TEMANZA, Tommaso
Nacque a Venezia il 9 marzo 1705 da Antonio e da Adriana Scalfarotto. Il padre esercitava la professione di «tagliapiera» e di «proto» presso il magistrato delle Acque di Venezia. La sua educazione venne affidata al padre domenicano Niccolò Concina, che nel convento de’ Gesuati teneva lezioni di filosofia, e allo zio materno, Giovanni Scalfarotto, anch’egli architetto. Alla scuola dello Scalfarotto vi era anche Matteo Lucchesi, zio e maestro di Giambattista Piranesi. Tommaso si formò, quindi, all’interno della corrente classicista neopalladiana trapiantata a Venezia negli ultimi decenni del Seicento.
Da Andrea Musalo, teorico di architettura e architetto, ricevette i primi rudimenti di geometria e di disegno architettonico. Ma Temanza, come evidenzia il suo ritratto disegnato da Pietro Antonio Novelli, fu «architectus et publicis acquis praefectus». La sua formazione, così come parte della sua attività, fu, infatti, quella di un ingegnere idrostatico. Studiò a Padova, sotto la direzione del celebre Giovanni Poleni («mio dilettissimo precettore»: T. Temanza, Vite dei più celebri architetti e scultori veneziani che fiorirono nel Secolo Decimosesto, Venezia 1778, p. 433.), ed ebbe modo di approfondire le matematiche e l’applicazione di esse all’architettura. Il dialogo con Poleni non si esaurì nel tempo, anzi, si rafforzò sulla base di una comune definizione dell’architettura «juxta textum Vitruvii et mentem Newtonii» e di una comune ricerca di verità storico-filologica.
Ritornato a Venezia, studiò idraulica con Bernardino Zendrini, ingegnere della Repubblica di Venezia.
Nel frattempo iniziò a frequentare la pubblica libreria di S. Marco, alla ricerca di materiali che illustrassero la storia di Venezia e della sua laguna: materiale che poi divenne fondamentale per la stesura dei suoi scritti di carattere storico-topografico e storiografico.
Il primo frutto dei suoi sforzi non fu, però, un’opera letteraria, bensì architettonica: un lavello nella sagrestia della chiesa di S. Simeone Piccolo, a Venezia. In una lettera a Lucchesi del 1729 si vantava di aver innovato un motivo ornamentale, quello del cartoccio, utilizzato nell’architettura antica per chiudere la sommità delle arcate. In questa lettera non mancava di esprimere la sua ammirazione per l’antichità romana e per l’invenzione dell’arco (Lettera del signor Tommaso Temanza […] al signor M. Lucchese…, in Raccolta di opuscoli scientifici e filologici, a cura di A Calogerà, V, Venezia 1731, pp. 177-197).
Lo studio tecnico-strutturale degli archi divenne essenziale in altre due opere: Degli archi e delle volte e regole generali dell’architettura civile (datata 1733, ma pubblicata a Venezia nel 1811) e, soprattutto, Le antichità di Rimino (Venezia 1741), frutto di un viaggio compiuto nel 1735 a Rimini con lo Scalfarotto, nel quale ebbe l’opportunità di esaminare due celebri vestigia romane, il ponte e l’arco di Augusto, allora in stato di degrado. Con quest’opera egli compì il suo primo, vero studio sull’antichità, nel quale descrisse dettagliatamente i due monumenti da un punto di vista tecnico, ottico e armonico-proporzionale, mostrandosi ricettivo verso quanto dibattuto nella trattatistica europea.
Contemporaneamente continuò a seguire lo Zendrini nei lavori di regolazione delle lagune: inserito già nel 1720 nell’organico del Magistrato delle Acque, nel 1742 assunse il ruolo di proto per la stessa magistratura. Da questo momento prese corpo il completamento dell’opera di protezione a mare dei Murazzi, sui litorali di Lido e Pellestrina; inoltre, sempre nel 1742 venne interpellato per un intervento lungo uno dei principali assi di collegamento fluviale nel padovano, il fiume Busatto a Montebuso, che preoccupava per i possibili allagamenti.
In qualità di architetto progettista, invece, venne incaricato nel 1733 di un disegno per la facciata del palazzo Sagredo a S. Sofia, nel 1742 dell’ampliamento della cantoria della chiesa dei Mendicanti, del rifacimento del campanile di Borgo Valsugana e di un disegno per la chiesa di S. Servolo. Nel 1749 venne consultato per un progetto di ricostruzione delle Fabbriche Nuove di Rialto.
