Torace
Il torace è la parte del corpo compresa fra il collo e l'addome. Comunica con il collo per mezzo dell'apertura superiore, delimitata in senso anteroposteriore dal margine superiore del manubrio sternale, dalla prima costa e dalla prima vertebra toracica; inferiormente, è separato dalla cavità addominale per mezzo del diaframma. In corrispondenza delle spalle dà attacco agli arti superiori. Forma e dimensioni del torace sono dipendenti dal sesso e dal tipo somatico. Mediamente, in dimensione verticale, misura 15-18 cm anteriormente e 30-32 cm posteriormente. Nel longilineo, il diametro trasversale è ridotto, mentre nel brachitipo è maggiore. Con le sue pareti, costituite da tegumenti, muscoli e uno scheletro osseo detto gabbia toracica, delimita un'ampia cavità, nella quale sono contenuti il cuore con i grossi vasi che da esso si dipartono, la parte inferiore della trachea, i bronchi, i polmoni, gran parte dell'esofago e il timo.
La parete toracica è costituita dalla cute, che è sottile anteriormente e spessa posteriormente, dal sottocutaneo, nel cui contesto si trovano vasi e nervi superficiali, dai muscoli e dalle coste. Tra i vasi superficiali si ricordano l'arteria toracica esterna, ramo dell'arteria ascellare, e le vene toracoepigastrica e toraciche laterali, che si gettano nella vena ascellare.
Muscoli del torace Profondamente al sottocutaneo, sulla parete anteriore del torace, si trova il muscolo grande pettorale, che si inserisce sullo sterno, sulle coste e sulla clavicola, per raggiungere lateralmente l'omero. Profondamente al muscolo grande pettorale, si trova un piano muscoloaponeurotico, costituito dall'aponeurosi clavicoracoascellare, la quale comprende i muscoli succlavio, in alto, e il muscolo piccolo pettorale, subito al di sotto di questo. La parete laterale del torace è ricoperta dal muscolo dentato anteriore, quella posteriore dal muscolo trapezio e dal muscolo grande dorsale. In un piano più profondo, si trovano il muscolo romboide e i muscoli dentati posteriori, superiore e inferiore. La parete inferiore del torace è costituita dal diaframma, un muscolo piatto, a forma di cupola concava nel suo versante addominale. Esso presenta una porzione carnosa periferica e una tendinea centrale. A sua volta, la porzione periferica è distinta in una parte anteriore o sternale, una laterale o costale, e una posteriore o lombare. La porzione lombare del diaframma, attraversata dall'esofago, è costituita, per ciascun lato, da due pilastri, che, anteriormente alla colonna vertebrale, delimitano un canale attraverso cui passano l'aorta, il dotto toracico e la vena azygos. La porzione tendinea è a forma di trifoglio. Nella sua parte destra si trova il foro che dà passaggio alla vena cava inferiore.
Coste e muscoli intercostali L'architettura portante della parete del torace è sostenuta dalla porzione toracica della colonna vertebrale, costituita da dodici vertebre, dalle coste e dallo sterno, ed è completata dai muscoli e dalle fasce che chiudono gli spazi intercostali. Le vertebre toraciche, lo sterno e le coste nel loro insieme formano la gabbia toracica. Lo sterno è un osso piatto, diviso in tre porzioni: quella superiore, trapezoidale e slargata, è detta manubrio, quella centrale corpo, quella inferiore processo ensiforme o xifoideo. Le coste, in numero di dodici paia, sono ossa piatte allungate e nastriformi, conformate ad arco. Sono distinte in vere, false e fluttuanti. Le coste vere si articolano, separatamente le une dalle altre, con la colonna vertebrale posteriormente e con lo sterno anteriormente. Ogni costa vera è formata da una porzione ossea e da una porzione anteriore cartilaginea. Le coste false, mentre posteriormente si articolano separatamente con la colonna vertebrale, anteriormente si uniscono tra loro prima di andare a raggiungere lo sterno. Le coste fluttuanti, ovvero le ultime due, si articolano esclusivamente con la colonna vertebrale.
