RICHERI, Tommaso Maurizio
RICHERI, Tommaso Maurizio. – Nacque il 7 gennaio 1733 a Morra (oggi La Morra) nel Cuneese, da Giuseppe, proprietario di un filatoio e di alcuni terreni, e da Francesca di Giovanni Manassero, sposata in seconde nozze. Nel 1750 si iscrisse alla facoltà di ‘leggi’ di Torino, superando il 27 aprile 1751 l’esame di baccalaureato. Negli anni successivi seguì i corsi di illustri professori, come Giovanni Francesco Arcasio e Francesco Antonio Chionio, conseguendo la laurea il 20 giugno 1754.
Tornato alla Morra, iniziò a maturare la vocazione religiosa, che lo portò a entrare, non più giovanissimo, nella Congregazione dei preti della missione, fondata da s. Vincenzo de’ Paoli nel 1625: per il suo mantenimento nell’Ordine ricevette dal padre alcuni terreni a titolo di patrimonio ecclesiastico. Il 26 agosto 1755 fu ammesso nel seminario parigino dei lazzaristi e, dopo due anni di noviziato, il 27 agosto 1757 pronunciò i voti: non ebbe mai cura d’anime, dedicandosi invece allo svolgimento di incarichi anche di rilievo all’interno dell’Ordine. Nel 1761 dovette tornare nuovamente alla Morra per esigenze familiari: il 7 settembre 1761 sarebbe morta la madre, l’11 aprile 1762 il padre. Proprio le disposizioni testamentarie paterne, dettate dalla volontà di tutelare la compattezza del patrimonio di famiglia, furono causa di delicati e duraturi contrasti tra il giurista e il fratello Ludovico Ignazio, istituito erede universale.
Nel 1765, senza rinunciare al sacerdozio, uscì definitivamente dalla Congregazione per dedicarsi più intensamente agli studi. La sua opera più significativa fu senza dubbio l’Universa civilis et criminalis jurisprudentia iuxta seriem institutionum ex naturali et romano iure deprompta et ad usus fori perpetuo accomodata (I-XII, Augustae Taurinorum 1774-1782), impostata sullo schema delle Institutiones giustinianee: i primi due tomi furono dedicati a Vittorio Amedeo III, re da appena un anno.
Con l’Universa Jurisprudentia, che pur tradiva fin dal titolo un intento pratico, Richeri intendeva collegarsi con la migliore e più aggiornata dottrina europea, citata abbondantemente in nota, con particolare attenzione a Johannes Voet, nell’ambito del filone ‘elegante’ della giurisprudenza olandese, e alla dottrina francese (Jean Domat e Robert-Joseph Pothier). Le soluzioni recentemente adottate dalla legislazione sabauda settecentesca furono da Richeri spesso poste in evidenza, con un certo orgoglio, rispetto a posizioni più tradizionali. Proprio la costante dialettica tra la dimensione internazionale e quella sabauda, tra l’impianto teorico e l’approccio casistico, tra la tradizione dottrinaria secolare e la novità legislativa principesca, fecero dell’opera un prodotto scientifico di particolare pregio, capace di incontrare al tempo stesso l’apprezzamento dei pratici.
Pur con alcune difficoltà economiche, legate ai rapporti conflittuali con il fratello in relazione alla divisione dell’eredità paterna, Richeri proseguì nella pubblicazione di altre opere importanti. Nel 1782 iniziò a dedicarsi al Codex rerum in Pedemontano Senatu aliisque supremis Patriae curiis judicatarum (I-IV, Augustae Taurinorum 1783-1786): senza dubbio più attento alla realtà giuridica sabauda, non riuscì tuttavia a raggiungere la finezza speculativa della Universa Jurisprudentia, della quale ricalcò – seppur più modestamente – l’impianto.
Con il Codex Richeri si pose in continuità con le tradizionali raccolte sabaude di pronunce giudiziarie, formalmente elevate al rango di fonti ufficiali di produzione del diritto con le Regie Costituzioni del 1729. Questa disposizione, unitamente al divieto di citare i doctores, dovette condizionare Richeri nell’adottare per il Codex una struttura più sintetica e concreta, ove i riferimenti dottrinari erano sostituiti dal rinvio alle decisioni dei tribunali sabaudi.
