TITTONI, Tommaso
– Nacque a Roma il 16 novembre 1855, primogenito di Vincenzo, proprietario terriero a Manziana, e di Elisa Silvestrelli.
Il padre e lo zio Angelo (v. le voci in questo Dizionario) ebbero parte nella Repubblica Romana, continuando poi un’attività di segno risorgimentale che li portò all’esilio nel 1860.
Tornato a Roma quindicenne, Tommaso fu indirizzato dal padre a Marco Minghetti e a Quintino Sella, col quale condivise anche la passione per la geologia. Nel 1874, iscritto a giurisprudenza, con altri universitari fondò L’Ateneo, mensile scientifico e letterario. Approfondì gli studi storici e giuridici a Liegi, frequentando le lezioni di Émile de Laveleye, studioso delle forme di proprietà del suolo, e a Oxford quelle di sir Henry Sumner Maine, illustre comparatista di istituti e comunità.
Collaborò al giornale L’Opinione, cofondato dal padre, e a fianco di Sella fu segretario dell’Associazione costituzionale italiana. Eletto nel 1881 consigliere per Bracciano-Campagnano, fu a lungo presidente del Consiglio provinciale di Roma. Nel 1882 risultò primo degli eletti alle votazioni municipali di Roma nella lista liberale, votato anche da membri della cattolica Unione romana, e divenne assessore. Eletto deputato nel 1886 nel collegio plurinominale di Roma III (Viterbo) s’impegnò per la costruzione della ferrovia Roma-Viterbo e per lo sviluppo del porto di Civitavecchia. Sembra che sia stato critico nei confronti dei governi Crispi per il personalismo, il controllo dei Comuni e il colonialismo in Africa orientale.
Nel 1887 nella villa Suardi di Trescore Balneario, invitato a un ricevimento da Gianforte Suardi, sindaco di Bergamo e poi deputato, conobbe Beatrice (Bice) Antona Traversi, figlia di Giovanni, già deputato della Sinistra e finanziatore dell’impresa dei Mille, e di Claudia Grismondi, di nobile famiglia bergamasca antiaustriaca, educatrice fröbeliana ed emancipazionista. I due si sposarono il 24 marzo 1888 ed ebbero tre figli: Antonio, Claudia, scomparsa a poco più di un anno, ed Elena. Al primogenito il nonno Antona Traversi lasciò nel 1900, con uso al padre, la villa di Desio, che questi ristrutturò a fondo.
Rieletto nel collegio di Roma III nel 1890, si dichiarò a favore del ritorno al collegio uninominale a due turni, stante l’inefficacia dello scrutinio di lista al fine di costituire stabili partiti. Fu la soluzione adottata. La sua prospettiva non era quella di partiti alternativi, ma la confluenza delle posizioni verso un grande centro. Molto impegno dedicò al contrasto della lotta di classe del nascente socialismo, a favore invece della costituzione di collegi arbitrali per le controversie tra capitale e lavoro. Contro un liberismo individualista in campo agrario, Tittoni si batté invece per l’ordinamento dei ‘domini collettivi’, riuscendo nella nuova legislatura iniziata nel novembre del 1892, quando fu rieletto con grande consenso nel collegio di Civitavecchia, a far approvare la legge 397 del 4 agosto 1894, conferente personalità giuridica ad associazioni, partecipanze e università agrarie a proprietà collettiva presenti negli ex Stati pontifici e in Emilia. Si ripresentò con successo anche nel maggio del 1895, spinto dalle società agrarie e operaie del suo territorio, ma fu ben presto deluso dal rinnovato autoritarismo crispino, nonché dal non expedit di papa Leone XIII ribadito proprio alla vigilia delle elezioni.
