MORLINO, Tommaso
– Nacque a Irsina (Matera) il 26 agosto 1925, da Giovan Battista, notaio di Avigliano (Potenza), e da Silvia Scardaccione, figlia del barone Giuseppe e sorella del senatore democristiano Decio, economista, agronomo e professore all’Università di Bari.
Figlio unico, rimasto orfano trascorse l’adolescenza prima nella casa materna di Sant’Arcangelo (Potenza) e poi a Napoli per gli studi liceali e universitari. Frequentò la facoltà di giurisprudenza formandosi alla scuola di Giuseppe Capograssi, filosofo del diritto, giudice costituzionale e fondatore dell’Unione giuristi cattolici italiani. Laureatosi nel 1946, due anni dopo entrò nei ruoli dell’Avvocatura dello Stato, dove percorse tutta la carriera, fino a diventare, nel 1951, sostituto avvocato generale. La solida preparazione giuridica fu alla base del successivo impegno politico e culturale.
Nell’immediato dopoguerra fu tra i promotori della Democrazia Cristiana (DC) a Napoli e già nel 1945 divenne dirigente nazionale dei gruppi giovanili. La sua vocazione politica non passò, come per molti cattolici di quegli anni, attraverso i circoli giovanili dell’Azione Cattolica o la Federazione universitaria cattolica italiana, ma fu il riflesso di un istintivo impegno laico e civile, arricchito dalle suggestioni di quella rivoluzione cristiana che animava in misura speciale il pensiero di Giuseppe Dossetti.
Nel 1951 in occasione di un convegno di studio del Movimento giovanile, tenuto a Merano nel settembre del 1951 (Malgeri, 1988, p. 226) – nel quale, dopo l’uscita di scena di Dossetti, annunciata dallo stesso nei convegni di Rossena del 30 agosto e del 2 settembre, si sarebbero dovute definire le nuove strategie del partito – Morlino delineò un progetto che prevedeva la costituzione di un «partito-cantiere per la edificazione, dalla disgregazione della realtà italiana, di una società comunitaria e personalistica» da affidare ai nuovi quadri della DC, quelli della «terza generazione» (Per l’azione, IV [1951], n. 2, p. 29; Per l’azione era il periodico del Movimento giovanile, cui collaboravano giovani come Franco Maria Malfatti, Leopoldo Elia, Piero Pratesi, Ugo Pesce, accomunati dalle istanze del cattolicesimo democratico e antifascista). Così proseguiva il suo ragionamento: «dopo la generazione formatasi nell’astensionismo e nell’individualismo del mondo liberale, dopo la generazione formatasi alla macchia della dittatura, questa è la prima generazione che si può sviluppare incardinata nella stessa realtà umana che domani dovrà guidare, […] che in contatto con questa realtà può darsi un metodo e sviluppare un linguaggio» (ibid., p. 32). Ha osservato Francesco Malgeri: «I primi anni Cinquanta, riflettono, nella biografia di Tommaso Morlino, la ricerca di questo spazio e di questo ruolo costruttivo della “terza generazione”. La fine dell’esperienza dossettiana, la nascita di “iniziativa democratica” nel 1951, cui Morlino aderì, l’esperienza di “terza generazione” di Baget Bozzo nel 1953, che significativamente riprese nel titolo l’indicazione che Morlino aveva enunciato due anni prima, i contatti con Balbo, Segrebondi e con il gruppo di “cultura e realtà”, testimoniano la ricerca, pur tra queste diverse posizioni politiche e culturali, di un terreno, di uno spazio costruttivo, ove potesse trovare credito la sua visione progettuale dell’impegno politico» (Malgeri, 2005, p. 296).
Maturava, intanto, la sua esperienza nel partito. Vicesegretario provinciale della DC di Potenza, nel 1954 fu eletto nel Consiglio nazionale, e un anno più tardi era a capo dell’Ufficio legislativo del ministero dell’Agricoltura, retto dal suo conterraneo Emilio Colombo. Dopo aver mancato nel 1958 l’elezione alla Camera in Basilicata, nel 1959 fu nominato presidente dell’Ente Maremma, costituito nel 1951 in seguito all’approvazione della legge di riforma agraria. In questa veste fu chiamato a rappresentare gli enti di riforma alla Conferenza nazionale del mondo rurale e dell’agricoltura convocata dal presidente del Consiglio Amintore Fanfani.
Sulla base di un impegno politico caratterizzato da una forte connotazione meridionalista che lo collegava idealmente a don Luigi Sturzo, nel discorso pronunciato all’assemblea conclusiva Morlino seppe tenere unite, come facce di un solo problema, agricoltura e Mezzogiorno: «Se l’agricoltura deve colmare un divario nei confronti dell’industria, se la campagna deve saldare il suo distacco dalla città, se il Mezzogiorno e tutte le zone agricole devono superare la loro depressione, una politica agraria strettamente intesa non può essere mai in questa fase dello sviluppo economico una politica congiunturale, ma deve essere una politica strutturale» (La via democratica dell’agricoltura, Roma 1961, p. 19); e concludeva indicando la politica di piano come il modo di governo economico e sociale della realtà nazionale: «[…] è questa l’esigenza attuale ed urgente della programmazione economica, dei piani di sviluppo economico» (ibid., p. 49).
