GAMBARO (de Gammaro, degli Sclarici dal Gambaro), Tommaso Sclaricino
(de Gammaro, degli Sclarici dal Gambaro), Tommaso Sclaricino. - Nacque a Bologna, da Matteo, intorno al 1454 ed ebbe due fratelli, Pietro e Giacomo.
Nell'ottobre 1481, qualche tempo dopo aver conseguito le lauree in filosofia, in diritto civile e in diritto canonico, fu chiamato a leggere nello Studio di Bologna. Da allora fino all'anno accademico 1506-07 egli venne sempre iscritto nei «rotuli» dei lettori legisti dello Studio bolognese e le sue lezioni si basarono su testi di diritto civile. Nello stesso periodo in cui esordiva nell'ambiente accademico il G. intraprese anche la carriera politica e nel bimestre gennaio-febbraio 1484 fu eletto tra gli Anziani della città. In seguito ricopri più volte questo ufficio: nel 1486, 1489, 1490, 1492, 1495. Il G. fu un sostenitore dei Bentivoglio, allora signori di Bologna, e alla loro corte strinse amicizia con l'umanista A. Cortesi Urceo, detto Codro, e F. Raibolini, detto il Francia.
Si dedicò anche alla poesia e ad Anton Galeazzo Bentivoglio egli dedicò il Sìlvatto (Bologna, Benedetto Faelli e Platone de' Benedetti, 1491), una silloge poetica in volgare ispirata da Lucina, la fanciulla amata. Del Sìlvano esiste un'altra edizione, databile intorno al 1492, stampata a Venezia, per i tipi di Tommaso di Piasi. Oltre alla poesia sembra che il G. coltivasse altri interessi di cui, però, l'unica testimonianza è ricavata dall'iscrizione della sua lapide funeraria, nella quale si ricorda che egli possedeva una straordinaria perizia «fingendi, sculpendi, excudendi atque ex omni materia fingendi».
Verso i quarant'anni, forse indotto dall'incertezza del futuro, il G. abbandonò lo stato secolare per quello ecclesiastico. Nel 1497 assunse, come canonico, la cura della chiesa di S. Michele della Braina, detta dei Leprosetti, e pochi mesi più tardi, nello stesso anno, fece la permuta di quella con la parrocchia di S. Tommaso di Strada Maggiore, situata come la precedente in città. Fu forse in quell'epoca che l'eclettico G. si occupò di raccolte antiquarie. Secondo la testimonianza di C. Malvasia, che ebbe la possibilità di consultarlo, egli compilò un corposo volume manoscritto, purtroppo oggi perduto, contenente iscrizioni tratte dai marmi dell'antica Felsina. Di questo manoscritto di epigrafi antiche e delle sue vicende parlò in una seduta dell'Accademia di Berlino lo storico Th. Mommsen. Secondo N. Burzio, inoltre, il G. fu anche numismatico e collezionista di monete. Nel 1504 contribuì con una prosa latina e alcuni versi in volgare, secondo quanto riferisce G. Fantuzzi, alle Collettanee grece latine et vulgari per diversi auctori moderni nella morte de l'ardente Seraphino Aquilarum, promosse da G.F. Achillini (Bologna, C. Bazalieri). Sebbene nel 1506 fosse rovinata la signoria dei Bentivoglio, il G. per quell'anno venne confermato lettore legista allo Studio, passando cosi, apparentemente indenne, attraverso la bufera scatenata dal rivolgimento politico. L'anno accademico 1506-07 fu, invece, l'ultimo in cui venne iscritto nei rotuli dello Studio di Bologna; l'anno seguente, infatti, dopo venticinque anni, lasciò l'insegnamento universitario. Ritenendo utile allontanarsi per qualche tempo dalla città, il G. stipulò la permuta della parrocchia urbana di S. Tommaso di Strada Maggiore con quella di S. Maria delle Budrie, situata nel contado, di cui prese effettivo possesso alla fine del 1507. Il volontario esilio da Bologna non durò, però, a lungo e l'antica amicizia con i Bentivoglio, in realtà, non gli nocque più che tanto, dato che nel 1508 egli era di nuovo in città per assumere la carica di canonico di S. Petronio. In quel periodo il G. scrisse un'operetta in latino singolare e stravagante, divisa in tre parti: Oratio funebri;, sed faceta. Epistola asini ad asinos. Duo dialogi (Bononie, per Benedictum Hectoris [Faelli] Bibliopolam Bononiensem, 1510).
