SGRICCI, Tommaso
SGRICCI, Tommaso. – Nacque a Castiglion Fiorentino, presso Arezzo, il 31 ottobre 1789 da Jacopo, medico condotto in paese dal 7 marzo di quell’anno, di famiglia aretina antica ma non ricca, e dalla fiorentina Assunta Lorenzi.
Fu battezzato nella parrocchia della Collegiata il successivo 2 novembre. A due anni d’età perse il padre. La madre, risposatasi con il medico fiorentino Giovanni Battista (?) Martini, si trasferì nel capoluogo toscano, affidandolo a parenti per alcuni anni. Svolse gli studi nel paese natale, ad Arezzo e a Firenze; il 6 giugno 1810 si laureò in diritto a Pisa, grazie a una borsa di studio della Fraternità dei laici di Arezzo.
Intorno ai dodici anni manifestò un dono per l’improvvisazione poetica, ereditato forse da un avo, Orazio Sgricci. Narra Luigi Carrer (1836, p. 404) che per carnevale si era mascherato da pitonessa, rispondendo in versi a quanto gli veniva chiesto, rivelando una facilità e brillantezza che l’indussero a coltivare queste facoltà, presto passando da esibizioni domestiche a una dimensione professionale, nonostante l’opposizione dei parenti. Lo favorì una serie di fattori: l’aspetto gradevole (nonostante una lieve zoppia), l’ottima pronuncia e la gestualità solenne, uniti a memoria, fantasia e un senso del ritmo poetico fuor del comune. Sgricci ebbe l’intuizione di specializzarsi in un genere improvvisativo atto a far risaltare le proprie doti istrioniche: la poesia drammatica.
Studiò i grandi autori della letteratura italiana e coltivò i classici greci e latini, in particolare Virgilio, Stazio e Lucano, esercitandosi a tradurne le opere in versi estemporanei. Formatasi una vasta erudizione letteraria e mitologica, la piegò nell’ordire all’improvviso tragedie di cinque atti su temi proposti dal pubblico, l’uso dei versi sciolti esentandolo dal giogo della rima, e mentre dava vita ai diversi personaggi, assumendone movenze e inflessioni, escogitava velocemente il disegno della struttura drammatica che andava sviluppando (sempre rispettosa delle unità aristoteliche) e ne predisponeva il discorso: il risultato, pur in assenza di qualsiasi ausilio scenico, era strabiliante per gli spettatori. Nelle sue esibizioni affrontava solitamente tre stili, l’eroico, l’elegiaco e il tragico, eseguiti rispettivamente in versi sciolti, in terza rima e appunto «in foggia di tragedia», con dialoghi in endecasillabi sciolti e parti del coro in metri vari, principalmente ottonari e settenari. Si ha certezza del fatto che, diversamente da quanto facevano ancora all’epoca molti poeti improvvisatori di genere colto, Sgricci non intonava i suoi versi su melodie prefissate ma, anche per la tipologia del genere scelto, li declamava, analogamente a Francesco Gianni e Giuseppe Regaldi.