Deciso a riprendere gli studi, e nonostante il ritorno al governo di Antonio Starabba di Rudinì dopo Adua, Tittoni rinunciò a ripresentarsi alle elezioni del 21 marzo 1897. Nella primavera del 1898, in un periodo di disordini e tumulti, fu proprio di Rudinì a richiamarlo al ‘dovere civile’, proponendogli la nomina a prefetto di Perugia. L’accettazione significò tre anni di gestione dell’ordine pubblico, con misura e determinazione, in quella provincia, ove fu garantita anche una libertà religiosa fino ad allora messa a rischio dalle provocazioni anticlericali. Fu il nuovo presidente del Consiglio Giuseppe Saracco a prospettargli nell’estate del 1900 una nuova sede prefettizia: Napoli, città in crisi, con giri camorristici e un ceto di affaristi legato ad appalti di ditte estere, cui afferivano lo stesso sindaco Celestino Summonte e il deputato Alberto Agnello Casale, in parte coperti da Il Mattino di Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao. Processato Casale, Saracco sciolse l’amministrazione comunale e istituì una commissione d’inchiesta con a capo il presidente del Consiglio di Stato Giuseppe Saredo. Nel febbraio del 1901 Giuseppe Zanardelli successe a Saracco, con Giovanni Giolitti agli Interni, che stabilì una salda intesa con il prefetto Tittoni, impegnato nel risanamento delle Opere pie, nel contrasto con il direttore delle tramvie Villers e nell’affrontare i conflitti sociali, risolti, come a Torre Annunziata, con lodo prefettizio e arbitrato.
Il 25 novembre 1902 Zanardelli nominò Tittoni senatore su indicazione di Giolitti. Nell’aprile del 1903 il suo stile nell’accoglienza e la sua competenza linguistica colpirono re Edoardo VII del Regno Unito in soggiorno privato a Napoli, come anche re Vittorio Emanuele III. È in questo periodo che Tittoni iniziò a siglare con XXX una rubrica di politica internazionale sulla Nuova Antologia dell’amico Maggiorino Ferraris, che proseguì per tutto il suo incarico agli Esteri, fino al 1909. Giolitti, presidente del Consiglio dal novembre del 1903, lo volle infatti ministro, d’intesa con il re che Tittoni, come primo incarico, accompagnò a Londra nella restituzione della visita dell’aprile dello stesso anno. Qui conobbe Arthur James Balfour e Henry Petty-Fitzmaurice di Lansdowne alla vigilia dell’uscita del Regno Unito dallo ‘splendido isolamento’. Il 15 dicembre 1903, all’esordio alla Camera, ove era atteso da alcuni con curiosità e da altri con scetticismo, Tittoni dettò la sua linea in continuità con la politica di Emilio Visconti Venosta: «Mantener salda la Triplice Alleanza, mantenere e consolidare l’amicizia sincera con l’Inghilterra e con la Francia» (Atti Camera, 15 dicembre 1903, p. 9887). Cambiò vari titolari d’ambasciata e incise nella vita della Consulta, fino al nuovo ordinamento generale del 1908. Nell’aprile del 1904, incontrò ad Abbazia il collega asburgico Agenor Goluchowski per discutere del problema balcanico e del presidio interforze macedone, assegnato a un comando italiano in seguito all’accordo di Murzsteg. Dovette scontare l’avversione dell’ambasciatore germanico a Roma Anton Monts e l’azione di quello francese, Camille Barrère, che sosteneva in vari modi le posizioni antitripliciste e irredentiste, al fine di distaccare l’Italia dalla Triplice Alleanza. La visita del presidente francese Émile Loubet a Roma, nell’aprile del 1904, non solo fu occasione di mobilitazioni dell’estrema sinistra, ma causò, come previsto, problemi anche in Vaticano, che protestò per l’offesa recata al papa dal capo di una nazione cattolica, e ciò pose le basi per la separazione Oltralpe tra Stato e Chiesa. Sia Giolitti che Tittoni giudicarono il caso come un fatto di politica interna francese, e il presidente del Consiglio, rispondendo alla Camera a discorsi ideologicamente laicisti, si espresse con la formula cavouriana su Stato e Chiesa da lui aggiornata nel senso di «due parallele che non si debbono incontrare mai» (G. Giolitti, Atti Camera, 30 maggio 1904, p. 13.135). Giolitti era proteso a coinvolgere i socialisti di segno riformista, mentre Tittoni volgeva lo sguardo all’altro mondo fuori dal sistema: i cattolici sociali. Ciò fu chiaro nel 1904, dopo un esteso sciopero generale che rivelò punti deboli nell’organizzazione dello Stato e del servizio ferroviario. Si vollero elezioni anticipate e un disegno pensato tra Tittoni e le organizzazioni cattoliche di Bergamo portò a ottenere un tacito consenso di papa Pio X nel far partecipare alcuni candidati cattolici alle elezioni, lasciando alla coscienza dei fedeli la decisione di andare alle urne. Pur crescendo nel voto, a novembre le posizioni estreme furono arginate, specie ai ballottaggi, e iniziò la stagione dei «cattolici deputati» (fra i primi due eletti: Agostino Cameroni a Treviglio e Carlo Ottavio Cornaggia Medici nel collegio di Milano IV).
