REDI, Tommaso
REDI, Tommaso. – Figlio di Piero, impiegato alla corte granducale, e di Francesca Setti, nacque a Firenze il 22 dicembre 1665 (Firenze, Archivio dell’Opera del duomo, Registro dei battezzati maschi, 1664-65, lettera T). Le notizie sulla sua vita si ricavano principalmente da due biografi affidabili che lo conobbero personalmente: Francesco Saverio Baldinucci (Vite di artisti..., 1725-1730, 1975) e Francesco Maria Niccolò Gabburri (Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Mss., Pal. E.B.9.5., 1730-41 circa), concordi sulla maggior parte delle tappe della carriera del pittore.
Se la biografia di Baldinucci risulta più generosa per gli appigli cronologici e per la descrizione di opere, certamente fu il rapporto con Gabburri a segnare profondamente la carriera e l’opera dell’artista.
Dopo aver tentato senza passione altri mestieri, Redi iniziò a dedicarsi alla pittura intorno al 1684 con Anton Domenico Gabbiani, maestro cui fu sempre legato e con il quale condivise la prima conversione formale a un cortonismo rivisto in chiave marattesca. Nel 1690, grazie a Gabbiani, fu mandato a studiare a Roma per cinque anni, stipendiato dal granduca Cosimo III, ma volle poi prolungare a sue spese il soggiorno restandovi fino al 1700, quando il granduca lo richiamò a Firenze. Non conosciamo opere di questo periodo, ma Baldinucci scrive di un’intensa attività grafica che gli permise di mantenersi. Le lettere spedite da Roma a Gabbiani sia da Redi sia da Benedetto Luti, suo coetaneo e parimenti allievo di Gabbiani, testimoniano il sodalizio tra i due colleghi e l’entusiasmo per l’ambiente artistico romano gravitante intorno a Carlo Maratti (G.G. Bottari - S. Ticozzi, Raccolta di lettere..., 1822, pp. 72 s., 75-78, 84-86).
Entrambi residenti nel palazzo Firenze in campo Marzio, i due pittori dettero vita, insieme al veronese Antonio Balestra, a un’accademia del nudo aperta a tutti gli artisti e che di fatto costituì un seguito informale dell’Accademia fiorentina istituita a Roma da Cosimo III nel 1673 e chiusa nel 1686.
Il decennio romano fu del resto determinante per la formazione, ancorché tardiva, dell’artista, che insieme a Luti frequentò la casa e lo studio di Maratti, entrando in contatto con artisti di varia provenienza e operanti nella linea del dominante linguaggio marattesco.
Le opere realizzate dopo il ritorno a Firenze, dapprima legate al cortonismo di Gabbiani, intorno alla fine del primo decennio si alleggerirono nel disegno e nel colore, mostrando i frutti del soggiorno romano anche nell’adesione al venetismo di Balestra e di Francesco Trevisani.
Nel 1705 a Firenze Redi sposò Margherita, sorella del quadraturista Lorenzo del Moro, dalla quale ebbe almeno quattro figli. Al cognato affidò la formazione del nipote Giovanni Gaspare, figlio della sorella Giovanna, anch’ella pittrice e allieva di Gabbiani. Immatricolato all’Accademia del disegno nel 1705, partecipò regolarmente alla vita accademica (venne eletto console nel 1712, 1714, 1722, 1725) e alle mostre allestite nel chiostro della Ss. Annunziata, con opere per lo più appartenenti a Gabburri, il suo più grande estimatore e mecenate (Borroni Salvadori, 1974). Grazie alla stima e all’amicizia di quest’ultimo, Redi poté conoscere e lavorare per diplomatici, granturisti e collezionisti forestieri, come si evince anche dal carteggio del conoscitore con Pierre Crozat, John Molesworth, Anton Maria Zanetti, Pierre-Jean Mariette, entrando di fatto nella rete di scambi tra Firenze e i collezionisti e amatori europei (G.G. Bottari - S. Ticozzi, Raccolta di lettere..., cit., pp. 149-156, 262-265, 365 s.).
