SALVINI, Tommaso
SALVINI, Tommaso. – Nacque a Milano, il 1° gennaio 1829, terzogenito di Giuseppe e di Guglielmina Zocchi, entrambi attori, che ebbero anche i figli Achille (morto da bambino) e Alessandro.
Insieme a Ernesto Rossi e Adelaide Ristori, Salvini formò la triade dei principali attori del teatro italiano di metà Ottocento. È stato un punto di riferimento internazionale. Figlio d’arte, fu fratello, padre e nonno di attori, drammaturghi, critici e di un regista. Attraverso la famiglia Salvini si potrebbe tratteggiare la storia del teatro italiano in una delle sue età d’oro, da metà Ottocento fino al secondo dopoguerra.
Salì in scena per la prima volta nel 1843, quattordicenne, in Le donne curiose, di Carlo Goldoni, per sostituire un attore ammalato della compagnia Bon-Berlaffa, nella quale era scritturato il padre. Quattordici anni per interpretare un servo sciocco (Arlecchino era stato trasformato in Pasquino) possono sembrare pochi, ma non per un figlio d’arte, la cui prima apparizione avveniva spesso a pochi anni di età, talvolta pochi mesi. Salvini aveva anzi potuto passare almeno parte dell’adolescenza a Firenze con il nonno, attore ormai ritiratosi dalle scene, e frequentare la scuola degli scolopi.
Dopo il 1843, la sua carriera fu continua e sempre in ascesa. Nel 1844 entrò, insieme al padre, nella compagnia di Gustavo Modena, attore straordinario e grande innovatore nella recitazione e nella gestione degli attori. Nonostante la giovanissima età, Modena gli affidò quasi subito ruoli da primo attor giovane. Nei due anni trascorsi nella compagnia, da lui ricordati come gli anni della formazione, morì il padre.
Ebbe il primo grande successo a diciannove anni, a Roma, nell’Oreste di Vittorio Alfieri, nell’ottima compagnia Domeniconi, della quale era diventata prima attrice Adelaide Ristori, di qualche anno maggiore. Nel 1849, mentre la compagnia era a Roma, Salvini prese parte alla difesa della Repubblica Romana, volontario della guardia nazionale. Fu imprigionato per brevi periodi, prima a Genova e poi a Firenze, ricongiungendosi successivamente alla sua compagnia. Rimase mazziniano tutta la vita, come Modena, ma senza più un impegno personale attivo.
Era alto, per il suo tempo, quasi un gigante, di grande presenza, bellezza e forza fisica, con un viso aperto e mobile, ornato da folti baffi.
La svolta nella carriera venne negli anni della compagnia di Cesare Dondini, dove rimase tra il 1856 e il 1860. Al fianco di Clementina Cazzola, compagna d’arte e di vita, conobbe i primi successi internazionali e mise a punto il suo capolavoro, Otello, che va considerato una delle massime espressioni teatrali dell’Ottocento. Aveva tentato di metterlo in scena nel 1853, senza successo, dal momento che William Shakespeare non era amato dal pubblico italiano: situazione che proprio l’azione parallela e rivale di Rossi e Salvini contribuì a trasformare. Per la maturazione del suo Otello furono determinanti tanto la presenza di una partner ideale, la Cazzola, quanto quella di un rivale del calibro di Rossi, che aveva dato vita a un Otello di grande successo nello stesso anno, e che condivise con Salvini altri personaggi, primo tra tutti Amleto: le logiche creative del teatro d’attore ottocentesco sono ancora tutte da scoprire, e seguirono binari non facili da decodificare.
A differenza dell’Otello di Rossi, passionale e furioso fin dalle prime battute, quello di Salvini era nobile, regale, profondamente amoroso, dall’ira lenta e progressiva. Con alcuni scatti, però, di violenza pura, come quando abbatteva Jago con gesto possente, per poi rialzarlo con una sola mano, come una bambola di stracci. O come quando, nell’ultimo atto, afferrava Desdemona per i capelli, torcendole la testa, e la scaraventava di peso sul letto nascosto da cortine agli occhi del pubblico. Da quel letto, dopo averla uccisa, si affacciava, al richiamo di Emilia, come una bestia dalla tana, per poi riprendere subito dopo il suo contegno nobile, straziato dal dolore. Di questa interpretazione più che famosa, punto di riferimento per Konstantin Stanislavskij come per Giuseppe Verdi, resta un documento unico: la ricostruzione quasi gesto per gesto, rivista da Salvini, dello spettatore inglese Edward Tuckerman Mason.