Nel 1959 entrò a far parte della direzione centrale della DC, dove fu chiamato a dirigere l’ufficio enti locali, che tenne fino al 1964, anno nel quale assunse la vicesegreteria nazionale del partito. Il tema delle autonomie locali costituì un altro filone del suo impegno politico (cfr. Le autonomie locali nell’avanzata democratica, Roma 1962), che vide il suo coronamento quando, ministro per le Regioni, portò a compimento la legge 22 luglio 1975 n. 382 «Norme sull’ordinamento regionale» e il relativo decreto attuativo del 1977, con il trasferimento delle competenze amministrative statali alle Regioni. Con la legge 19 maggio 1976 n. 335 contribuì inoltre a definire le norme in materia di bilancio e contabilità regionale che prevedono l’adozione da parte delle Regioni di un bilancio pluriennale elaborato sulla scorta dei rispettivi programmi di sviluppo.
A commento di quella stagione, Morlino così concludeva uno dei suoi interventi al Senato: «Con le Regioni si attua il disegno della Costituzione repubblicana, si concretano gli ideali autonomistici dei cattolici democratici, si porta avanti l’unificazione della comunità nazionale, perché possa pienamente esprimere, nei tempi nuovi, il senso della sua originaria civiltà» (Discorsi parlamentari, p. 89).
Dal 1966 al 1968 diresse l’ufficio per i problemi istituzionali e l’ufficio programmi del partito. Nel 1968, pur meridionale, fu eletto senatore nel collegio di Lecco, che lo confermò in tutte le successive legislature. La prima fase dell’esperienza parlamentare, dal 1968 al 1973, coincidente con la carica di dirigente dell’ufficio programma della DC, ebbe come punto di riferimento il tema «riformare per governare» e come oggetto la continuazione del discorso sul Mezzogiorno e sull’agricoltura, accanto a quello, nuovo per Morlino, sulla scuola democratica. In relazione al Mezzogiorno non esitò a denunciare, nel 1970, il grave e drammatico rischio «che la questione meridionale potesse essere eliminata e non risolta» (Discorsi parlamentari, p. 82) e a ribadire, dieci anni dopo, il timore che potesse essere ridotta a «mero emendamento della politica economica generale» (Malgeri, 2005, p. 306).
Fin dall’intervento al Senato del 12 maggio 1970 sul disegno di legge Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle Regioni a Statuto ordinario, Morlino aveva replicato alle critiche sul fallimento della Cassa per il Mezzogiorno avanzate dal senatore Araldo di Crollalanza del Movimento sociale italiano (già ministro dei Lavori Pubblici dal 1930 al 1935): «La Cassa ha risposto alla esigenza per cui è stata creata, di mettere in comunicazione la realtà del Mezzogiorno con la restante realtà del Paese; lo squilibrio Nord-Sud non è risolto, ma la frattura tra Nord e Sud è stata superata […]» (Discorsi parlamentari, p. 82). Avvertiva, forse, l’affievolirsi della partecipazione al dibattito sui problemi del Mezzogiorno che aveva avuto come capofila due personalità per lui familiari, come Ezio Vanoni, fondatore nel 1946 dell’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (Svimez) e tra i più convinti sostenitori della Cassa, e Pasquale Saraceno, di cui nel 1969 Morlino aveva sposato la figlia Luisa, economista e del marito «valida e sensibile interlocutrice», come ebbe a definirla Ugo Pesce nella sua Introduzione ai Discorsi parlamentari (p. 12). Dall’unione nacquero due figli, Giovanni e Silvia.
La cultura riformatrice portò Morlino ad affrontare anche problemi che esulavano dai suoi interessi specifici, come quelli riguardanti la riforma universitaria, sulla quale intervenne in Senato cinque volte, tra febbraio e marzo 1971.
Nel suo intervento del 24 febbraio 1971 Morlino richiamò l’importanza per l’intero sistema politico dell’Italia democratica di «assumere una responsabilità globale» (Discorsi parlamentari, p. 118); «il punto fondamentale è quindi il riconoscimento pieno […] dell’autonomia delle Università come le principali istituzioni che possono assicurare l’autonomia della cultura […]. L’autonomia delle Università dunque è il fatto più importante, più significativo, più caratterizzante della qualificazione democratica di un sistema politico rispetto alla società» (ibid, p. 124).
