SCHIFALDO, Tommaso
– Nacque a Marsala, come egli stesso dichiara in un’epistola («quom Lilybeum, unde ego oriundus sum, forte peterem», Bommarito, 2001, p. 37), intorno al 1430.
Fu il padre ad avviarlo ai primi studi presso l’Università di Catania, allora agli esordi; lo si ricava da un luogo del suo De viris illustribus Ordinis praedicatorum, nell’ambito della biografia di Pietro Geremia (Cozzucli, 1897, p. 72). Tutta da verificare resta l’ipotesi che il «Thomas de Sicelia» che nell’ottobre del 1446 ottenne la laurea utroque jure a Bologna sia Schifaldo (nessun documento attesta studi giuridici da parte sua); se così fosse, la data di nascita andrebbe anticipata di qualche anno (Bommarito, 2001, pp. 19 s.). Forse proprio Geremia lo invogliò a entrare nel convento domenicano di S. Zita a Palermo, dove parrebbe aver condotto il noviziato e i primi studi ecclesiastici (Cozzucli, 1897, p. 74). Lasciata la Sicilia, probabilmente dopo l’assunzione al sacerdozio, Schifaldo si recò a Siena, dove studiò con Francesco Patrizi il Vecchio verisimilmente tra il 1452 e il 1457, quando il maestro andò in esilio a Verona: si trattò di una tappa fondamentale della sua formazione, la cui eco si riflette nelle opere. Più difficile, allo stato attuale, definire con precisione le coordinate del discepolato di Schifaldo presso l’umanista Bartolomeo da Sulmona Filalite.
Che i suoi interessi fossero già a quell’altezza orientati verso gli studi classici è attestato nella biografia di Nicolò Galanzone del De viris illustribus: «viximus enim diutius in conventu Senensi et sodales et studiorum socij, adeo litterarum oraculis deditus uterque, ut utrumque in biblioteca lucubrantes exoriens lucifer offenderet» (Cozzucli, 1897, p. 83). Dopo il conseguimento della laurea magistrale (circa 1460), andrà collocato un soggiorno a Roma, ricordato dallo stesso Schifaldo nel De viris illustribus (p. 93).
Probabilmente in occasione della cerimonia di canonizzazione di s. Caterina da Siena (29 giugno 1461), Schifaldo fu incaricato da Pio II di scrivere gli inni dell’ufficio in metro saffico (ibid., pp. 44-46), che nei breviari ecclesiastici furono tuttavia attribuiti al papa. La vicenda fu fonte di profonda amarezza per l’umanista, come attesta la Peroratio finale del suo De viris illustribus, dove egli ne rivendica la paternità (Bommarito, 2008, pp. 98-100).
Conclusa l’esperienza di studio, Schifaldo fece definitivamente ritorno in Sicilia, e, forte delle competenze culturali acquisite, fu chiamato dal magistrato di Messina per insegnarvi le lettere; che ciò rispondesse ai suoi desideri si coglie da quanto scrive nel De viris illustribus (Cozzucli, 1897, p. 88). Il soggiorno messinese può con una certa sicurezza essere ricondotto agli anni Sessanta del Quattrocento; in ogni caso, un documento attesta che nel 1465 Schifaldo era priore del convento di S. Domenico di Messina (Coniglione, 1937, pp. 185 s.).
L’attività di professore fu rivolta allo studio della letteratura antica, sicché la sua produzione consente pure di gettare luce sullo status della cultura isolana nelle scuole a metà del XV secolo. Agli anni messinesi vanno ricondotti i Commentarioli in Persium, traditi dal manoscritto 2.Qq.D.69 della Biblioteca comunale di Palermo, vergato dal copista Giacomo Adragna di Alcamo, le cui sottoscrizioni offrono qualche informazione.
Il codice è costituito da due sezioni: al luglio del 1472 va ricondotta la trascrizione del testo delle Satire glossato, cui seguì (portata a termine il 7 dicembre dello stesso anno, ma posta all’inizio del manufatto) quella del commento di Schifaldo, esemplata su un modello con in calce la data di elaborazione (1461). Le «lucubraciunculae», dedicate al politico e intellettuale siciliano Gian Tommaso Moncada, sono probabilmente frutto del riutilizzo di materiale senese (forse recollectae di lezioni di Patrizi). Nato per la scuola e finalizzato a far emergere le «elegantiae» di Persio, il commento, attento soprattutto ai fatti grammaticali, tradisce l’eco della lezione di Lorenzo Valla e la cultura tutta latina di Schifaldo, cui infatti, anche in seguito, resterà estraneo il mondo greco.
Nel 1469, su indicazione del viceré Ximenes de Urrea, il Senato di Palermo nominò Schifaldo lettore dello Studio generale del convento domenicano della città (Cozzucli, 1897, p. 19). A partire dal 1475, come emerge dai documenti (in uno dei quali egli è chiamato «magister», «sacre teologie professor» e «poeta laureatus», Giunta, 1977, p. 432), e fino al 1491 (Cozzucli, 1897, pp. 141 s.) è attestata la sua presenza a Marsala. In particolare, nel 1478, ottenne dal provinciale dei domenicani di poter disporre dei beni della madre, evidentemente morta da poco (Coniglione, 1937, p. 186); nel 1481 il viceré ordinò a un funzionario di recarsi a Marsala per dirimere una faccenda che interessava Schifaldo (Cozzucli, 1897, pp. 139 s.); nel 1486 fu nominato vicario generale del convento della città (Bottari, 1971, p. 228).