Nel 1861 formò lui stesso compagnia, con Cazzola e il fratello Alessandro. Continuò a sperimentare il proprio repertorio fino al 1870, poi, con qualche variazione o innovazione, lo conservò sostanzialmente fisso. Tra le sue interpretazioni più celebri, oltre all’Otello: Amleto e Re Lear di Shakespeare, La morte civile di Paolo Giacometti, Saul di Alfieri, Sansone di Ippolito D’Aste, Francesca da Rimini di Silvio Pellico, ma anche Pamela nubile e Gli innamorati di Carlo Goldoni, La calunnia di Eugène Scribe, Il giocatore di August Wilhelm Iffland, La signora dalle camelie di Alexandre Dumas figlio. Era un repertorio variato, più ampio di questi pochi esempi (in vecchiaia volle cimentarsi anche per un breve periodo nel Macbeth e nel Coriolano shakespeariani) che spaziava dai registri tragici a quelli, per noi più sorprendenti, brillanti e amorosi.
Con Clementina Cazzola, morta nel 1868, ebbe quattro figli: Gustavo, Emilia, Alessandro e Mario. Dopo la morte di lei sposò Lottie Sharpe, morta nel 1878, da cui ebbe altri due figli, Cesare ed Elisa. Dalla seconda moglie, Jennie Beaman, sposata nel 1909, a ottant’anni, ebbe l’ultimo figlio, Alfonso.
Alla fine degli anni Sessanta iniziò un ciclo di grandi tournées internazionali, a cui alternò sempre lunghi intermezzi italiani, secondo una pratica diffusa tra gli attori italiani, perfezionata da Ristori. Si recò più volte in Sudamerica e negli Stati Uniti; in Francia e in Inghilterra, in Scozia, in Irlanda, in Austria, in Russia, in Romania, in Egitto. In alcune grandi capitali tornò ripetutamente, con largo successo, in particolare a Parigi, a Londra, dove nel 1875 gli fu reso omaggio dal più grande attore inglese, Henry Irving; a New York, dove nel 1873 era stato molto ammirato dal poeta Henry Wadsworth Longfellow e dove aveva recitato con il celebre attore americano Edwin Booth; e a Mosca, dove conquistò l’ammirazione di Stanislavskij, che lo vide nel 1891.
Nonostante la fama, internazionale e duratura, Salvini è probabilmente uno degli attori di cui oggi è più difficile comprendere la grandezza, perché proprio i suoi punti di forza, per esempio la grandiosità e l’armonia dei gesti, possono facilmente apparire come enfasi o artificiosità. In particolare potrebbero ingannare le testimonianze sul modo in cui l’attore usava la voce. Il teatro dell’Ottocento era pieno di ombre, per le sue tipologie di illuminazione, e la voce era uno strumento di primaria importanza. Sappiamo da Luigi Rasi come Salvini fosse in grado di operare passaggi virtuosistici da intonazioni altissime a vocalità basse e rauche, come certe sue ‘volate’ fossero state paragonate alla voce dei grandi tenori. Rasi apparteneva a una generazione successiva, che si autodefiniva con orgoglio ‘moderna’. Ammirava l’artista tanto più vecchio e più grande di lui, lo definì nei suoi scritti un «Michelangelo della scena», o «Giove tonante». Tuttavia, queste stesse lodi contribuirono involontariamente a trasmettere di Salvini un’immagine deformata, retorica.
Per questo sono fondamentali testimonianze diverse, come quella di Tuckerman Mason, di Henry James o di Henry Lewes e soprattutto quella, sul suo Otello, di Stanislavskij, che ne fu colpito al punto da plasmare su di lui una parte delle sue nuove idee sull’arte dell’attore.
Un grande spettatore è fondamentale per trasmettere la memoria dell’arte di un grande attore. Stanislavskij parte dalla prima impressione «non buona» che aveva avuto dalla persona gonfia, invecchiata dell’artista, e dal goffo costume, che ne esaltava l’incipiente pinguedine. Ma quando Otello aveva iniziato il suo discorso al Senato «senza che ce ne accorgessimo, aveva già in pugno tutto il pubblico del Bol´šoj. Sembrava che lo avesse fatto con un solo gesto, che senza guardarli avesse steso la mano sugli spettatori e ci tenesse in mano come formiche». Stanislavskij trasmette quella che era forse la principale qualità artistica di Salvini, la potenza, e lo fa in termini quasi biologici: la sua descrizione continua illustrando il modo in cui l’attore, con gesti e voce, sembrava condizionare il cuore o, potremmo dire, il respiro degli spettatori. Analizza, inoltre, il suo lavoro di progressiva concentrazione prima dello spettacolo, come pure la sua capacità, durante lo spettacolo, di rimanere immobile, perfino senza parlare, per diversi minuti, senza perdere l’attenzione del pubblico. Una testimone meno illustre, l’attrice Clara Morris, completa involontariamente questa testimonianza con il suo racconto di un incidente comico che sarebbe potuto essere letale per il risultato della serata: le cortine troppo corte del letto di Desdemona avevano permesso agli spettatori di vederne muoversi i piedi dopo lo strangolamento, causando un involontario riso per tanta sciatteria di scene. Ciò nonostante, l’attore italiano aveva saputo riprendere in pugno in pochi secondi l’attenzione del suo pubblico.