Nello stesso arco di tempo il giurista avviò la redazione dei Discorsi sopra i principali doveri degli ecclesiastici che possono altresì per la maggior parte esser utili ad ogni sorta di persone (I-IV, Augustae Taurinorum 1783-1786). Tra il 1787 e il 1790 pubblicò le Institutiones civilis et criminalis jurisprudentiae ad ius romanum et fori usum exactae, quibus accedit tractatus de feudis (I-VI, Augustae Taurinorum 1787-1790): non fu opera originale, limitandosi a riproporre in forma ridotta e sintetica il materiale precedentemente approfondito nell’Universa Jurisprudentia e nel Codex, con l’intento di offrire a un pubblico più eterogeneo un immediato inquadramento delle diverse materie trattate.
Nel 1790 l’Ateneo torinese nominò Richeri professore onorario di leggi civili presso la facoltà di ‘leggi’: si trattò di un titolo onorifico, senza l’assunzione di effettivi incarichi di insegnamento. Nel 1791, pochi anni prima dell’abolizione della feudalità in Piemonte, furono pubblicati i due volumi del Tractatus de feudis (Augustae Taurinorum 1791), che riuscirono a collegare lo ius commune feudorum con il diritto feudale sabaudo, e nell’anno successivo il Dictionarium juris civilis, canonici et feudalis (Augustae Taurinorum 1792).
Quasi a coronamento dell’impegno speso nell’elaborazione di opere giuridiche che, accanto a un buon impianto scientifico, si dimostrarono sensibili alle esigenze dei giuristi pratici, e grazie a una singolare rettitudine personale, nel 1793 Richeri fu ammesso all’esercizio della professione forense, peraltro preferendo sempre l’attività speculativa. La sua produzione si concluse con la pubblicazione, nel 1794, di un’opera, in sei volumi, di contenuto non giuridico, le Meditazioni per ciascun giorno dell’anno sopra le massime della cristiana morale. Accanto alla cospicua produzione scientifica e letteraria – che gli costò personalmente parecchi debiti presso le stamperie Mairesse e Reale – Richeri si dedicò altresì assiduamente a opere caritative, prendendo parte alla Pia Società di S. Luigi Gonzaga e assumendo nel 1797 la direzione della Società di S. Luigi di Borgo Po, affiliata a quella torinese, che istituì erede universale.
Morì, per idropisia, a Torino l’8 luglio 1797.
Oltre che il più importante giurista piemontese della seconda metà del Settecento, fu l’ultimo tra i più prestigiosi e apprezzati interpreti del diritto comune. Non ricoprì alcun incarico istituzionale; divenuto professore onorario, non ebbe mai rapporti effettivi con l’Ateneo torinese. Le numerose ristampe dell’Universa Jurisprudentia (Piacenza 1790-1795; Milano, 1817-1829; Torino 1824-1829; Lodi 1826-1829; Venezia 1841) e del Codex (Torino 1834-1838) dimostrano come, anche nel periodo della codificazione, l’opera di Richeri sia stata, per organicità e completezza, una delle migliori esposizioni del tardo diritto comune: con le sue ricche citazioni giurisprudenziali, costituì una fonte preziosa – anche al di fuori dell’ambiente sabaudo – per i pratici nella ricerca di precedenti significativi, richiamati peraltro all’interno di un sistematico quadro scientifico.
Fonti e Bibl.: E. Albertario, R., T.M., in Enciclopedia italiana, XXIX, Roma 1949, p. 263; G. Valla, Un giurista dell’ultimo diritto comune. Ricerche su T.M. R. (1733-1797), in Rivista di storia del diritto italiano, LV (1982), p. 180; I. Birocchi, Alla ricerca dell’ordine. Fonti e cultura giuridica nell’età moderna, Torino 2002, pp. 387-391; C. Bonzo, Dalla volontà privata alla volontà del principe. Aspetti del fedecommesso nel Piemonte sabaudo settecentesco, Torino 2007, pp. 303-313; Ead., R., T.M., in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), diretto da I. Birocchi et al., II, Bologna 2013, pp. 1688 s.; M. Bottin, Jus commune et coutumes féodales dans les États de Savoie au XVIIIe siècle d’après le Tractatus de feudis de T.M. R., in Pouvoirs et territoires dans les États de Savoie. Actes du colloque international… 2007, a cura di M. Ortolani - O. Vernier - M. Bottin, Nice 2010, pp. 449-463.