’ingresso, cappelle laterali e vano del presbiterio di fondo, è amplificata dalla connessione scenografica tra i diversi ambienti. Sviluppa in tal modo i riferimenti di partenza della cappella del Voto disegnata da Bernini per i Chigi nel duomo di Siena e dell’omonima chiesa del Miracolo di Carlo Rainaldi a piazza del Popolo a Roma, alla quale rimanda per il generale impianto tipologico. Nel disegno dei partiti stilistici il M. rinvia, con citazioni esplicite, ai grandi maestri della generazione appena trascorsa; è il caso dei capitelli dei semipilastri affiancati alle colonne dell’aula desunti da quelli borrominiani dell’oratorio dei filippini o degli stucchi cortoneschi che adornano gli altari delle cappelle laterali, mentre influssi rainaldeschi e berniniani si colgono nell’edicola dell’altare maggiore.
Su committenza Millini vanno riferiti al M. le chiese orvietane di S. Giuseppe (1683-85) e, quasi certamente, di S. Maria della Cava (1683), entrambe a pianta centrale, e un disegno per il nuovo ingresso del palazzo vescovile di Orvieto (1693). Non può escludersi un coinvolgimento del M. anche nel disegno della tomba del Millini in S. Maria del Popolo a Roma.
Prima della fine del Seicento per il principe Giovan Battista Borghese il M. realizzò due importanti opere: nel 1697 progettò un grande allestimento effimero a Carroceto, nei pressi di Anzio e, nel 1699, diresse una considerevole campagna di restauro degli stucchi e delle sculture del casino del Vasanzio a villa Pinciana.
L’allestimento effimero di fabbriche di Carroceto fu eretto allo scopo di ospitare papa Innocenzo XII Pignatelli e la sua corte in sosta durante il viaggio verso il porto di Anzio. L’entità dell’opera fu tale da richiedere una spesa addirittura superiore a quella occorrente per la costruzione del nuovo porto. Tra gli altri allestimenti effimeri ideati dal M. sono da segnalare il catafalco per le esequie di Carlo II in S. Giacomo degli Spagnoli e il teatro eretto all’ingresso di piazza Mignanelli, entrambi su committenza spagnola, rispettivamente nel dicembre del 1700 e nell’aprile del 1701 (Valesio).
L’attività per Giovan Battista Borghese fu molto intensa e diretta soprattutto alla cura dei feudi di famiglia situati fuori Roma. Una mole di lavoro che suggerì forse al M. di stabilire casa e studio professionale vicino al palazzo Borghese, in piazza Monte d’Oro, dove egli risulta abitare sin dal 1694 e dove dal 1703 visse con la moglie, Maria Teresa Pennagalli, sposata sul finire di quell’anno, dalla quale ebbe due figli, Carlo Francesco e Anna Maria Felice (Ticconi, 2003-05). Prima che il M. venisse sostituito nella carica di architetto di casa Borghese dall’altro suo allievo e collaboratore, Francesco De Sanctis, su suo disegno fu eretta nel 1715 la facciata della chiesa di S. Lucia della Tinta, lungo la via di Monte Brianzo.
Cospicua fu pure l’attività per gli Spada Veralli. Tra il 1691 e il 1707, a seguito di numerosi interventi di manutenzione e ristrutturazione, il M. attribuì un nuovo volto alla villa di famiglia a porta S. Pancrazio.
La ristrutturazione del casino principale culminò nella costruzione di una nuova scala centinata posta a racchiudere una fontana decorativa (ora ampiamente manomessa) – dove il motivo della grottesca e di un gruppo scultoreo composto da Bacco, Ercole, due delfini, un mascherone e un conchiglione sembrano alludere all’opera berniniana in piazza Navona – e nella fontana nel cortile di palazzo Rospigliosi a Roma. Anche all’interno di palazzo Capodiferro-Spada il M. condusse sistematiche campagne di manutenzione e rimodernamento: tra il 1698 e il 1702 sono da segnalare la ristrutturazione della cosiddetta galleria delle finestre e la costruzione di nuove stalle e rimesse di fianco alla prospettiva (Neppi) e il rimodernamento della cappella privata. Attorno al 1705 risale la facciatina dell’uccelliera, situata come fondale prospettico di una terrazza, opera emblematica dell’inflessione decorativa dell’architettura del primo Settecento romano. Su disegno del M., dietro il palazzo di famiglia in piazza Colonna, era stato pure eretto un nuovo casamento di affitto (1702).
Nel corso del 1699 il M. ampliò e ristrutturò per i Casali il casino della villa al Celio, demolito per costruire l’attuale ospedale militare. L’architettura del casino rinviava all’opera berniniana per villa Rospigliosi di Spicchio a Lamporecchio presso Pistoia e a quella di G.A. De Rossi per il palazzo D’Aste-Bonaparte a Roma. L’attività per i Capranica e i Del Grillo attende ancora di essere attentamente studiata; ma è certo che per i Capranica disegnò, nel corso del 1713, il teatro nella piazza omonima, ristrutturato nel corso dell’Ottocento.
Un capitolo assai cospicuo dell’attività professionale del M. riguarda il servizio da lui prestato per congregazioni, monasteri, conventi e ospedali.
Già coadiutore di Rainaldi dal maggio 1685 nella carica di architetto dei padri oratoriani alla chiesa Nuova, alla morte del maestro gli subentrò, affiancato inizialmente da Simon Felice Delino. Al M. (che sarà architetto dei filippini sino al 1725), spetta la direzione e, molto probabilmente, anche il disegno, dell’intera decorazione in stucco delle pareti della navata principale della chiesa Nuova, eseguita tra il 1697 e il 1701: opera nella quale Fasolo (p. 205) ravvisa «la frattura fra la l’espressione dei grandi e controllatissimi maestri barocchi e l’euforia decorativa del nascente ’700».