Come attesta Baldinucci (Vite di artisti..., cit., pp. 393-395, 397), sue opere furono mandate alle corti di Vienna, San Pietroburgo e Copenaghen; altri quadri furono inviati in dono a Madrid e Cadice; una Natività e probabilmente alcuni disegni li acquistò il pittore e collezionista scozzese John Smibert, a Firenze nel 1720; quattro dipinti di soggetto profano (pp. 394 s.) furono commissionati da un milord inglese, non necessariamente da identificare con John Molesworth (1679-1726), inviato britannico a Firenze dal 1711 al 1714, che chiese comunque a Redi, tramite Gabburri, un Bruto e un Cincinnato (non rintracciati), dichiarandosi poi insoddisfatto di certe soluzioni in alcune lettere inviate da Torino nel 1724 (G.G. Bottari - S. Ticozzi, Raccolta di lettere..., cit., pp. 156-164).
Di Redi Gabburri possedette, oltre al dipinto, non reperito, della Maddalena in casa del fariseo, molti disegni: sette sono elencati nell’inventario del 1722 (Campori, 1870), e più di sessanta in quello redatto insieme alle Vite tra il 1730 e il 1740 (Parigi, Institut Néerlandais, Fondation Custodia, Collection Frits Lugt, P. II, Inv. 2005-A.687B.2), mentre è perduto, a causa dei rifacimenti successivi, lo «sfondino» affrescato nella casa del conoscitore in via Ghibellina.
Una parte consistente della grafica di Redi è stata rintracciata piuttosto di recente (Monbeig Goguel, 1981 e 1994), e la qualità dei fogli ha confermato il giudizio dei biografi: Redi fu infatti «uno de’ più eccellenti disegnatori del suo tempo» (F.M.N. Gabburri, Vite di pittori, 1730-1741 circa, c. 2369), abile soprattutto nell’uso della penna in fogli preparatori per composizioni, per singole figure e negli studi di paesaggio, prestandosi poi alle esigenze del mercato anche come copista e disegnatore dall’antico e partecipando a importanti imprese editoriali di rilievo internazionale.
Pittore assai celebre al suo tempo, Redi è stato invece trascurato dalla storiografia moderna, che gli ha dedicato, a eccezione di un’inedita tesi di laurea (E. Colivicchi, Tommaso Redi, tesi di laurea, Università degli studi di Firenze, relatore Mina Gregori, a.a. 1979-80), interventi occasionali su singole opere. Dei numerosi dipinti citati dalle fonti ne sono stati individuati circa la metà, e per essi la cronologia è in molti casi solo ipotetica.
A Firenze, dove lavorò essenzialmente a commissioni granducali partecipando al riammodernamento promosso da Cosimo III di numerose chiese in città e nei dintorni, le prime opere documentate sono i cinque tondi dipinti (1701-02) sopra gli archi delle cappelle laterali della Ss. Annunziata, raffiguranti miracoli della santissima immagine dell’Annunziata. Intorno al 1703 dipinse per la chiesa di S. Maria a Candeli la Morte di s. Giuseppe, opera dai marcati contrasti luministici, molto lodata da Gabburri e scelta per rappresentare l’artista nell’Etruria pittrice di Marco Lastri (1795, tav. CXV). Di poco successiva è la Condanna a morte di s. Valentino nella tribuna della chiesa di S. Maria Assunta a Bientina. Documentato al 1705, il S. Benedetto risuscita un fanciullo in S. Giorgio alla Costa è un’opera dinamica e chiaroscurata, dove Redi concilia in maniera originale il cortonismo fiorentino e le novità romane. Intorno alla stessa data si collocano le tre tele, dalla composizione articolata e dai toni drammatici, per la chiesa dei Ss. Francesco e Salvatore al Monte (S. Giovanni da Capistrano, il Beato Salvatore da Orta, S. Pietro d’Alcantara).