Nel 1891 Salvini dichiarò di volersi ritirare dalle scene, ma fece molti ritorni eccezionali, sempre con grande successo, fino ai primi anni del Novecento. Anche in età avanzata sembrano essere rimaste intatte la sua forza interpretativa, la sua capacità di variare e di adattarsi, la sua generosità. Recitò più volte a fianco di Rossi, cedendo sempre al rivale la parte principale e tuttavia riuscendo a trionfare in quella di comprimario. Andrea Maggi, rappresentante della ‘moderna’ generazione successiva, che fu Jago al suo fianco nel 1891, testimoniò, stupito e commosso, il miracolo dell’adattabilità dimostrata dal vecchio attore a uno stile di recitazione diversissimo, apparentemente antitetico. Salvini non perse mai curiosità o voglia di sperimentare: fu Jago per la prima volta nel 1891, alternandosi con Maggi nelle due parti principali. Lo incontriamo come spettatore appassionato di Eleonora Duse in una pièce di Maurice Maeterlinck, Monna Vanna, o come interlocutore imprevedibile del grande teorico inglese del nuovo teatro novecentesco, Edward Gordon Craig, a cui donò la sua scatola da trucco, quasi un atto di simbolico passaggio.
A partire dalla fine degli anni Settanta pubblicò diversi scritti sul teatro, in gran parte, ma non solo, riflessioni sulle sue interpretazioni shakespeariane. In tutti questi scritti, soprattutto nell’autobiografia, si mostrò intelligente esploratore dell’opera drammatica, nonché persona arguta, capace di autoironia, pronta a soppesare con acume, senso di giustizia e generosità il merito dei colleghi. Sia il suo sessantesimo sia l’ottantesimo anno furono festeggiati con cerimonie pubbliche. Per i suoi sessant’anni il ministero della Pubblica Istruzione coniò una moneta d’oro in suo onore.
Morì a Firenze il 31 dicembre 1915.
Fonti e Bibl.: Documenti, copioni e costumi di Tommaso Salvini sono conservati al Civico Museo biblioteca dell’attore presso il Teatro stabile di Genova, Fondo Salvini. Fonte primaria è l’autobiografia: T. Salvini, Ricordi, aneddoti, impressioni, Milano 1895. Un gruppo di suoi scritti è stato ripubblicato con un’introduzione di D. Orecchia: T. Salvini, Sul teatro e la recitazione. Scritti inediti e rari, Napoli 2014.
Tra i numerosi interventi dei contemporanei si veda in primo luogo E. Tuckerman Mason, The Othello of T. S., New York-London 1890. Esiste anche un’edizione italiana, non soddisfacente, della traduzione che Tuckerman Mason aveva fatto fare perché Salvini potesse controllare il suo lavoro (La rappresentazione di Otello nella ricostruzione di Tuckerman Mason, a cura di R. Trovato - Y. Brunello, Genova 2003). V. Pandolfi, Antologia del grande attore, Bari 1954, ripubblica il classico confronto di J. Weelman di Terranova (G. Emanuel), Rossi o Salvini?, Bologna 1880. Cfr. inoltre L. Rasi, I comici italiani, Firenze 1905, ad vocem; Jarro (G. Piccini), Vita aneddotica di T. S., Firenze 1908; K. Stanislavskij, La mia vita nell’arte (1926), Torino 1963; C. Salvini, T. S. nella storia del teatro italiano e della vita del suo tempo, Bologna 1955. Tra le recensioni, si vedano il saggio del 1883 di H. James, T. S. (ora in Teatro e storia, 2002, n. 23, pp. 173-191), e lo scritto Prime impressioni di Salvini di G.H. Lewes, in On actors and the art of acting, Leipzig 1875 (trad. it. Gli attori e l’arte della recitazione. Scritti sulla scena dall’Ottocento a Salvini, Genova 1999, pp. 213-221). Tra i contributi recenti, oltre alla voce di G. Pastina per l’Enciclopedia dello spettacolo, Roma 1961, cfr. D. Orecchia, Il sapore della menzogna. Rossi, S., Stanislavskij: un aspetto del dibattito sul naturalismo, Genova 1996; M. Schino, Racconti del grande attore, Città di Castello 2004; T. S. Un attore patriota nel teatro italiano dell’Ottocento, a cura di E. Buonaccorsi, Bari 2011.