L'operetta, scritta in una curata prosa latina, contenente citazioni letterarie classiche e contemporanee (da Ovidio al Pulci), è una descrizione, in chiave comica, dei costumi umani. Servendosi dell'orazione, dell'epistola e del dialogo, l'autore racconta tre episodi i cui protagonisti, celati soprattutto sotto spoglie animali, ridicolizzano i comportamenti degli uomini. I Duo dialogi muliercularum, il primo tra Bellina e Amphrosina e il secondo tra Psaltria e Tribas, sono offerti «humanitatis et ordine institutionis decori D. Petto Andree Gammaro amico optimo». Nel testo dell'umoristica orazione funebre è, inoltre, menzionato il Francia.
La passione per la poesia e la profonda conoscenza delle opere di F. Petrarca condussero il G., qualche tempo dopo, a curare i Trionfi e una raccolta di rime, a cui sembra che egli dette per primo il titolo di Canzoniere, nome col quale fu, in seguito, sempre designata.
A coinvolgerlo in questa impresa fu lo stampatore bolognese F. Griffi che inventò, appositamente per questa edizione, un corsivo particolare e un piccolo formato, allo scopo di fare concorrenza a quelli diffusi da Aldo Manuzio. Il G. nella lettera al lettore, redatta in latino, dette le ragioni di questa nuova edizione dei componimenti del poeta aretino, che usciva dai torchi appena due anni di distanza dall'edizione di Manuzio del 1514; egli spiegava che, non essendo soddisfatto dell'emendazione aldina del testo petrarchesco, aveva cercato di migliorarla, togliendone le correzioni fatte da chi era del tutto alieno dalla purezza e dalla gentilezza della lingua toscana e dalle regole proprie del verso volgare.
La cura del Canzoniere et Triomphi (Bologna, Francesco Griffi, 1516) è l'ultima fatica letteraria del G. di cui si ha notizia.
Le ultime informazioni sulla sua vita sono relative alla condizione ecclesiastica: nel 1519 istituì suo nipote Matteo come sue. coadiutore nel canonicato, facilitandogli così la successione nella carica - successione che in effetti avvenne dieci anni più tardi - e nel 1524, pur mantenendo l'incarico a S. Petronio, ricevette la cura della parrocchia urbana di S. Isaia, che tenne fino all'età di 71 anni, quando si spense, come si ricava dall'epigrafe funebre.
La data della morte del G. non è certissima: forse avvenne nel 1525, anno in cui G. Casio pubblicava i suoi epitaffi, uno dei quali è a lui dedicato; di certo, tuttavia, egli non viveva più nel 1526 allorché il fratello Pietro, in una lapide nella basilica di S. Francesco, lo ricordò con un lungo elogio.
Fonti e Bibl.: N. Burzio, Bononia illustrata, Bononiae 1494, c. 12; I rotuli dei lettori legisti e artisti dello Studio bolognese dal 1384 al 1799, a cura di U. Dallari, Bologna 1888, I, pp. 114-194 passim; G.F. Achillini. Viridario, Bologna 1513, p. 186; G. Casio de' Medici, Cronica ove si tratta di epitaphii di amore e di virtute, Bologna 1525, p. 31; G.N. Alidosi, I dottori bolognesi, Bologna 1623, pp. 54, 174 s., 217; Id., I signori anziani, consoli e gonfalonieri di Giustizia della città di Bologna, Bologna 1670, pane I; G.A. Bumaldi [O. Montalbani], Minervalia Bonon. civium anatkmata seu Bibliotheca Bononiensis, Bononiae 1641, p. 220; C.C. Malvasia, Marmorea Felsinea, Bologna 1690, pp. 80, 173, 215, 534 , 650; P.A. Orlandi, Notizie degli scrittori bolognesi, Bologna 1714, p. 253; G. Fantuzzi, Scrittori bolognesi, Bologna 1784, IV, pp. 43 S., 50-53; G.M. Crescimbeni, Istoria della volgar poesia, Venezia 1730, p. 41; F. Senesi, Su Francesco da Bologna calcografo e tipografo, in Giornale scientifico letterario di Perugia, II, trimestre 1842, pp. 177-185; G. Carducci, Discorsi letterari e storici, Bologna 1919, p. 353; A. Serra Zanetti, L'arte della stampa in Bologna nel primo ventennio dil Cinquecento, Bologna 1959, pp. 70, 147 s., 243 s.; Indice generale degli incunaboli delle biblioteche d'Italia, Roma 1954, 111, p. 10; Letteratura italiana (Einaudi), Gli autori. Dizionario bio-bibliografico, Torino 1991, II, p. 1611 (s.v. Sclarici Del Gambaro, Tommaso).