Dal 1813 al 1827 Sgricci fu quasi sempre in tournée, spesso in teatri di prima sfera: a Roma debuttò il 19 giugno 1816, a palazzo Venezia, producendosi nella Morte di Polissena, poi fu nelle Marche, a Bologna e a Milano (Eteocle e Polinice alla Scala), dove si guadagnò l’ammirazione di Alessandro Manzoni, che in suo onore compose il sonetto Magnanim’ombre, che dolenti errate: rinvenuto da Gaetano Volpi e da lui pubblicato nel 1897 (cfr. Opere. Poesie rifiutate e abbozzi delle riconosciute, a cura di I. Sanesi, Firenze 1954, pp. 120 s.), era già stato riportato da Ugo Viviani, unitamente alla lirica che a Sgricci avrebbe dedicato Ugo Foscolo, Al tragico tuo carme (Poesie, Torino 1928, pp. 188 s.). Sgricci conquistò inoltre l’amicizia di Vincenzo Monti, il quale peraltro lo criticava sul versante privato (nell’epistolario fa cenno ai suoi comportamenti licenziosi e al carattere sfrontato). Indi fu a Parma, Torino, Verona e in Veneto (1817), passando per la Toscana e la Romagna (1818-21), di nuovo a Torino (1823), fino a Ginevra e Parigi (1824), suscitando dappertutto consensi entusiastici, tanto da essere ribattezzato «l’Unico [Aretino]» (notizia confermata nell’edizione del suo Crispo, Arezzo 1828, p. [7]). Nel 1819, nell’imminenza dell’incoronazione poetica in Campidoglio, fu espulso da Roma, si disse per aver criticato l’operato del papa. Giovanni Giraud, che in una lettera da Firenze del 17 febbraio 1818 aveva riferito all’amico romano Jacopo Ferretti le cifre da capogiro offerte a Sgricci dai nobili locali e il suo successo «da furore» (Onorati, 1999, p. 234), gli dedicò due epigrammi (cfr. Le satire di Giovanni Giraud, 1904), lo definì «Batillo, il tragico dai falsi allori», e ne imputò la cacciata alla dichiarata omosessualità.
Altri autori ne fanno cenno: Giuseppe Gioachino Belli allude a Sgricci nel sonetto El cardinale solomito (1835, in Belli, 1965) come all’omosessuale per antonomasia; lord Byron, che l’ascoltò e ammirò a Ravenna, il 3 marzo 1820 lo definì per lettera «famoso sodomita» (Byron’s letters..., 1977). E però, essendo protetto dal granduca di Toscana, nessuno (polizia del Granducato compresa, che lo sorvegliava) osò mai attaccare Sgricci apertamente su questo fronte.
Su proposta della magistratura civica di Arezzo il 4 luglio 1825 Sgricci venne ascritto alla nobiltà aretina da Leopoldo II, che gli concesse una pensione annua di 360 scudi. Nel 1826 fu di nuovo a Parigi, dove improvvisò La caduta di Missolungi; nel 1827 mosse da Firenze per Napoli, esibendosi dinanzi alla corte, con una sosta a Roma, dove si produsse in quattro tragedie e ritentò, ma invano, di essere incoronato in Campidoglio. Lo sforzo di concentrazione cui lo sottoponeva l’esercizio della sua arte indusse crisi di spossatezza e mali fisici che gli impedirono di proseguire l’attività pubblica. Le accademie date ad Arezzo il 3, 10 e 20 novembre 1827, in cui improvvisò Il Crispo, Tieste e Sansone, furono il suo canto del cigno. Nella seconda serata i concittadini lo riportarono a casa in trionfo, con la banda cittadina in testa al corteo. La città gli assegnò una pensione annua di 700 lire. Per il resto della vita Sgricci si esibì raramente in tragedie improvvisate, e quasi sempre in forma privata, continuando però l’attività di poeta d’occasione (soprattutto in onore della famiglia granducale toscana).
Morì ad Arezzo il 23 luglio 1836, ulteriormente fiaccato per la morte della madre (22 dicembre 1834).
Sgricci fu tra i pochi poeti improvvisatori che autorizzassero la riduzione stenografica dei propri lavori. Il capo stenografo ne curava la successiva redazione a stampa, traendone poi un beneficio economico. Le copie edite subivano di solito una sorta di autenticazione da parte di una commissione: lo testimoniano quelle rimaste delle tre tragedie aretine (Arezzo 1828), controfirmate e numerate dagli stenografi Giuseppe Rossini, Luigi Romanelli e F(rancesco?) Testi. Sono pervenute: La morte di Carlo primo ed Ettore (Firenze 1825), stampate in precedenza anche separatamente, la prima in un’edizione parigina a cura di Urbano Canel (1824), la seconda in un’edizione torinese a cura di Filippo Delfino (1823); le tre citate tragedie aretine edite nel 1828, con il Crispo ristampato ancora a Palermo nel 1868; La caduta di Missolonghi, La morte di Carlo primo, Ettore e Idomeneo (tragedia che Sgricci reputava il proprio capolavoro, redatta secondo l’edizione stenografata al teatro dei Fiorentini di Napoli il 20 giugno 1827), comparse insieme nella raccolta delle sue Poesie (Firenze 1828). Tra le altre, sono andate perdute Bianca Cappello (Parigi 1824) e Maria Stuarda (Firenze 1825). Il 1828 segna il culmine della fortuna editoriale di Sgricci, consacrato come uno dei maggiori tragediografi italiani: la Collezione teatrale ossia Raccolta de’ più scelti componimenti tragici, comici, drammatici dell’editore Angelo Ajani (Roma, 1827-1828), nei volumi VIII-IX (1828) colloca l’Ettore di Sgricci accanto ad Amore e raggiro di Schiller, e La morte di Carlo primo accanto al Giuocatore di August Wilhelm Iffland.