Durante gli atti respiratori, le articolazioni costovertebrali consentono i movimenti della gabbia toracica. Le articolazioni delle coste con la colonna vertebrale sono due per ciascuna costa: ciascuna estremità vertebrale della costa presenta infatti una testa, che si congiunge ai corpi vertebrali, e un tubercolo, che si articola al processo trasverso delle vertebre. Gli spazi intercostali sono occupati dai muscoli intercostali, che per ciascuno spazio si distinguono in esterni, medi e interni. I muscoli intercostali esterni continuano anteriormente con la lamina intercostale esterna che raggiunge lo sterno; i muscoli intercostali interni iniziano anteriormente dallo sterno e continuano posteriormente con la lamina intercostale interna. Il margine inferiore di ciascuna costa e i muscoli intercostali interno ed esterno delimitano, per ciascuno spazio intercostale, una fessura, nella quale decorrono l'arteria, le vene e il nervo intercostali. Gli spazi intercostali sono rivestiti superficialmente dalla fascia intercostale e profondamente dalla fascia endotoracica. La fascia intercostale è una lamina connettivale sottile che riveste la superficie esterna delle coste e dei muscoli della parete compresi tra esse, separandoli così da quelli più superficiali. Anche la fascia endotoracica è costituita da una lamina connettivale che riveste tutta la superficie interna della parete, disponendosi tra le sue strutture ossee e muscolari e la pleura parietale, che riveste i polmoni. Anteriormente, tra la fascia endotoracica e le coste, si trova il muscolo trasverso del torace. Profondamente alla fascia endotoracica, sui due lati dello sterno e a ridosso delle strutture ossee, decorre l'arteria toracica interna, accompagnata da due omonime vene satelliti e da alcuni linfonodi.
Cuore Il cuore è un organo muscolare cavo, approssimativamente a forma di cono, posto al centro della gabbia toracica, in mezzo ai polmoni. Con le sue contrazioni ritmiche determina e mantiene la circolazione sanguigna. Pesa circa 300 g nell'uomo adulto e 250 g nella donna. È avvolto da un sacco connettivale, il pericardio fibroso, fissato alla colonna vertebrale, allo sterno e al diaframma da appositi legamenti. All'interno del pericardio fibroso è disposta una lamina sierosa, che riveste sia la superficie interna dello stesso sia la superficie esterna del cuore (pericardio sieroso parietale e viscerale). Nel cuore si distinguono una faccia anteriore o sternocostale, una faccia posteroinferiore o diaframmatica, una base, in alto, e un apice in basso. Unendo idealmente secondo una linea retta il centro della base del cuore all'apice, si traccia un asse virtuale, l'asse cardiaco, che in condizioni normali è diretto dall'alto in basso, da destra a sinistra, dall'indietro in avanti. La faccia anteriore del cuore è divisa da un solco trasversale, il solco coronario, in due parti: una superiore o atriale e una inferiore o ventricolare. La porzione superiore mostra, a destra e a sinistra, due appendici: le auricole. La porzione inferiore è a sua volta divisa in due sezioni da un solco longitudinale o interventricolare anteriore. Sulla porzione ventricolare destra, in prossimità del solco coronario, si trova un rilievo, il cono dell'arteria polmonare. La faccia diaframmatica mostra un solco trasversale, il solco coronario, che separa la porzione atriale dalla ventricolare, e un solco longitudinale, il solco interventricolare posteriore. L'interno del cuore è diviso in quattro cavità: due superiori, gli atri destro e sinistro, e due inferiori, i ventricoli destro e sinistro. L'atrio destro, di forma irregolarmente cuboidea, presenta sulla sua parete superiore lo sbocco della vena cava superiore, e su quella inferiore gli sbocchi della vena cava inferiore e del seno coronario; questi ultimi due orifizi sono dotati di valvole piccole e insufficienti: la valvola di Eustachio per la vena cava inferiore e la valvola di Tebesio per il seno coronario. Sulla parete laterale destra si trova l'orifizio dell'auricola destra. La parete laterale sinistra, o mediale, è costituita dal setto interatriale, in cui è presente, durante il periodo embrionale, il foro di Botallo, che scompare dopo la nascita. La parete anteriore presenta l'orifizio atrioventricolare destro, munito della valvola tricuspide, così chiamata perché costituita da tre lembi valvolari. L'atrio sinistro, di forma pressoché ovoidale, mostra nella sua parete posteriore lo sbocco delle vene polmonari. La parete laterale destra, che lo separa dall'atrio destro, è costituita dal setto interatriale. Sulla parete laterale sinistra si apre l'orifizio