VINCIDOR, Tommaso
– Nulla si sa della sua famiglia di origine, così come si ignorano l’esatta data di nascita, presso chi abbia effettuato l’apprendistato e quando sia giunto a Roma dalla natia Bologna.
La prima notizia documentaria relativa a Vincidor risale al 1517. Il 10 gennaio di quell’anno, «Thoma Andreae Bononiensis, pictor» viene citato in veste di testimone in un atto notarile per un prestito concesso a Raffaello Sanzio (Gnoli, 1889, pp. 34 s.; Dacos, 1980, p. 93). La sua presenza come testimone nel documento del 1517 suggerisce che, entro questa data, egli avesse raggiunto la maggiore età (collocando il termine ante quem per la sua nascita intorno al 1493), e facesse ormai stabilmente parte della bottega di Raffaello. Considerazioni stilistiche, in particolare in relazione alle grisailles nella stanza della Segnatura e nella stanza di Eliodoro nei palazzi Vaticani, hanno indotto a ipotizzare una sua presenza nei cantieri raffaelleschi già a partire dal 1514 (Dacos, 2010, pp. 354 s.). Ricordato da Giorgio Vasari al lavoro nelle logge Vaticane intorno al 1517-18 (Vasari, 1568, 1976), sempre su basi stilistiche gli sono stati attribuiti alcuni degli affreschi realizzati in questo cantiere raffaellesco, dove il pittore sembra aver lavorato in collaborazione con un altro artista emiliano, Pellegrino da Modena (Dacos, 1986; Ead., 2010, p. 356).
Circa un mese dopo la morte di Raffaello, Vincidor lasciò Roma diretto nelle Fiandre per conto di Leone X, come risulta da una lettera di raccomandazione composta in latino dal cardinale Pietro Bembo e firmata dal papa (Pinchart, 1854, p. 539). Datata 21 maggio 1520, la lettera fu indirizzata a Tommaso, pittore bolognese, membro della famiglia papale, inviato nelle Fiandre per condurvi un non meglio specificato negozio per conto del papa. La natura della missione è chiarita in una seconda lettera, non firmata ma concordemente attribuita dagli studi a Tommaso, inviata a Leone X in data 20 luglio 1521, probabilmente da Bruxelles (Müntz, 1896, p. 73; Id., 1899, pp. 336-338). In essa il pittore precisava di avere portato a termine, con l’intervento di aiuti, i venti cartoni necessari alla realizzazione delle spalliere della sala di Costantino, ovvero la serie di arazzi noti come Giochi di putti, che sarebbero poi stati tessuti presso l’atelier di Pieter van Aelst (Dacos, 2004, p. 177, per un elenco dei cartoni relativi a questa serie a lui attribuiti). Il riferimento alla partecipazione di aiuti suggerisce che, sin dall’inizio del suo soggiorno a Bruxelles, il pittore avesse organizzato una bottega per far fronte alle impegnative commissioni papali (pp. 177-179). Tra i suoi assistenti è possibile identificare Pedro Serafino, giunto forse con lui nelle Fiandre e che avrebbe collaborato a numerosi progetti prima di tornare in Italia (Dacos, 1998, pp. 162 s.; Ead., 2004, soprattutto p. 177, per un elenco dei disegni eseguiti in collaborazione); Lambert Suavius, la cui mano è riconoscibile in alcuni modelli per una serie di arazzi commissionata da Francesco I di Francia con le Storie di Amore e Psiche, su disegni di Perin del Vaga (Dacos, 2003, in particolare p. 104); Bernard van Orley (Sammer, 2013, p. 116); Léonard Thiry (Dacos, 2001, soprattutto pp. 103 s.; Ead., 2004, p. 178).