Dal 1973, in meno di otto anni, fece parte di nove governi: dal 1973 al 1974 fu sottosegretario al Bilancio e programmazione nel IV e V governo Rumor; dal 1974 al 1976 ministro per le Regioni nel IV e V governo Moro; dal 1976 al 1979 ministro del Bilancio e per le Regioni nel III e IV governo Andreotti; dal 1979 al 1980 ministro di Grazia e Giustizia nel V governo Andreotti e nel I e II governo Cossiga. Come ministro del Bilancio e della programmazione economica in un momento di grave crisi si impegnò per una «ripresa senza inflazione», come osserva Leopoldo Elia nella sua Introduzione ai Discorsi parlamentari (p. 32). Predispose, quindi, un programma triennale di sviluppo guidato dall’obiettivo di minore inflazione e più occupazione, e da quello di portare il lavoro là dove risiede la popolazione. Riguardo al bilancio dello Stato sostenne anche l’utilità del nesso programma-bilancio, concorrendo in modo rilevante alla definizione delle norme trasfuse nella legge 5 agosto 1978 n. 468, tese al recupero di una guida programmata del governo dell’economia. Come ministro di Grazia e Giustizia, dedicò il suo impegno lungo alcune direttrici fondamentali, quali la ricodificazione e la formazione di appositi testi unici, lo studio di corpi giuridici organici per la regolamentazione delle realtà economiche emergenti e l’organizzazione rinnovata del sistema giudiziario.
Quantunque precocemente interrotta dalla caduta del II ministero Cossiga nell’ottobre 1980, fu questa, tra le sue esperienze ministeriali, «quella che maggiormente lo ha gratificato […] Il tempo è stato troppo breve per portare a termine queste iniziative e forse proprio l’insistenza […] sulla gravità dei reati economici ne ha determinato la sostituzione. Non essere confermato ministro della Giustizia è stata una sconfitta ed un grande dolore…» (L. Saraceno, in Tommaso Morlino a vent’anni dalla scomparsa..., 2006, p. 46).
Fin dal marzo 1959 – in occasione del dibattito aperto all’interno della DC nel Consiglio nazionale tenuto a Roma, alla Domus Mariae, che sancì la sconfitta della leadership fanfaniana, la spaccatura della corrente di Iniziativa democratica e l’elezione di Aldo Moro alla segreteria politica – Morlino aveva avviato un sodalizio politico con lo statista pugliese che, col passare degli anni, si era tradotto in un rapporto intenso e profondo. I due erano animati da comuni aspirazioni e obiettivi, pur nella specificità e autonomia delle rispettive personalità, palesatasi durante la convinta, ma sofferta, scelta regionalista rispetto alla quale Moro avanzò il timore che una eccessiva frammentazione dei poteri e delle competenze potesse nuocere all’unità dello Stato. Ad un mese dalla scomparsa di Moro, Morlino dichiarava: «il vuoto è incolmabile. Il suo magistero era totale» (Malgeri, 2005, p. 304).
Gli ultimi mesi del 1979 e i primi del 1980 lo videro impegnato nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata con la conversione in legge del d.l. 15 dicembre 1979 n. 625 concernente «Misure urgenti per la tutela dell’ordine democratico e della sicurezza pubblica». Toccò tuttavia proprio a lui dover comunicare nella seduta del 12 febbraio 1980 alla Camera dei deputati la notizia dell’uccisione del professor Vittorio Bachelet, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura.
Il 21 dicembre 1981 fu eletto vicepresidente del Senato e il 9 dicembre del 1982 ne divenne presidente. Nel discorso di insediamento riprese il tema delle riforme istituzionali, già ampiamente trattato all’Assemblea nazionale della DC del 1981, nel quale auspicava, tra l’altro, una stagione costituente, avvertendo che «molte, troppe cose, vecchie e attuali, spingono alla frantumazione e alla disgregazione» e che proprio perciò era necessario «riaffermare la pur pregiudiziale esigenza dell’unità nazionale» (Discorsi parlamentari, p. 539).
Era intento a verificare, su incarico del presidente della Repubblica Sandro Pertini, la possibilità di una ripresa del dialogo tra le forze di governo, al fine di evitare la chiusura prematura della legislatura, quando la morte lo colse a Roma, il 6 maggio 1983. Fu sepolto nel cimitero di Avigliano.
Gli interventi al Senato di Morlino sono raccolti in Discorsi parlamentari, Roma 1993, con la presentazione di G. Spadolini e le introduzioni di U. Pesce, La formazione di T.M., e di L. Elia, L’opera di governo di T.M. (1974-1980).
Fonti e Bibl.: F. Malgeri, Storia della Democrazia cristiana, II, De Gasperi e l’età del centrismo(1948-1954),Roma 1988, ad ind.; M.A. Rinaldi, T. M., in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia(aggiornamento 1980-1995), Torino 1997, pp. 380 s.; L. Saraceno, T. M., in Leukanikà, I (giugno-settembre 2001), 2-3, pp. 60-63; L. Elia, T. M., ibid., III (gennaio-dicembre 2003), 1-4, pp. 46-49; F. Malgeri, L’Italia democristiana. Uomini e idee del cattolicesimo democratico nell’Italia repubblicana (1943-1993), Roma 2005, pp. 293-314; T. M. a vent’anni dalla scomparsa. Commemorazione(Avigliano 15 dicembre 2003), Potenza 2006 (con interventi di: L. Elia, La figura e l’opera di T. M.; R. Coviello, Una testimonianza; G. D’Andrea, La cultura riformatrice di T. M.; L. Saraceno, Un ricordo personale).