Ammirarono Sgricci, tra gli altri, il poeta teatrale Felice Romani, il poligrafo Defendente Sacchi e lo scrittore Giuseppe Carpani, che nelle Majeriane (1824) lo inserisce tra le sette «meraviglie» della cultura italiana contemporanea, accanto ad Antonio Canova, Gioachino Rossini, Niccolò Paganini, Angelica Catalani, il cardinale Giuseppe Gasparo Mezzofanti e Angelo Mai. È stato dimostrato che Gaetano Donizetti assunse Il Crispo come fonte letteraria dell’opera Fausta (libretto di Domenico Gilardoni, Napoli, 12 gennaio 1832; cfr. Ciarlantini, 2014a, pp. 43-46). Contro l’aretino, in una filippica scritta su ingiunzione del governatore del Lombardo-Veneto, si scagliò Pietro Giordani, definendo l’improvvisazione poetica «ludus impudentiae» (Dello Sgricci e degl’improvvisatori in Italia, in Biblioteca italiana, 1816, cit. in Jacobs, 1988, p. 385); lo rimbeccò con un’apologia Carpani (Biblioteca italiana, 1817, cit. in Jacobs, 1988, p. 385). Pure Stendhal (1817) parlò con disprezzo delle tragedie di Sgricci: «C’est un centon des auteurs grecs qui ravit les pédants et m’a scié à fonds» (p. 51).
Subito dopo la morte del poeta proliferarono le liriche malevole che ne stigmatizzavano l’omosessualità, ivi compreso l’irriverente Salmo in morte dello Sgricci e altri fedeli, attribuito a Giuseppe Giusti (1848-1850). Oggi Sgricci è ricordato soprattutto nella sfera della pubblicistica gay, come uno dei primi omosessuali dichiarati d’Italia. In epoca postunitaria e fino ai primi del Novecento la sua fama letteraria, nondimeno, non si spense, con pubblicazioni attestate fino al 1922.
Lo stile delle sue tragedie supera tuttora l’esame del moderno lettore, risultando lessicalmente curato, sicuro nel ritmo, vibrante nelle immagini, non senza un’evidente ascendenza alfieriana. C’è chi lo considera moderno successore di Diogene di Tarso, poeta improvvisatore del II secolo a.C., sottolineando il carattere unico della poesia improvvisativa tragica italiana nel suo privilegiato rapporto con la poesia orale classica (Gentili, 2006, p. 43). Le tragedie di Sgricci e dei suoi imitatori coevi – il medico marchigiano Luigi Cicconi e il letterato veneziano Luigi Carrer – rientravano nella categoria della ‘tragedia da lettura’. Il solo Idomeneo fu poi rappresentato, dopo l’improvvisazione, in forma scenica (cfr. Mazzoni, 1936).
La città di Arezzo ha dedicato a Sgricci una via. Una lapide collocata ai suoi tempi nell’attuale corso Italia recita: «Qui Melpomene educò / l’incomparabile / Tommaso Sgricci / Natura il fece e poi ruppe la stampa». Gran parte degli scritti inediti, unitamente a lettere autografe, è custodita nella Biblioteca comunale di Arezzo; per gli altri fondi archivistici italiani con manoscritti di Sgricci cfr. Viviani, 1928, pp. 206 s.