Un cambio di registro si osserva nel Miracolo di s. Biagio (siglato «T.R.» e con un autoritratto sull’estrema destra), dipinto intorno al 1706 per la chiesa fiorentina di S. Maria sopra Portam e rintracciato in S. Giovanni in Triario a Minerbio, nel Bolognese (Winkelmann, 1995), dove il pittore abbandona i contrasti chiaroscurali e la scenica complessa a favore di un classicismo più composto e schiarito.
Accanto alle suggestioni dei maratteschi romani la critica ha messo in luce, infatti, il nuovo orientamento di Redi verso l’Emilia, in particolare verso la pittura bolognese di Giuseppe Maria Crespi e Domenico Maria Viani (Chiarini, 1990, p. 311), mentre nella grafica sono state sottolineate le affinità con lo stile di Donato Creti (Monbeig Goguel, 1981).
Di cronologia incerta anche le due tele, siglate, ai lati dell’altar maggiore della chiesa servita di Montesenario (La prima messa di s. Filippo Benizi e S. Filippo Benizi e il miracolo della sorgente), e il S. Giovanni Battista della badia del Buonsollazzo, da datare comunque intorno al 1705, quando Cosimo III fece insediare nel monastero i monaci cistercensi ristrutturando l’intero complesso.
Se sono perduti gli affreschi per S. Verdiana (sette lunette con i miracoli della santa) e quelli eseguiti intorno al 1708 nel monastero di S. Maria a Rosano (dove restano, tuttavia, le tele con l’Annunciazione, S. Benedetto e S. Scolastica), è riemerso l’affresco con l’Allegoria dell’astronomia, ricordato dai biografi nella casa di Raffaello Nardi e databile intorno al 1710 (Bellesi, 1991), e si conoscono le più tarde e modeste lunette (Buon Pastore e Cristo nel deserto servito dagli angeli) affrescate nella certosa del Galluzzo (1716-17).
Attorno al 1710 si collocano gli interventi nella chiesa di S. Pietro d’Alcantara presso la villa medicea dell’Ambrogiana (due ovali su tela con S. Giuseppe e l’Arcangelo Gabriele e la lunetta con la Trinità) e l’Immacolata Concezione, firmata, della chiesa della Ss. Annunziata di Pistoia.
Tra le opere più note di Redi, il Ritorno dalla fuga in Egitto, sul terzo altare destro della chiesa di S. Firenze, pagato nel 1715 (Archivio di Stato di Firenze, Conventi soppressi, 136, n. 62, c. 265), è di nuovo testimone di una maniera più luminosa e addolcita rispetto agli accenti drammatici delle opere precedenti, che ricorda gli esiti romani di Luti e propone una variante più moderna alla pittura di Gabbiani.
Il dipinto, infatti, confrontato con gli altri che andarono a ornare la chiesa negli stessi anni, conferma Redi come il più originale e forse il più nobile degli interpreti fiorentini del nuovo classicismo di estrazione romana.
Negli anni Venti l’attività di Redi subì un rallentamento, ma i biografi ricordano che tra il 1717 e il 1719 egli ebbe quattro allievi russi (Ivan e Roman Nikitin, Teodor Cerkassov, Michail Sacharov), inviati a Firenze dallo zar Pietro I.
L’esito di questo alunnato gli procurò l’invito a recarsi in Russia come professore all’Accademia di San Pietroburgo, opportunità cui il pittore credette per qualche tempo, ma che si rivelò invece foriera di amarezza: alla vicenda posero fine la morte di Cosimo III e quella dello zar (1723 e 1725). Delle tre tele inviate in Russia da Redi si è rinvenuta solo la Cena in Emmaus del Museo di Palazzo Pavlovsk (Androssov, 1995), mentre di una Consegna delle chiavi offre testimonianza un disegno del Louvre appartenuto a Gabburri (Monbeig Goguel, 1981, pp. 230 s.).