Al M., architetto dell’ospedale di S. Spirito per gli anni 1685, 1697, 1699 e per il periodo compreso fra il 1707 e il 1717 (Colonna), si attribuisce la nuova sistemazione della biblioteca dell’ospedale (1712-14).
Dal 1696 e fino al 1722 fu architetto della nazione degli Illirici o dei Croati, per i quali, nel corso del 1715, sovrintese ai progetti per l’ampliamento dell’ospedale, oggi non più esistente, aggiungendo un nuovo corpo di fabbrica nel lato posteriore, attiguo alla chiesa di S. Girolamo degli Schiavoni. Nel 1703 per i minimi francesi della Trinità dei Monti il M. disegnò il corpo della scala che dal chiostro conduce ai piani superiori.
Dal 1707 al 1724 il M. fu architetto del monastero delle benedettine in S. Maria della Concezione in Campo Marzio, incarico nel quale fu coadiuvato da Francesco Antonio Bufalini. Tra le opere eseguite per le benedettine sono da menzionare la ristrutturazione esterna della chiesa di S. Gregorio Nazanzieno (in collaborazione con Bufalini) e il rimodernamento di uno dei lati del chiostro.
Dal 1711 al 1713 in qualità di architetto del collegio dei nobili ecclesiastici eseguì misure e stime di immobili situati in piazza della Minerva, con la finalità di ristrutturarne e ampliarne il palazzo del quale, con ogni probabilità, curò progetto e costruzione.
L’opera di gran lunga più significativa ideata per un luogo religioso, è la «scala santa», disegnata e costruita per le suore teresiane di S. Giuseppe a Capo le Case nel corso del 1717.
All’apice della carriera, il M. venne scelto dal cardinale Tommaso Ruffo di Bagnara per avviare un’imponente opera di ristrutturazione e di rimodernamento dei luoghi maggiormente rappresentativi della sede vescovile di Ferrara, alla cui conduzione Ruffo era stato designato da Clemente XI nel maggio del 1717. Il M. fu incaricato di ristrutturare integralmente il palazzo vescovile e di rimodernare l’interno dell’attigua cattedrale gotica, proseguendo un cantiere avviato nel corso del 1712 su disegno dell’architetto ferrarese Francesco Mazzarelli. In quest’ultimo caso, però, rimane ancora di difficile precisazione il ruolo avuto dal M., al quale sarebbe da attribuire la residenza estiva del vescovo situata a Voghenza, appena fuori Ferrara. È possibile che il titolo di cavaliere di Cristo sia stato riconosciuto al M. da Clemente XI proprio in virtù dei meriti guadagnati con l’opera ferrarese.
Indubbiamente i lavori di maggiore rilevanza, sotto il profilo dei contenuti di espressione formale e di impegno tecnico, furono la ristrutturazione e l’ampliamento della vecchia sede episcopale, avviati già nel corso del 1717 e condotti almeno sino al 1725, a pochi mesi dalla morte del Mattei. L’originario edificio medievale, rimodernato nel corso del Quattrocento, fu ampliato lungo la direttrice del corso principale. La nuova ed estesa facciata (denotata da un sobrio e controllato impalcato architettonico impreziosito da quegli accenti stilistici ormai autografi dell’opera del M. e da uno squillante e sontuoso portale d’ingresso) si poneva in diretta connessione percettiva con la mole del castello estense. Nell’invenzione dello scalone d’onore situato all’interno il M. fornisce un saggio di superba destrezza scenica e stilistica, formulando uno spazio unitario a doppia altezza voltato a padiglione con specchiatura centrale a guscio, dove l’architettura è interamente assorbita entro la decorazione plastico-scultorea e pittorica, quest’ultima ottenuta attraverso le delicate tonalità a pastello e le trame rustiche delle superfici in stucco. Lo scalone del M., quanto a impianto scenico e a formule stilistiche, servì (come in generale la sua opera a Ferrara) da modello in ambiente ferrarese ed emiliano-romagnolo per tutto il Settecento.
Ritenuto tra i «primari» architetti di Roma, già dalla morte di Rainaldi deteneva la carica di architetto delle Ripe che conservò fino al 1725; mentre nel 1723 fu nominato architetto capo della Reverenda Camera apostolica subentrando allo scomparso Giovan Battista Contini del quale era stato coadiutore almeno dal 1720.
In tale veste al M. furono conferiti almeno tre prestigiosi incarichi: nel corso del 1724 gli fu commissionato (in concorrenza con altri architetti) di sviluppare i disegni ritenuti di F. Borromini per la facciata di S. Giovanni in Laterano. Pagati con la considerevole somma di 120 scudi, i progetti del M., attualmente non identificati, non ebbero seguito. Medesima fu la sorte dei disegni eseguiti dal M. nel corso del 1725, su commissione di papa Benedetto XIII, per la nuova facciata di S. Maria sopra Minerva. Nel 1724 il M. era stato incaricato dallo stesso papa di restaurare l’antica chiesa basilicale di S. Maria in Domnica: i lavori vennero compiuti entro il 1726 secondo intenti cautamente e modernamente conservativi delle preesistenze.
Il M. morì a Roma il 10 maggio 1726 e fu sepolto nella chiesa di S. Giuseppe a Capo le Case.
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