dell'auricola sinistra. Infine, la parete anteriore comprende l'orifizio atrioventricolare sinistro, chiuso dalla valvola mitrale o bicuspide, dotata di due lembi. La superficie interna dei ventricoli è caratterizzata dalla presenza di particolari rilievi muscolari, le trabecole carnee. Queste si presentano sotto tre diversi aspetti: come semplici rilievi aderenti per tutta la loro estensione alla superficie ventricolare (trabecole carnee di III ordine), o aderenti alla parete ventricolare solo per la loro estremità (trabecole carnee di II ordine), oppure fissate alla parete ventricolare unicamente per mezzo della loro base (muscoli papillari o trabecole carnee di I ordine). Sull'apice libero dei muscoli papillari sono inseriti dei piccoli tendini, le corde tendinee, che vanno a raggiungere il versante ventricolare dei lembi valvolari sia della tricuspide che della bicuspide. Le corde tendinee possono essere di I ordine, se raggiungono il margine libero del lembo valvolare, di II ordine, se raggiungono il versante ventricolare del lembo, e di III ordine, se ne raggiungono il margine fisso. Nel ventricolo sinistro, all'origine dell'aorta, è collocata la valvola semilunare aortica. Nel ventricolo destro, all'origine dell'arteria polmonare, è collocata la valvola semilunare polmonare. Ciascuna valvola semilunare è costituita da tre lembi valvolari a forma di nido di rondine, con la concavità rivolta verso l'arteria. Le valvole semilunari costituiscono il dispositivo valvolare arterioso, mentre la valvola tricuspide e la valvola bicuspide o mitrale costituiscono il dispositivo valvolare atrioventricolare. Dell'architettura del cuore vanno ancora ricordati lo scheletro e il sistema di conduzione. Lo scheletro del cuore è costituito da quattro anelli fibrosi, che delimitano i due orifizi atrioventricolari e i due orifizi arteriosi. Questi anelli fibrosi sono uniti tra loro da strutture connettivali, i trigoni destro e sinistro e il tendine del cono. Il sistema di conduzione del cuore, costituito da tessuto miocardico specifico, è composto dalle seguenti strutture: un addensamento di miocardio specifico, situato in prossimità dello sbocco della vena cava superiore, denominato nodo del seno o nodo senoatriale; il nodo atrioventricolare, localizzato nella parte alta del setto interventricolare, al quale fa seguito il fascio di His, compreso nel setto stesso; infine, due rami di divisione del fascio di His, le branche destra e sinistra. Le pareti del cuore sono costituite dal miocardio comune e dal miocardio specifico (v. II, cap. 2: Cellule e tessuti, Tessuto muscolare). Il cuore è irrorato dalle due arterie coronarie, destra e sinistra, che originano dal seno aortico, nella regione delle valvole semilunari destra e sinistra. L'arteria coronaria destra decorre inizialmente nel solco coronario, da cui fuoriesce formando un ramo interventricolare posteriore che si spinge fino all'apice del cuore. L'arteria coronaria sinistra presenta dapprima un tronco comune, che si divide ben presto in un ramo interventricolare anteriore e nell'arteria circonflessa. La circolazione coronaria è di tipo terminale, nel senso che ogni più piccolo ramo irrora il proprio territorio muscolare, e non esistono anastomosi tra i diversi rami delle stesse arterie. Questa particolare condizione anatomica è tale da favorire l'insorgenza dell'infarto del miocardio. Il sangue venoso del cuore è drenato dalle vene coronarie che sboccano nel seno coronario, il quale a sua volta si apre nell'atrio destro. Attività elettrica del cuore La contrazione del muscolo cardiaco è avviata e sostenuta da fenomeni elettrici, che insorgono e si propagano autonomamente nelle fibre muscolari che lo costituiscono. Questo requisito funzionale, detto automatismo cardiaco, consente al cuore di continuare a pulsare anche dopo essere stato asportato dal corpo. L'attività elettrica delle numerosissime fibre muscolari che costituiscono il cuore non avviene disordinatamente, ma si svolge in modo coordinato, per assicurare un'efficace azione di pompaggio delle camere cardiache. Tale azione è resa possibile dalla presenza, in seno al tessuto miocardico stesso, di un sistema di fibre muscolari speciali, che nel loro insieme costituiscono il tessuto miocardico specifico e sono particolarmente adatte all'insorgenza e alla propagazione dell'eccitamento cardiaco. Nel cuore umano, e in genere in quello dei mammiferi, l'eccitamento insorge in una limitata area miocardica, localizzata nella parete dell'atrio destro, in prossimità dello sbocco della vena cava superiore. Qui è presente un piccolo ammasso di cellule