MOCENIGO, Tommaso
Nato nel 1343, morto il 4 aprile 1423. Appare per la prima volta nella storia nel 1379, alla disfatta di Pola, incaricato da Vettor Pisani di portare l'annuncio in patria; quindi è provveditore d'armata con Carlo Zeno (1381), e poi capitano generale da mar contro Bāyazīd I, salvando sulla flotta veneta il resto dell'esercito cristiano in fuga dopo la sconfitta di Nicopoli (1396). Lo troviamo poi ambasciatore presso Francesco Novello da Carrara, alla vigilia della caduta di Padova (1405), presso re Sigismondo d'Ungheria, onde distorlo dalla guerra (1410), e presso il Visconti, insieme con Antonio Contarini e Francesco Foscari, a concludere la pace, in Lodi, di dove fu richiamato per assumere il supremo governo della patria. Eletto doge (7 gennaio 1414) dopo l'autoritario Michele Steno e una conseguente maggiore restrizione delle facoltà dogali rispetto all'assemblea popolare, abolita poi del tutto alla sua morte, resse il timone dello stato con saggio equilibrio e con forza serena, lavorando per la pace e per la grandezza di Venezia, sia nei rapporti con Sigismondo sia in quelli con Filippo Maria Visconti. Rifiutò la dedizione di Ancona, per non disgustare i Malatesta di Pesaro; dopo la vittoria di Gallipoli, riportata da Pietro Loredan (1416) venne a patti con i Turchi; e perché Sigismondo non inchinava ad accordi, propose contro di lui un'azione generale d'Italia. Per mezzo di trattative col capitano di Trento e col duca Federico d'Austria, entrò nel Trentino, acquistando Rovereto. Sennonché quando Sigismondo, irriducibile, mosse guerra, stette saldo in armi e portò il dominio di Venezia, antesignana della nuovissima Italia, fino nel Goriziano, abbattendo il potere temporale dei patriarchi aquileiesi, e nella Dalmazia, ritogliendola all'Ungheria.
Fedele al programma di pace, nel suo testamento politico, di fondamentale valore per la storia economica e anche bell'esempio di eloquenza politica, dopo aver fatto un quadro delle fiorenti attività commerciali e industriali dello stato, deprecava la successione di Francesco Foscari, partigiano della guerra contro il Visconti. Contribuì col suo denaro alla ricostruzione del palazzo ducale, e il monumento nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, opera del fiorentino Lamberti e di Giovanni di Martino da Fiesole, che, con il padiglione, innestava la nuova sulla vecchia tradizione veneziana, rappresenta degnamente la grandezza di lui.
V. tav. CXVI.
Bibl.: S. Romanin, Storia di Venezia, IV; F. Stefani, in Litta, Famiglie celebri italiane, VII; H. Kretschmayr, Geschiche von Venedig, II, Gotha 1920. Cfr. anche: V. Rossi, Il Quattrocento, n. ed., Milano 1933.