Questione molto delicata fu la ricostruzione del ponte di Bassano, crollato nell’agosto del 1748 per la piena del fiume Brenta. La conoscenza dell’architettura classica unita al suo spirito filologico purista lo spinse a proporre una ricostruzione fedele del disegno palladiano, al contrario di chi voleva impegnarsi in nuovi esperimenti, frutto degli ultimi ritrovati della statica e della meccanica. Stanco delle polemiche e dei numerosi impegni, Temanza decise di declinare l’incarico e di affidarlo al matematico Bartolomeo Ferracina.
Ulteriori maldicenze sorsero in occasione del restauro della torre dell’Orologio in piazza S. Marco (1755). Qui egli si limitò a inserire otto colonne al piano terra della loggia dell’Orologio, fedele alla convinzione che occorre «continuare [le fabbriche con] lo stesso carattere e le simmetrie medesime, altrimenti riescono irregolari e mostruose» (Vite…, cit., p. 99 ).
Questo intervento fu oggetto di versi satirici («Lustrissime siore colonne, cosa feu qua? Non lo savemo in verità») attribuiti a Carlo Lodoli (1690-1761; A Memmo, Elementi dell'architettura lodoliana…, I, Roma 1786, p. 125), altro protagonista del dibattito architettonico, in contrapposizione a Temanza per un più spiccato razionalismo e rigorismo delle sue teorie. Tali critiche, così come quelle che Lodoli riservò alla ricostruzione della chiesa di S. Margherita a Padova (1748), provocarono un forte risentimento in Temanza (che arrivò a definirlo «critico insolente ed impostore sfacciato»: Vite…, cit., p. 87); in realtà erano frutto di una diversa interpretazione della lezione classico-vitruviana, che Temanza leggeva in termini lineari, regolari, palladiani, e Lodoli in un’ottica di funzionalismo, di razionalità, di stretta corrispondenza tra forma e funzione.
Non a caso, l’oratorio rotondo di villa Contarini a Piazzola sul Brenta progettato da Temanza negli anni 1757-58 risultò una variazione sul tema del tempietto palladiano di villa Barbaro a Maser.
La chiesa della Maddalena (1757-91) fu l’opera più «distinta» di Temanza, da lui stesso definita «prodigio della Provvidenza (Venezia, Biblioteca del Seminario patriarcale, ms. 318.7 (552.27), lettera a Gasparo Patriarchi datata luglio 1767). A pianta centrale, venne criticata per un eccesso di laicità, tanto da rimanere spesso chiusa al pubblico per la somiglianza al Pantheon. Oltre a questa recupero formale, Temanza volle innalzare un’architettura «vaga e superba» (Archivio storico del Patriarcato di Venezia, Descrizione della riffabrica della parte e colleggiata chiesa di S. Maria Maddalena, b. 27, f. II, pp. [35 s.]), arricchita da motivi neoegizi e palladiani.
Il progetto per la chiesa e il convento dei padri filippini a Chioggia (1755-72) trovò altre incomprensioni, tanto da ricordare le critiche mosse alla chiesa della Maddalena.
Di una residenza per i Pisani a S. Maria Zobenigo (1752) non si fece nulla, e i suggerimenti stilistici del Temanza vennero ripresi da Giorgio Massari in Palazzo Grassi.
Al 1755 va ricondotto il progetto per il teatro del Ridotto, in cui Temanza ideò un progetto particolarmente riuscito, di evidente modernità, conferendo all’atrio e agli spazi collaterali una centralità destinata ad acquisire importanza negli anni a venire.
Dal 1757 al 1759 Temanza fu impegnato nella Deputazione sopra i fiumi dello Stato e poi delle Lagune; inoltre presiedette allo scavo di alcuni canali presso Lizza Fusina, ove ritrovò resti di monumenti antichi. Queste esperienze, unite alla sua attività di studioso, lo portarono a pubblicare una Dissertazione sopra l’antichissimo territorio di Sant’Ilario nella diocesi d’Olivolo (Venezia 1761), dove diede notizia del ritrovamento del prezioso Codice del Piovego, racchiudente antichi documenti sulla Laguna di Venezia.