Nel marzo del 1905, nel pieno dello scontro sulla statizzazione delle ferrovie, Giolitti si dimise, indicando in Alessandro Fortis e in Tittoni gli uomini attorno ai quali costituire un nuovo governo. Viste le difficoltà su Fortis, il re incaricò come presidente del Consiglio ad interim Tittoni, che condusse la Camera a trovare consenso sul politico forlivese, neutralizzando un disegno di rottura interno alla maggioranza. Ministro degli Esteri nel primo governo Fortis, Tittoni lasciò il campo ad Antonino Paternò Castello marchese di San Giuliano nel secondo ministero Fortis per la nomina nel marzo del 1906 ad ambasciatore a Londra, dove operò per l’accordo anglo-franco-italiano per le sfere d’influenza in Africa orientale. L’esperienza era confacente alle aspirazioni di Tittoni, ma durò soltanto i pochi mesi del ministero presieduto da Sidney Sonnino (febbraio-maggio del 1906), al cui termine fu chiamato a riprendere il suo posto nel terzo governo Giolitti. Si trattava di un difficile momento per la politica estera italiana che doveva confrontarsi con il protagonismo di Guglielmo II, la Conferenza di Algesiras, il cambio agli Esteri a Vienna con Alois Lexa von Aehrenthal, la concorrenza ferroviaria nei Balcani. Tittoni fu considerato triplicista dalla Sinistra, dagli irredentisti e dai francesi, e antitriplicista dagli alleati degli Imperi centrali. Quando l’Austria-Ungheria, forzando la lettera del Trattato di Berlino, compì l’annessione della Bosnia nell’ottobre del 1908 senza riconoscere all’Italia alcun ‘compenso’, l’atto causò aspre critiche a Tittoni, che pensò al ritiro, ma fu trattenuto da Giolitti. Tittoni continuò nel suo disegno di garanzia e mediazione, volgendosi anche verso la Russia, potenza protettrice delle nazioni slave nei Balcani. Dopo che nel 1903 era stata osteggiata e resa impossibile da campagne ostili, nell’ottobre del 1909 poté realizzarsi la visita in Italia dello zar Nicola II, ricevuto a Racconigi, dove Tittoni potè stabilire con il collega Alexander Izvolskij un accordo in cinque punti, che riconosceva le nazionalità nei Balcani e gli interessi russi sugli stretti come quelli italiani in Libia.