Nella stessa lettera del 1521 l’artista dichiarava di essere impegnato in una seconda commissione per conto di Leone X, ovvero nell’esecuzione dei cartoni per la «storia del leto», il paramento destinato a ornare il letto papale un tempo presente nella sala dei Palafrenieri (Müntz, 1896, p. 73); la reiterata richiesta dell’invio di alcuni ritratti necessari per completare una delle scene dimostra che Tommaso lavorava già da qualche tempo a questa impresa (Campbell, 1996; Sammer, 2013, pp. 116-119). In chiusura di lettera, l’artista si raccomandava al papa affinché non gli venisse revocata la pensione di cui godeva da anni e si lamentava delle condizioni del suo soggiorno a Bruxelles, in particolare della pazienza necessaria a trattare con «barbari strani luntani», indizi che lasciano intuire una certa frustrazione e il desiderio di rientrare in patria (Dacos, 2004, p. 176). In realtà, la morte di Leone X nel 1521, il sacco di Roma nel 1527, l’impegnativo lavoro di preparazione dei cartoni per le molte commissioni papali, nonché la fortuna riscossa nelle Fiandre, dove Tommaso svolse un importante ruolo di diffusore delle idee e dei modelli raffaelleschi (Dacos, 2001; De Jonge, 2010, p. 309; e Sammer, 2013), resero sempre più problematico il suo ritorno. In particolare, il pittore fu impegnato nella supervisione della tessitura degli arazzi della Scuola Nuova per Clemente VII, destinati alla sala del Concistoro, commissione che si protrasse dal 1524 al 1531 (Dacos, 1980, pp. 79-81). L’artista collaborò anche, ma con un ruolo limitato, nella realizzazione delle Storie di Scipione, un ciclo di ventidue arazzi su disegno di Giulio Romano, commissionati nel 1532 da Francesco I e realizzati a Bruxelles entro il 1535 (Dacos, 2004, pp. 179 s.).
Nel settembre del 1520 Tommaso si trovava ad Anversa, dove incontrò per la prima volta Albrecht Dürer, come quest’ultimo ricordò nel suo taccuino di viaggio nei Paesi Bassi (Veth - Müller Franz, 1918; Dacos, 1980, p. 94). Nell’ottobre del 1520 ne dipinse il ritratto, ora perduto ma noto grazie a un’incisione di Andreas Stock datata 1629, nella quale l’opera è ascritta a «Thomas Vincidor de Boloignia». L’artista tedesco contraccambiò ritraendolo a carboncino nell’aprile del 1521 (collocazione ignota; opera forse perduta). L’ultimo incontro documentato tra i due avvenne a Bruxelles nel luglio del 1521.
Intorno al 1530, probabilmente per problemi con la giustizia (Dacos, 1980, p. 91), l’artista decise di abbandonare Bruxelles e con essa la produzione di cartoni per arazzi, cercando di applicare le proprie competenze artistiche in altri settori, come la miniatura (per il tentativo fallito di soppiantare António de Holanda nell’impresa delle Genealogie dei re di Portogallo si veda ibid., pp. 90 e 98).
Maggior fortuna Vincidor riscosse dedicandosi all’architettura, campo nel quale si guadagnò una solida reputazione. Negli atti di un processo svoltosi a Utrecht nel 1542-43, è citato come esempio di pittore che fu anche architetto (ibid., p. 96). Suo è infatti il progetto per la nuova residenza di Enrico III di Nassau, uno dei più stetti consiglieri dell’imperatore Carlo V, a Breda (Wezel, 1999, pp. 94-149, 153 s.; De Jonge, 2010). La sua presenza a Breda è documentata per la prima volta in una lettera variamente datata 9 settembre 1530 (De Jonge, p. 310) o 1531 (Dacos, 1980, pp. 95 s., tuttavia in forma dubitativa; Wezel, 1999, p. 421). Benché non si possa escludere che egli fosse già stato coinvolto in una fase precedente dei lavori (De Jonge, 2010, p. 310), è più probabile che subentrasse come progettista del palazzo solamente dopo la morte dell’architetto Rombout II Keldermans (1531), al quale si era inizialmente rivolto il committente (Dacos, 1980, p. 91). Firmata da Enrico di Nassau e indirizzata a Vincidor (ibid., p. 96, legge l’appellativo che segue il nome del destinatario come «paintre de Bruxelles», mentre Pinchart, 1854, p. 541, e Wezel, 1999, p. 421 lo interpretano come «peintre de l’Empereur»), la lettera menziona un sopralluogo effettuato dall’artista, con ogni probabilità al cantiere del palazzo. Il documento fa inoltre riferimento alla richiesta di Tommaso di potersi trasferire a Breda, desiderio che Enrico di Nassau si dichiarava disposto a soddisfare a patto che la decisione non intralciasse il corso della giustizia, probabile allusione a qualche procedimento giudiziario nel quale Tommaso era coinvolto. La sua presenza stabile a Breda è documentata nel 1534 (Pinchart, 1854, pp. 541 s.; Dacos, 1980, p. 96).