specializzate, costituenti il nodo senoatriale, detto anche pacemaker (segnapassi) cardiaco. Le cellule del pacemaker possiedono una spiccata proprietà autoritmica, che consente loro di generare impulsi elettrici a frequenza superiore rispetto a qualsiasi altra zona miocardica. La conseguenza di ciò è che la maggiore ritmicità intrinseca di queste cellule sopprime l'automaticità di tutte le altre. Insorto nel nodo senoatriale, l'eccitamento elettrico si propaga a tutte le pareti atriali, investendo le cellule miocardiche ordinarie. Il passaggio dell'impulso elettrico da una cellula miocardica all'altra è reso possibile dal loro intimo rapporto di contiguità. Infatti, le membrane di cellule adiacenti si giustappongono formando giunzioni discontinue, caratterizzate cioè da piccole discontinuità delle membrane che mettono in comunicazione i citoplasmi delle cellule vicine. È attraverso queste zone di bassa resistenza elettrica che avviene la conduzione dell'attività elettrica da una cellula all'altra. Propagandosi verso la base degli atri, l'onda di eccitamento incontra il nodo atrioventricolare, un altro piccolo ammasso di cellule miocardiche specifiche, situato sul versante destro della parte inferiore del setto interatriale. Dal nodo atrioventricolare origina il fascio di His, che costituisce l'unico collegamento miocardico, e quindi l'unica via di conduzione, tra atri e ventricoli. Il nodo atrioventricolare presenta una caratteristica conduttiva importante: la velocità di conduzione è alquanto ridotta, sicché il passaggio dell'eccitamento dalla muscolatura atriale a quella ventricolare subisce un ritardo di circa 0,1 s. Funzionalmente, questo intervallo di tempo compreso tra l'eccitazione atriale e quella ventricolare è sufficiente per consentire agli atri di completare il loro svuotamento nei ventricoli, prima della contrazione di questi ultimi. Una volta superato il nodo atrioventricolare, l'onda di attivazione si incanala nel fascio di His e si propaga assai rapidamente lungo le sue due branche (destra e sinistra), e da queste lungo una complessa rete di fibre di conduzione, denominate fibre di Purkinje, che si distribuiscono al miocardio ventricolare destro e sinistro. La velocità di propagazione degli impulsi elettrici nel sistema delle fibre di Purkinje è più elevata che in ogni altro distretto miocardico; ciò assicura una pressoché contemporanea attivazione delle fibre di miocardio ordinario dei ventricoli e, di conseguenza, una contrazione muscolare ben coordinata. Le variazioni di potenziale elettrico che si verificano nelle cellule miocardiche durante il ciclo cardiaco generano correnti elettriche che, propagandosi attraverso i fluidi corporei, possono essere rilevate applicando elettrodi a placca su vari punti della superficie cutanea. La registrazione di tali fenomeni è detta elettrocardiogramma (v. IV, cap. 4: I segnali elettrici e magnetici, Elettrocardiografia).
L'ordinato processo di attivazione del miocardio è immediatamente seguito da un'onda di contrazione che insorge negli atri e si propaga rapidamente ai ventricoli. Le fasi di contrazione (sistole) e di rilasciamento (diastole) si succedono ritmicamente, dando luogo a una sequenza di variazioni della pressione e del flusso del sangue contenuto nelle cavità cardiache e nei vasi sanguigni. Gli eventi meccanici che si verificano nella metà destra del cuore sono qualitativamente identici e praticamente simultanei a quelli che hanno luogo nella metà sinistra. Le maggiori differenze riguardano i valori pressori, che sono assai più bassi nel ventricolo destro.
Contrazione atriale L'analisi degli eventi che si svolgono durante il ciclo cardiaco può iniziare a partire dal fenomeno contrattile che consegue all'insorgenza dell'eccitamento cardiaco nel nodo senoatriale e alla sua propagazione nella muscolatura degli atri: la contrazione atriale, indicata anche come presistole. A seguito della depolarizzazione gli atri si contraggono e un piccolo quantitativo di sangue, passando attraverso le valvole atrioventricolari aperte, viene ad aggiungersi al volume di sangue già presente nel ventricolo. Si noti che la maggior parte del riempimento ventricolare avviene precedentemente, quando sia l'atrio che il ventricolo sono in riposo. Quando la frequenza del battito cardiaco aumenta, come per es. durante l'esercizio fisico, il contributo atriale al riempimento del ventricolo diviene progressivamente più rilevante. Al termine della contrazione atriale, il riempimento del ventricolo è completato e il volume di sangue che si trova in quest'ultimo viene detto volume diastolico terminale, o telediastolico.