Fonti e Bibl.: P. Giordani, Dello S. e degl’improvvisatori in Italia (1816), in Scritti di Pietro Giordani, a cura di G. Chiarini, Firenze 1890 (ed. facsimile 1961), pp. 133-142; Stendhal, Rome, Naples et Florence en 1817, Paris 1817, p. 51; B. Montanari, Relazione di tre accademie date in Verona da T. S., Verona 1818; G. Carpani, Le Majeriane ovvero Lettere sul bello ideale, Padova 1824, pp. 337 s.; F. Cicognani, Lettera critica ... sulla tragedia improvvisata dal sig. T. S. La morte di Carlo primo, Firenze 1825; Teatri, arti e letteratura, 29 novembre 1827, p. 107 (sul Crispo e le prime due accademie di Arezzo); L. Carrer, T. S., in Biografia degli italiani illustri, a cura di E. De Tipaldo, III, Venezia 1836, pp. 404-410; G. Giusti, Raccolta completa delle poesie di Giuseppe Giusti, Lugano [1848-1850], II, pp. 67 s.; E. Del Cerro, Misteri di polizia, Firenze 1890, pp. 149-151; Le satire di Giovanni Giraud, a cura di T. Gnoli, Roma 1904, pp. 206 s.; A. Vitagliano, Storia della poesia estemporanea nella letteratura italiana dalle origini ai nostri giorni, Roma 1905, pp. 143-180; U. Viviani, Un genio aretino. T. S. poeta tragico improvvisatore, Arezzo 1928 (ampia raccolta di documenti, con bibliografia dei lavori a stampa e manoscritti, lettere, giudizi altrui, cronologia); V. Monti, Epistolario, Firenze 1928-1929, IV, pp. 337, 343 s., 367; G. Mazzoni, S., T., in Enciclopedia Italiana, XXXI, Roma 1936, p. 579; C. Pocci, S., T., cenni critico-biografici, in Rivista italiana del teatro, 15 luglio 1943, pp. 84-88; G.G. Belli, I sonetti, III, Milano 1965, n. 1581; Byron’s letters & journals, a cura di L.A. Marchand, London 1977, VII, pp. 49-51; B. Gentili, Cultura dell’improvviso. Poesia orale colta nel Settecento italiano e poesia greca dell’età arcaica e classica, in Quaderni urbinati, 1980, n.s., vol. 6, pp. 25 s., nn. 15, 16, 17, e p. 38, n. 44; S. Franchi, Prassi esecutiva musicale e poesia estemporanea italiana: aspetti storici e tecnici, in Oralità: cultura, letteratura, discorso, a cura di B. Gentili - G. Paioni, Roma 1985, pp. 409-427; H.C. Jacobs, Literatur, Musik und Gesellschaft in Italien und Österreich in der Epoche Napoleons und der Restauration. Studien zu Giuseppe Carpani, Frankfurt a.M. 1988, pp. 384-386, 835 et passim; A. Basi, T. S.: poeta tragico estemporaneo, Cortona 1990; F. Onorati, L’officina del poeta: Ferretti e i tre libretti desunti dal teatro di Giovanni Giraud, in Jacopo Ferretti e la cultura del suo tempo. Atti del Convegno di studi, Roma... 1996, a cura di A. Bini - F. Onorati, Milano 1999, pp. 219 n. 38, 234; B. Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica. Da Omero al V secolo, Milano 2006, pp. 24 s. n. 31, 43; P. Ciarlantini, La fonte letteraria della “Fausta” di Donizetti e la poesia tragica improvvisativa in Italia fino agli anni Trenta dell’Ottocento, in Musica. Storia, analisi e didattica, a cura di A. Caroccia - F. Di Lernia, Foggia 2014a, pp. 43-60; Ead., Sulla “Fausta” di Donizetti: la fonte letteraria, la fortuna teatrale, in The Donizetti Society Newsletter, 2014b, n. 122, pp. 19-25; n. 123, pp. 7-13; P. Fabbri, L’ottava letteraria nella musica italiana del primo Ottocento, in Cantar ottave. Per una storia culturale dell’intonazione cantata in ottava rima, a cura di M. Agamennone, Lucca 2017, p. 135 n. 1.