In qualità di architetto dei provveditori di S. Marco de ultra fu incaricato nel 1760 di restaurare il monumento dedicato a Girolamo Priuli nella chiesa di S. Salvador, danneggiato da un incendio.
Nel frattempo arrivarono i primi riconoscimenti accademici: nel 1762 venne nominato socio della Accademia de’ Ricovrati di Padova e dell’Accademia Olimpica di Vicenza.
Sempre nel 1762 compì un viaggio a Roma, passando per Firenze (dove studiò un codice del De re aedificatoria di Leon Battista Alberti) e arrivando sino a Napoli.
A Roma tornò nel 1767, chiamato da papa Clemente XIII Rezzonico per un incarico idraulico riguardante gli straripamenti del fiume Reno nelle campagne di Bologna, Ferrara e Ravenna, come illustrato nel Piano per la inalveazione delle acque danneggianti il Bolognese, il Ferrarese e il Ravennate (Roma 1767; scritto con il matematico Antonio Lecchi e l'architetto Giovanni Verace).
I soggiorni a Roma furono fondamentali non solo per gli studi che egli poté compiere sulle rovine antiche, ma anche per i contatti che riuscì ad allacciare con Girolamo Zulian, Francesco Milizia, Giovanni Bottari, Pierre-Jean Mariette, Francesco Algarotti, Giacomo Quarenghi e Jean-Arnaud Raymond.
Tale clima culturale lo spinse a concentrarsi sulla sua attività storiografica, il cui frutto più significativo furono le Vite de’ più celebri architetti e scultori veneziani che fiorirono nel secolo decimosesto (Venezia 1778), di cui erano già state stampate singolarmente, sempre a Venezia quelle di Jacopo Sansovino (1752), Andrea Palladio (1762) e Vincenzo Scamozzi (1770). Nelle Vite (che Temanza stesso definì «una storia ragionata delle Arti», Venezia, Biblioteca del seminario patriarcale, ms. 318.7, lettera a Tommaso Pedrinelli, 3 novembre 1778) l’occhio di acuto indagatore della storia architettonica si accompagnò a una capillare operazione di studio delle fonti e a un’attenta ricostruzione del gusto cinquecentesco, in grado di «purgare l’architettura» dagli esiti barocchi.
L’ammirazione per le opere palladiane portò l’autore non solo a studiare i ricercati disegni di Palladio per la chiesa di S. Petronio a Bologna, ma anche a possedere tre autografi raffiguranti le piante delle terme di Agrippa e del Pantheon e la porta dei Leoni di Verona, poi passati nella raccolta dello studioso veronese Gaetano Pinali.
Il 4 maggio 1763 l’Accademia Clementina di Bologna nominò Temanza socio accademico. Nel 1769 divenne membro della prestigiosa Accademia Reale di architettura di Parigi e nel 1774 l’Accademia di pittura, scultura e architettura di Tolosa lo elesse «accademico professore ordinario forastiere».
Nel 1765 Temanza si concentrò su una questione complessa: quale dovesse essere la tipologia originaria del soffitto del Teatro Olimpico di Vicenza. Nell’opuscolo Parere intorno la controversia sopra il soffitto del Teatro Olimpico di Vicenza, pubblicato a Venezia nel 1773, ipotizzò una copertura unitaria e, quindi, una proposta di restauro con velario unico, a differenza di chi invece sosteneva l’ipotesi di un soffitto a lacunari. Tale contesa si trascinò per tutto il Settecento, senza raggiungere una soluzione definitiva, ma dando vita a un dibattito critico di livello internazionale.
Dopo un progetto di ricostruzione del ponte delle Navi a Verona (danneggiato da una piena nel 1757), dal 1760 al 1767 Temanza si dedicò ai lavori di un ponte a chiuse a Dolo, sul ramo della Brenta Vecchia, per il quale mise a frutto la precedente esperienza di Bassano.
Negli anni 1774-75 si occupò di un progetto per la costruzione del teatro di S. Benedetto: tali disegni dovevano essere noti a Milizia, che si ripromise di pubblicarli prima che venissero smarriti.
Nel 1775 realizzò la cella del piccolo campanile della chiesa di S. Giuliano presso S. Marco e il Casino del giardiniere dietro palazzo Zenobio ai Carmini.
Nel 1780 progettò l’ampliamento della Riva degli Schiavoni fino a Sant’Elena (progetto ripreso nel secolo successivo).