Sistole ventricolare Come per l'atrio, la contrazione del ventricolo avviene qualche istante dopo che le sue fibre sono state investite dall'onda di depolarizzazione. A seguito della contrazione, la pressione ventricolare aumenta bruscamente e supera rapidamente quella atriale; le valvole atrioventricolari si chiudono, impedendo in tal modo il reflusso di sangue nell'atrio. Durante questi eventi, applicando uno stetoscopio sulla parete toracica si può udire il primo tono cardiaco, un breve suono dovuto prevalentemente alle vibrazioni causate dalla chiusura delle valvole atrioventricolari. Dopo la chiusura di queste valvole, la pressione ventricolare continua ad aumentare, ma per un breve periodo rimane inferiore a quella vigente nell'aorta o nella arteria polmonare, a seconda che si considerino, rispettivamente, il ventricolo sinistro o il destro. Pertanto, le valvole semilunari rimangono chiuse, e i ventricoli, malgrado la contrazione, non possono immettere sangue nella circolazione. Durante questo periodo, il volume del ventricolo rimane costante, così come rimane invariata la lunghezza delle sue fibre. Per questo motivo, la prima fase della sistole viene detta sistole isovolumetrica, o isometrica. Appena la pressione ventricolare supera quella dell'aorta o della arteria polmonare, le valvole semilunari si aprono e inizia l'eiezione ventricolare. Durante questa fase, le fibre miocardiche sono libere di accorciarsi, e la pressione ventricolare si mantiene appena superiore a quella dei grossi vasi arteriosi. Per effetto di questo gradiente di pressione, il ventricolo immette in circolo, prima rapidamente e poi lentamente, un volume di sangue che viene detto volume di scarica sistolica. Il volume di sangue che abbandona il ventricolo rispecchia la riduzione di volume del ventricolo stesso, che diminuisce rapidamente con il progredire dell'eiezione. Al termine di questa, il ventricolo non si è svuotato completamente, e nella sua cavità rimane un volume di sangue che, in condizioni di riposo, è all'incirca uguale al volume di sangue espulso; questo volume che permane nel ventricolo viene detto volume sistolico terminale, o telesistolico.
Diastole ventricolare Al termine dell'eiezione, la forza contrattile del ventricolo diminuisce e la pressione intraventricolare si riduce, fino a divenire inferiore a quella aortica o polmonare. A questo punto, le valvole semilunari si chiudono, producendo il secondo tono cardiaco, cui fa seguito l'inizio del rilasciamento ventricolare. Per un breve periodo di tempo sono chiuse sia le valvole di accesso del sangue nei ventricoli, le valvole atrioventricolari, sia quelle di uscita, le semilunari; la pressione crolla bruscamente e, come nella contrazione isovolumetrica, il sangue non può né entrare né uscire dal ventricolo. Per tale motivo, questa prima fase della diastole viene detta rilasciamento ventricolare isometrico, o isovolumetrico. Essa termina allorché la pressione ventricolare diviene inferiore a quella atriale, con conseguente apertura delle valvole atrioventricolari e afflusso di sangue al ventricolo. Il riempimento ventricolare, dapprima rapido e poi sempre più lento, prosegue per tutta la fase di diastole, finché viene completato dalla contrazione atriale che segna l'avvio di un nuovo ciclo. La durata dell'insieme degli eventi cardiaci descritti è, nel soggetto normale a riposo, di circa 0,8 s (corrispondente a una frequenza cardiaca di 75 battiti/min); di questo periodo di tempo, 0,5 s sono occupati dal riempimento del ventricolo e i rimanenti 0,3 s dalla sua fase sistolica. La durata relativa delle due fasi varia considerevolmente con l'aumentare della frequenza cardiaca, in quanto la fase di diastole si riduce molto più di quanto non avvenga per la sistole. In effetti, alla frequenza di 200 battiti/min l'intero ciclo cardiaco dura 0,3 s e in esso la fase di sistole e quella di diastole occupano circa 0,15 s ciascuna.