Tra le opere estreme citate dai biografi, oltre all’Annunciazione dipinta nel 1718 per il soffitto della basilica di S. Maria dell’Impruneta (e distrutta nell’ultima guerra), sono da ricordare i già citati «quattro gran quadri storiati, due presi dalla storia romana e due dalla greca», ovvero episodi riguardanti Cincinnato, Scipione Africano, Olimpiade e Semiramide, dipinti per un committente inglese e descritti da Baldinucci. Di questi, solo la tela con Semiramide riceve l’annuncio dell’insurrezione a Babilonia è stata rintracciata in collezione privata (Bellesi, 2000).
Non venne mai meno in Redi l’impegno di copista per alcuni gentiluomini inglesi, come testimonia la partecipazione all’edizione del De Etruria Regali di Thomas Dempster, voluta da Thomas Coke e stampata a Firenze tra il 1723 e il 1724. Provvisto di un elenco dei materiali etruschi presenti in ciascuna collezione approntato da Filippo Buonarroti, Redi si recò, tra il marzo e l’agosto del 1720, a Chiusi, Cortona, Arezzo, Siena e Perugia, per realizzare i disegni da cui trarre i rami per la stampa (compreso il Ritratto di Cosimo III), disegni oggi conservati a Holkham Hall, in Inghilterra (Gialluca - Reynolds, 2014).
La carriera artistica di Redi sembra essersi conclusa con i due tondi di Elia e Mosè per la Ss. Trinità ad Arezzo, pagati nel 1727 agli eredi del pittore (Andanti, 1988).
Redi fu anche abile ritrattista in pittura e in disegno. Oltre ai due autoritratti degli Uffizi (inv. 1890, nn. 3363, 1733), uno firmato e datato 1709 e l’altro di poco successivo (entrato in Galleria nel 1729), e oltre alla testimonianza di Baldinucci di «moltissimi ritratti al naturale di nobili persone, tanto donne che di uomini» (Vite di artisti..., cit., p. 394), fu autore di ritratti disegnati, molti dei quali erano nella collezione di Gabburri: accanto alla vivacissima effigie dello stesso collezionista, datata 1723, si conoscono il ritratto giovanile dell’amico Antonio Balestra e quello di Filippo Buonarroti (Turner, 1993).
Redi ebbe numerosi allievi, tra cui Giuseppe Grisoni, Giovan Domenico Campiglia, Giovan Domenico Ferretti, Giuseppe Menabuoni e il nipote Gaspare Redi, che dal maestro ereditarono, oltre alla stima e alla committenza di Gabburri, anche ingaggi dalla committenza inglese.
Dopo una lunga malattia Redi morì a Firenze il 10 ottobre 1726 e fu sepolto nella chiesa della Ss. Annunziata.
Fonti e Bibl.: F.S. Baldinucci, Vite di artisti dei secoli XVII-XVIII (1725-1730), a cura di A. Matteoli, Roma 1975, pp. 391-399; Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Mss., Pal., E.B.9.5.: F.M.N. Gabburri, Vite di pittori, 1730-1741 circa, IV, cc. 2369-2370; G. Richa, Notizie istoriche delle Chiese fiorentine divise ne’ suoi quartieri..., II, Firenze 1755, pp. 227, 259, 294, III, 1755, p. 254, VIII, 1759, p. 45, X, 1762, p. 247; I.E. Hugford, Vita di Anton Domenico Gabbiani pittor fiorentino, Firenze 1762, pp. 59 s.; M. Lastri, L’Etruria pittrice, II, Firenze 1795, tav. CXV; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia (1795-1796), a cura di M. Capucci, I, Firenze 1968, p. 197; G.G. Bottari - S. Ticozzi, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura, II, Milano 1822, pp. 72 s., 75-78, 84-86, 149-164, 262-265, 365 s.
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