Conferma i suoi interessi grammaticali il Libellus de indagationibus grammaticis, tramandato dal manoscritto Chicago, Newberry Library, 71.5, cc. 140r-174v: codice composito con fascicoli manoscritti mescolati a tre incunabuli (una descrizione in Tramontana, 2000, p. 13), contiene in gran parte testi riconducibili a Schifaldo (tra cui un carme bucolico pubblicato da Cherchi, 1978) e al suo allievo Cesare Zizo, probabile collettore del materiale (pubblicato da Bommarito, 2001). Dal Libellus, dedicato a Luis de Requesens, barone di Marsala dal 1469 ma ancora in città nel 1477, emerge un forte legame con la tradizione unito a insofferenza verso la spregiudicatezza di Valla, in questa sede attaccato in maniera esplicita soprattutto nella digressione Contra Vallam incidenter (il testo è pubblicato da Noakes-Kaster, 1983).
Più maturo rispetto al lavoro persiano appare il commento all’Ars poetica di Orazio, tramandato dal manoscritto 2.Qq.D.70 della Biblioteca comunale di Palermo; va ricondotto a una data compresa tra il 1463 (quando Bartolomeo da Sulmona Filalite, chiamato nella praefatio «praesul», viene nominato vescovo di Sulmona e di Valva) e il 1476, data che compare nella sottoscrizione della seconda parte del codice. Dall’esperienza di studio presso l’umanista di Sulmona derivò probabilmente il primo nucleo di materiale oraziano, ma non è possibile definire tempo e luogo in cui nacque il commento, anch’esso legato all’esperienza di «magister» di Schifaldo.
Sebbene la struttura del codice rispecchi quella del manoscritto persiano (a una prima sezione con il commento segue un nucleo di note al testo), frutto di una non casuale strategia organizzativa, agli interessi grammaticali si accompagna qui un’attenzione verso aspetti retorici e metrici. Anche il ricorso tra gli auctores a Quintiliano e al Cicerone del De Oratore (sporadicamente presenti nel lavoro su Persio) attesta l’acquisizione di una strumentazione più consapevole. Essa è ancor meglio percepibile nel commento all’Epistola Sappho Phaoni che occupa le cc. 101-156v del manoscritto palermitano e, grazie a indizi interni, può considerarsi l’ultima prova di Schifaldo, stando a quanto finora a noi giunto, sul fronte dell’attività di commentatore degli auctores (di un commento a Giovenale non resta traccia).
Legato alla sua condizione di domenicano è il già citato De viris illustribus Ordinis praedicatorum, raccolta di brevi biografie di domenicani illustri, portata a termine, come si ricava da tracce interne, nel gennaio del 1487 (Coniglione, 1937, pp. 195 s.). Dedicata al cardinale Oliviero Carafa, è tradita da due manoscritti: Bologna, Biblioteca universitaria, 1678, su cui Cozzucli (1897, pp. 59-94), ha esemplato la sua edizione, e il già citato Chicago, Newberry Library, 71.5.
Un’attività di Schifaldo «magister» a Trapani emerge dall’epistola a Ferdinando Acugno, viceré del regno dal 1489 (Chicago, Newberry Library, 71.5, cc. 91r-93v), scritta probabilmente intorno al 1492 (Bommarito, 2001, pp. 9-11, 37), come pure da una lettera inviata da Roma da un Pierangelo Siculo a un amico, allora allievo di Schifaldo a Trapani (Novati, 1883, pp. 132 s.). È un contributo per la vittoria di Ferdinando il Cattolico a Granata contro i musulmani il Carmen lyricum cuius index est triumphus de victoria prefata Bethycae quam vulgo Granatam appellant per eundem Schifaldum, in strofe saffiche, composto dopo il 1492, anno della battaglia (Chicago, Newberry Library, 71.5, cc. 175v-176v).
L’ultima tappa dell’insegnamento di Schifaldo conduce a Mazara, ove nel 1494 ricevette la visita di Alfonso II d’Aragona, fuggito da Napoli assieme ad Albino per la discesa di Carlo VIII di Francia: i perduti Epigrammata in Albinum regis Alphonsi poetam e il De adventu Caroli Magnanimi regis Franciae, qui expulit ex Neapoli regem Alphonsum liber nacquero di certo in tale occasione. A questi anni va ricondotto il discepolato di Gian Giacomo Adria che nel suo De valle Mazariae et Siciliae laudibus scrisse: «magister Thomas Skifaldus [sic] fuit praeceptor meus tempore quo venit rex Alfonsus parthenopeus Mazariam 1494» (Biblioteca comunale di Palermo, Qq.C.85, c. 105v). A c. 206v si legge un carme di Schifaldo in distici elegiaci per la morte di Giovanni Naso, scomparso nel 1478 (pubblicato da Cozzucli, 1897, p. 41, e Sammartano, 1969, p. 21).
Forse alla cerimonia legata all’insediamento di Schifaldo come inquisitore generale nel 1497 è legata l’Oratio de laudibus iustitiae officioque iudicis in genere demonstrativo (Chicago, Newberry Library, 71.5, cc. 85v-89v), esercizio letterario su schema classico che traccia la storia dell’umanità e la funzione del giudice nella società civile.
La morte dell’umanista va posta dopo il 2 febbraio 1500, data in cui il generale dell’Ordine dei predicatori gli revocò i favori di cui fino ad allora aveva goduto (Coniglione, 1937, p. 188).
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