Una lettera scritta da Jean de Renesse al suocero Enrico di Nassau il 4 ottobre 1537, nella quale si riferiva che Vincidor stava al tempo preparando i disegni per le serrature del palazzo di Breda, prova che l’artista era coinvolto nella progettazione non solo del palazzo ma anche dei dettagli decorativi del nuovo edificio (Wezel, 1999, p. 421). Lo stesso documento mette inoltre in discussione la possibilità che egli sia effettivamente morto nel 1536, come sostenuto dalla maggior parte della critica sulla base di un’annotazione tratta da un libro di conti del palazzo di Breda (ora non più rintracciabile), trascritta da Alexandre Pinchart (1854, p. 542: «haeredes Thomae Vincidoris de Bologna, pictoris»). Gerard van Wezel (1999, p. 153), seguito da Krista De Jonge (2010, pp. 311-313), ritiene che Pinchart trascrivesse in realtà un passaggio dell’opera dell’antiquario Hubertus Goltzius, il quale, recatosi a Breda nel 1556, visitò la collezione di medaglie e monete antiche di proprietà degli «haeredes Thomae Vincidoris de Bononia» (Goltzius, 1563, [p. 253]; Dacos, 1980, pp. 96 s.). Se questa interpretazione è corretta, il termine ante quem per la morte dell’artista dovrà essere spostato al 1556. La testimonianza di Goltzius suggerisce comunque che l’artista abitò a Breda sino alla morte e che nel corso della sua vita raccolse una collezione di piccole antichità che godeva di una certa fama.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite... (1550 e 1568), a cura di R. Bettarini - P. Barocchi, IV, Firenze 1976, p. 197; Hubertus Goltzius, C. Iulius Caesar, sive historiae imperatorum Caesarumque Romanorum ex antiquis numismatibus restitutae, Brugis 1563, appendice senza numero di pagina [p. 253]; A. Pinchart, T. V. de Bologne, peintre et architecte du XVIe siècle, in Bulletins de l’Académìe Royale des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts de Belgique, XXI (1854), pp. 538-549; D. Gnoli, Documenti inediti relativi a Raffaello d’Urbino, in Archivio storico dell’arte, II (1889), pp. 34-36; E. Müntz, The pupils of Raphael and the pretended author of the South Kensington cartoons, in The Athenaeum, 3585 (11 luglio 1896), pp. 71-74; E. Müntz, Un collaborateur peu connu de Raphaël: T. V. de Bologne, in La revue de l’art ancien et moderne, 1899, vol. 6, pp. 335-338; J. Veth - S. Müller Franz, Albrecht Dürers Niederländische Reise, Berlino-Utrecht 1918, p. 62; F. Filippini, T. V. da Bologna scolaro di Raffaello e amico del Dürer, in Bollettino d’arte del ministero della Pubblica Istruzione, XXII (1928-1929), pp. 309-324; N. Dacos, T. V.: un élève de Raphael aux Pays-Bas, in Relations artistiques entre les Pays-Bas et l’Italie à la Renaissance: études dédiées à Suzanne Sulzberger, Bruxelles 1980, pp. 61-99; Ead., Le logge di Raffaello. Maestro e bottega di fronte all’antico, Roma 1986, pp. 94-96, 156-160, 175-178; T.P. Campbell, Pope Leo X’s consistorial ‘letto de paramento’ and the Boughton House cartoons, in The Burlington Magazine, CXXXVIII (1996), pp. 436-445; N. Dacos, Perin del Vaga et trois peintres de Bruxelles au palais Della Valle, in Prospettiva, 1998, nn. 91-92, pp. 159-170; G.W.C. van Wezel, Het paleis van Hendrik III graaf van Nassau te Breda, Zwolle 1999, pp. 94-149, 153 s., 421; N. Dacos, Autour de l’Adoration des bergers de T. V.: Léonard Thiry, le maître du Fils prodigue et les autres, in Artium historia, II, Liber amicorum Raphaël de Smedt, a cura di J. Vander Auwera et al., Louven 2001, pp. 95-116; Ead., De Perin del Vaga à Lambert Suavius: les histoires d’Amour et Psyché, in Revue belge d’archéologie et d’histoire de l’art, LXXII (2003), pp. 81-112; Ead., Un raphaélesque calabrais à Rome, à Bruxelles et à Barcelone: Pedro Seraphín, in Locus amoenus, 2004, n. 7, pp. 171-196; Ead., T. V. e la diffusione del raffaellismo nei Paesi Bassi, in Crocevia e capitale della migrazione artistica: forestieri a Bologna e bolognesi nel mondo (secoli XV-XVI). Atti del Convegno internazionale... 2009, a cura di S. Frommel, Bologna 2010, pp. 351-364; K. De Jonge, Importazione, invenzione, assimilazione: Vincidor di Bologna architetto nelle Fiandre, ibid., pp. 309-320; J. Sammer, T. V. and the Flemish Romanists, in Late Raphael. Atti del Congresso internazionale..., 2012, a cura di M. Falomir, Madrid 2013, pp. 116-125.