L’ultimo decennio della sua vita fu dedicato a lavori di erudizione: l’Antica pianta dell’inclita città di Venezia delineata circa la metà del XII secolo (mappa pergamenacea del codice trecentesco della Chronologia Magna, Venezia 1781); una Lettera […] in difesa della sua opinione intorno ai tagli fatti dai padovani nella Brenta l’anno 1143 contradetta dal sig. Abate Gennari (Venezia 1776), la dissertazione Degli scamilli impari di Vitruvio («martello di tutti gli interpreti di Vitruvio», Biblioteca del seminario patriarcale di Venezia, ms. 314.4, lettera del 2 settembre 1780), una Memoria sopra le cisterne o pozzi di Venezia, pubblicata a Venezia nel 1805 da Pietro Lucchesi.
Risultato del suo indefesso lavoro di ricerca così come di un metodo d’indagine fedele al vero, fu lo Zibaldone di memorie storiche appartenenti a’ professori delle Belle Arti del Disegno (pubblicato solo nel 1963), in cui raccolse le sue memorie in materia di architettura, erudizione e storia dal 1738 al 1778.
Temanza morì il 14 giugno 1789: nel suo testamento espresse il desiderio di venire sepolto nella chiesa della Maddalena. In un secondo testamento, redatto il 6 luglio 1781, dispose che al cugino, Tommaso Scalfarotto, venisse lasciata la «libraria e tutti li manoscritti, zibaldoni, carte e disegni appartenenti alla nostra professione» (Archivio di Stato di Venezia, Notarile, Testamenti, 1161.572): ultima voce della sua eredità culturale.
N. Ivanoff, Introduzione, in T. Temanza, Zibaldon, a cura di N. Ivanoff, Roma 1963, pp. IX-XXVI (cui si rinvia per ulteriore bibliografia); T. Temanza, Vite dei più celebri architetti e scultori veneziani, introduzione di L. Grassi, Milano 1966; L. Olivato, T. su Palladio: note in margine a quattro lettere inedite, in Odeo Olimpico, IX-X (1970-1973), pp. 203-212; Ead., “Les monuments de Palladio […] font grande impression”: J.A. Raymond a T. T., in Arte veneta, XXIX (1975), pp. 252-258; L. Puppi, La fortuna delle Vite nel Veneto dal Ridolfi al T., in Il Vasari storiografo e artista, Atti del Congresso internazionale, Arezzo-Firenze… 1974, Firenze 1976, pp. 405-437; L. Olivato, Una relazione difficile. Lettere inedite di T. T. a Ottavio Bertotti Scamozzi, in Arte veneta, XXXIII (1979), pp. 169-173; M. Brusatin, Venezia nel Settecento: Stato, architettura, territorio, Torino 1980, pp. 223-230; L. Puppi, Giacomo Quarenghi, T. T. e Giannantonio Selva. Documenti inediti e riflessioni, in Miscellanea di studi in onore di Vittore Branca, IV, Tra Illuminismo e Romanticismo, I, Firenze 1983, pp. 185-204; L. Olivato, I testamenti di Antonio e T. T., in Arte documento, II (1988), pp. 174-178; E. Bassi, T. T. e la congregazione di Chioggia, in Annali d’architettura, I (1989), pp. 96-104; P. Valle, T. T. e l’architettura civile. Venezia e il Settecento: diffusione e funzionalizzazione dell’architettura, Roma 1989; D. Zanverdiani, T. T.: appunti per il catalogo dei disegni, in Taccuino: iconografia, misura, disegno, a cura di V. Lucchese - D. Zanverdiani, Milano 1993, pp. 83-100; C. Grandis, Un’opera di T. T. in terra d’Este: il ponte sul canale Bigatto a Montebuso, in Terra d’Este, VII (1994), pp. 59-82; S. Lodi, Studiare Sanmicheli nel Settecento. Lettere di Luigi Trezza a T. T., in Archivio veneto, CLII (1999), pp. 125-155; D. Apolloni, Pietro Monaco e la raccolta di cento dodici stampe di pitture della Storia sacra, Venezia 2000, pp. 83-89; E. Molteni, Pubblico e architettura a Venezia nel Settecento, in L’edilizia pubblica nell’età dell’Illuminismo, a cura di G. Simoncini, Firenze 2000, II, pp. 319-371; A. Piervaleriano, T. T., Pietro