Circolazione Nei mammiferi, l'intero sistema vascolare è diviso in due distinti circuiti posti in serie tra loro: la circolazione polmonare e la circolazione sistemica (v. II, cap. 3: Apparati e sistemi, Apparato circolatorio). La circolazione polmonare è alimentata dall'attività contrattile della parte destra del cuore, che invia sangue ai polmoni per lo scambio dei gas respiratori. Dopo l'ossigenazione, il sangue viene ricondotto alla metà sinistra del cuore dalle vene polmonari. La circolazione sistemica viene sostenuta dalla contrazione del ventricolo sinistro, che invia il sangue a tutti i tessuti del corpo, dai quali poi, tramite le vene, viene ricondotto all'atrio destro. Poiché le cellule sottraggono ossigeno al sangue contenuto nei capillari tessutali, il sangue che scorre nelle vene della circolazione sistemica è relativamente poco ossigenato. Al contrario, il sangue che abbandona i polmoni attraverso le vene polmonari ha un alto contenuto di ossigeno. Normalmente, il volume di sangue pompato dal ventricolo sinistro nella circolazione sistemica in un determinato periodo di tempo è uguale a quello che, nello stesso tempo, il ventricolo destro pompa nella circolazione polmonare. In un uomo adulto in riposo, il volume del sangue pompato da ciascun ventricolo è di circa 5 l/min. Sebbene l'azione cardiaca sia intermittente, il flusso di sangue nell'albero circolatorio è pulsatile nel distretto arterioso e continuo in quello capillare e in quello venoso. Ciò è reso possibile dalla elasticità delle pareti delle grandi arterie. Durante la sistole, il sangue viene immesso nelle arterie più rapidamente di quanto non ne esca scorrendo verso il sistema venoso. L'eccesso di sangue pompato nelle arterie determina un incremento della pressione e la conseguente distensione delle loro pareti. Durante la diastole, il sangue precedentemente accumulato nelle arterie dilatate viene sospinto verso i tessuti dalla retrazione elastica delle pareti di questi vasi. Lo scorrimento del sangue, rapido nelle grandi arterie, diviene progressivamente più lento verso la periferia. Il rallentamento è dovuto all'aumento dell'area della sezione trasversale totale dei vasi, che da 4,5 cm2 nell'aorta diviene pari a 4500 cm2 nei capillari. Nel suo ritorno al cuore, il sangue percorre il distretto venoso; in esso, in prossimità del muscolo cardiaco, la sezione trasversa totale si riduce nuovamente, con conseguente aumento della velocità di scorrimento. Il flusso di sangue è sostenuto dal gradiente pressorio vigente tra l'estremo arterioso e quello venoso del circolo. La pressione è massima nell'aorta, per ridursi progressivamente lungo l'albero circolatorio, a motivo della resistenza funzionale che i vasi offrono allo scorrimento del sangue. La riduzione è esigua lungo le grosse e medie arterie, in quanto in queste la resistenza al flusso si verifica a livello del distretto arteriolare, dove essa risulta essere massima. La pressione nelle arterie è pulsatile e a ogni battito cardiaco varia, in un adulto normale, tra 80 e 120 mmHg. La pressione minima si raggiunge al termine della diastole, e viene pertanto detta pressione diastolica; quella massima si raggiunge a circa metà della sistole e viene detta pressione sistolica. La differenza tra la pressione sistolica e quella diastolica è detta pressione differenziale o pressione del polso. Gettata cardiaca Il più rappresentativo indice della funzione cardiocircolatoria è la quantità di sangue che viene complessivamente inviata ai tessuti in ogni minuto. Tale indice prende il nome di gettata cardiaca e corrisponde al volume di sangue pompato da ciascun ventricolo in un minuto. La gettata cardiaca viene calcolata moltiplicando il numero di battiti per minuto (frequenza cardiaca) per il volume di sangue eiettato da ogni ventricolo durante ciascun battito (volume di scarica sistolica) e si esprime di solito in l/min. Mediamente, la gettata cardiaca del ventricolo sinistro è uguale a quella del ventricolo destro e pertanto il flusso di sangue della circolazione sistemica è uguale a quello della circolazione polmonare. Poiché, come si è detto, in una persona adulta di corporatura media, la gettata cardiaca a riposo è di circa 5 l/min, alla frequenza cardiaca di 72 battiti/min, ciascun ventricolo espelle circa 70 ml di sangue per