Dall’aprile del 1910 Tittoni fu ambasciatore a Parigi, ove restò fino all’ottobre del 1916, stabilendo con il ministro il marchese di San Giuliano un contatto continuo e un’intesa sia politica sia personale fino alla sua morte avvenuta nel 1914. Neutralista con Giolitti, scontò poi una distanza, storica, con Sonnino agli Esteri più che con il presidente del Consiglio Antonio Salandra, meritandosi una fama immeritata di ‘gallofobo’, condivisa sia a Parigi da Georges Clemenceau che a Roma da Barrère. Da questa accusa si difese controbattendo in conferenze al Trocadero e nell’aula magna della Sorbona, così come in una lettera al direttore della Nuova Antologia sulle cause della guerra e sulla doppiezza e sul tradimento dell’Austria-Ungheria. Lasciata Parigi per motivi di salute, tornò agli studi scientifici, letterari e di diritto pubblico, per essere poi richiamato agli Esteri nel governo presieduto da Francesco Saverio Nitti nel giugno del 1919: mesi cruciali per i trattati di pace – firmò quello di Saint-Germain con l’Austria – e per l’insorgere della questione fiumana, ove tentò di mediare trovando chiusure e ostilità specialmente nel presidente Woodrow Wilson. Cercò, imprudentemente, un’intesa con la Grecia di Eleuterios Venizelos, che non ebbe seguito.
Lasciò gli Esteri in vista della sua elezione, il 5 dicembre 1919, alla presidenza del Senato, dopo esser stato presidente della commissione per la riforma della Camera alta. Rieletto nel 1921 e nel 1924, mantenne con autorità e competenza la carica per fedeltà alla monarchia, fino al 1929.
Rappresentante dell’Italia nel Consiglio della Società delle Nazioni, espresse posizioni liberiste e disarmiste, critiche della severità punitiva verso la Germania. Accademico dei Lincei, fu invitato nel 1921 negli Stati Uniti per conferenze universitarie sulla situazione economica e culturale italiana. Vide nel fascismo al governo il necessario fattore di reintegrazione e ricostruzione dell’ordine e degli istituti pubblici, pur formulando in Senato una severa condanna della violenza, come in occasione del caso Matteotti, e non aderendo all’Unione dei senatori fascisti. Nell’aprile del 1923 fu insignito del collare dell’Annunziata. Si dedicò al rilancio della Nuova Antologia dopo la morte nel 1926 di Ferraris, come presidente del comitato di redazione e della società anonima editoriale. Lasciata la presidenza del Senato, inaugurò da presidente l’Accademia d’Italia il 28 ottobre 1929, incarico cui dovette rinunciare per infermità sopravvenuta nel settembre del 1930. Morì a Roma il 7 febbraio 1931.
Scritti e discorsi. Due anni di politica estera, Roma 1906; Sei anni di politica estera, Roma 1912; Il giudizio della storia sulla responsabilità della guerra, Milano 1916 (tradotto in francese e in inglese: Le jugement de l’histoire sur la responsabilite de la guerre, Paris-Barcelone 1916; Who was responsible for the war? The verdict of history, Paris-Barcelone 1918); Conflitti politici e riforme costituzionali, Bari 1919; Per la guerra e per la pace, Milano 1919; L’Italia alla Conferenza della Pace, Roma 1921 (con V. Scialoja); Modern Italy. Its intellectual, cultural and financial aspects, New York 1922; Durante la presidenza del Senato, Milano 1924; International economic and political problems of the day and some aspects of fascism, London 1926; Questioni del giorno. Tunisia, Abissinia, Bessarabia, Libia, Jugoslavia, Albania, Milano 1928; Nuovi scritti di politica interna ed estera, Milano 1930.
Fonti e Bibl.: F. Tommasini, L’Italia alla vigilia della guerra. La politica estera di T. T., I-V, Bologna 1934-1941, ad indices; L. Albertini, Vent’anni di vita politica italiana, I-V, Bologna 1950-1953, ad indices; I documenti diplomatici italiani, s. 3 (1896-1907), s. 4 (1908-1914), s. 5 (1914-1918), s. 6 (1918-1922), ad indices; L. Monzali, La politica coloniale africana di T. T. nel 1919, in Clio, XL (2004), 4, pp. 565-627; V.G. Pacifici, Tre Presidenti del Consiglio dell’Italia liberale: Giuseppe Zanardelli, T. T., Alessandro Fortis, Tivoli 2012; F. Grassi Orsini, T., T., in Dizionario del liberalismo italiano, II, Soveria Mannelli 2015, s.v.; Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, sub voce, https://notes9.senato.it/ Web/senregno. NSF/T_l2?OpenPage.