Gonzaga, Giannantonio Selva e Giacomo Quarenghi, in Lettere artistiche del Settecento veneziano, Vicenza 2002, I, pp. 415-430; B. Mazza Boccazzi, Da Vincenzo da Canal a Francesco Algarotti: itinerario critico, in Studi veneziani, XLIX (2005), pp. 157-169; M. Favilla - R. Rugolo, “Il sommo onor dell’arte”: Pietro Antonio Novelli nella Patria del Friuli, in Artisti in viaggio, 1750-1900. Presenze foreste in Friuli Venezia Giulia, Udine 2006, pp. 190-226; Iid., Un’architettura di “scientifica semplicità”: T. T. e la chiesa della Maddalena, in Studi veneziani, LV, (2008), pp. 203-282; E. Granuzzo, T. - Pinali - Cicognara: consonanze o coincidenze?, in Enciclopedismo e storiografia artistica tra Sette e Ottocento, Atti della Giornata di studi, Lecce… 2006, a cura di D. Caracciolo - F. Conte - A.M. Monaco, Galatina 2008, pp. 109-128; Ead., Riflessioni sulla teoria architettonica di T. T., a partire da un nucleo di lettere inedite, in Annali di critica d’arte, IV (2008), pp. 107-139; M. Rosso, Note inedite di T. T. sullo scomparso coro pensile di San Salvador, in La chiesa di San Salvador, a cura di G. Guidarelli, Saonara 2009, pp. 87-99; G. Schüßler, Geschichte der Architektur als künstlerisches Argument: die Mischordnung bei Quarenghi, Piranesi, T. und Goethe, in Beständig im Wandel: Innovationen, Verwandlungen, Konkretisierungen. Festschrift für Karl Möseneder zum 60. Geburtstag, Berlin 2009, pp. 332-352; A. Spinazzi, La biblioteca di architettura di T. T. (1705-1789), in I libri e l’ingegno. Studi sulla biblioteca dell’architettura (XV-XX secolo), a cura di G. Curcio - M.R. Nobile - A. Scotti Tosini, Palermo 2010, pp. 167-178; W. Wolters, Bauaufnahmen des T. T. von der Cappella Emiliani an S. Michele in Isola (Venedig) und der Cappella di S. Anna auf der Insel S. Maria delle Grazie, in Architectura, XL (2010), pp. 99-108; I. Chignola, Note su Giambettino Cignaroli, Antonio Balestra e altri artisti veronesi nelle lettere di Bonaventura Bini a T. T., in Arte veneta, LXVII (2011), pp. 208-218; M. Favilla - R. Rugolo, La chiesa della Maddalena, un arciprete veronese, Pierre-Jean Mariette e i saluti a Giacomo Quarenghi in partenza per la Moscovia, in Studi veneziani, LIX (2011), pp. 279-345; G. Zucconi, Da T. a Selva, l’idea di Genius Veneticus, in Da Longhena a Selva, a cura di M. Frank, Bologna 2011, pp. 201-211; E. Granuzzo, I libri di T. T.: cultura di un architetto veneziano del Settecento, Treviso 2012; L. Olivato, Un viaggio a Roma: T. T. e Pietro Antonio Novelli, in Venezia Settecento. Studi in memoria di Alessandro Bettagno, a cura di B.A. Kowalczyk, Cinisello Balsamo 2015, pp. 137-141; W. Oechslin, Scienza universale versus dottrina architettonica e sistema di regole: la storia alterna e accidentata della fortuna de L’Idea della Architettura Universale di Scamozzi, in Vincenzo Scamozzi teorico europeo, a cura di F. Barbieri - M.E. Avagnina - P. Sanvito, Vicenza 2016, pp. 120-159; C. Occhipinti, Discussioni settecentesche intorno a Vincenzo Scamozzi tra Algarotti, T. e Milizia (1744-1786), ibid., pp. 179-192; L. Kantor-Kazovsky, Piranesi’s “Carceri” and eighteenth-century reflections in Venice on the Etruscans’ contribution to architecture, in “An Etruscan affair”: the impact of early Etruscan discoveries on European culture, a cura di J. Swadding, London 2018, pp. 143-152; S. Pasquali, Algarotti, T., Milizia e le lettere degli architetti recensite nella Bibliografia storica dell’abate Angelo Comolli, in Il carteggio d’artista, a cura di S. Rolfi Ožvald - C. Mazzarelli, Cinisello Balsamo 2019, pp. 44-51.