battito. Durante l'esercizio fisico intenso, la gettata cardiaca può aumentare fino a circa 25 l/min, e ancor più in un fisico allenato. Ciò viene ottenuto per aumento sia della frequenza cardiaca sia del volume di scarica sistolica. Generalmente, durante l'esercizio massimale la frequenza può aumentare fino a tre volte, mentre il volume di scarica mostra un incremento più moderato. Tali aggiustamenti sono dovuti a meccanismi intrinseci ed estrinseci. La regolazione intrinseca è diretta al controllo del volume di scarica sistolica e dipende dalla quantità di sangue che torna al cuore: un aumento del ritorno venoso, quale si realizza durante l'esercizio fisico, distende la muscolatura ventricolare più di quanto non avvenga in condizioni di riposo. Tanto maggiore è il grado di distensione raggiunto al termine del riempimento ventricolare, tanto più energicamente il muscolo cardiaco si contrae durante la sistole successiva. Questa risposta allo stiramento, nota come 'legge del cuore', produce un aumento del volume di scarica. La regolazione estrinseca dell'attività cardiaca viene effettuata da centri nervosi localizzati nel bulbo, distinti in centro cardioacceleratore e centro cardioinibitore. Il controllo di questi centri sul cuore viene esercitato tramite fibre parasimpatiche e simpatiche che terminano in prossimità dei nodi senoatriale e atrioventricolare. Durante l'attività fisica, i battiti cardiaci sono più frequenti e vigorosi, mentre nella fase di recupero le modificazioni sono contrarie. Questi aggiustamenti sono dovuti non solo all'azione delle fibre parasimpatiche e simpatiche del cuore, ma anche alla secrezione di adrenalina da parte delle ghiandole surrenali. Gli effetti fisiologici dei nervi cardiaci sono ben noti: le fibre simpatiche liberano noradrenalina, che stimola la muscolatura cardiaca, aumentandone la frequenza e la forza di contrazione; le fibre parasimpatiche (contenute nei nervi vaghi) liberano acetilcolina, che inibisce l'attività cardiaca, riducendo la frequenza dei battiti. Generalmente, l'attività dei due tipi di fibre è coordinata in modo tale che quando sono attive le fibre simpatiche, quelle parasimpatiche sono inibite, e viceversa. Flusso ematico distrettuale La distribuzione della gettata cardiaca ai singoli tessuti è regolata, in via primaria, dall'attività della muscolatura liscia della parete dei vasi sanguigni, soprattutto di quella delle arterie, in cui la muscolatura liscia è abbondante rispetto alla componente connettivale. La contrazione o il rilasciamento di questa muscolatura determina la variazione del calibro dei vasi e, di conseguenza, l'entità del flusso di sangue. La regolazione della costrizione arteriolare è affidata sia a meccanismi di controllo locali, che sono al servizio delle necessità metaboliche di specifici organi o tessuti, sia a meccanismi nervosi riflessi, che tengono conto delle esigenze dell'intero organismo. La regolazione locale viene effettuata in base alla concentrazione tessutale di sostanze chimiche che si producono in conseguenza dell'attività metabolica delle cellule. Sostanze che in concentrazioni elevate causano vasodilatazione sono l'anidride carbonica, gli ioni idrogeno e potassio e l'adenosina. Tali modificazioni chimiche agiscono direttamente sulla muscolatura liscia arteriolare, senza alcuna mediazione del sistema nervoso. La regolazione sistemica è invece affidata alla ricca innervazione simpatica presente nella maggior parte dei distretti arteriolari corporei. Le fibre simpatiche sono costantemente attive e liberano noradrenalina, la quale, agendo sulle fibre muscolari lisce, provoca una vasocostrizione arteriolare tonica. Quando l'attività del simpatico aumenta, la vasocostrizione diviene più intensa; quando diminuisce, il grado di contrazione della muscolatura si attenua e i vasi si dilatano. Il meccanismo di regolazione nervosa sopra descritto è valido nella generalità dei casi, ma in alcuni distretti vascolari esistono notevoli varietà. Alcuni vasi dell'apparato genitale sono innervati dal parasimpatico, che, liberando acetilcolina, causa vasodilatazione. L'acetilcolina è liberata anche da alcune fibre simpatiche vasodilatatrici destinate al muscolo scheletrico. Anche la densità dell'innervazione simpatica è molto variabile da tessuto a tessuto. Le arteriole e le vene dei visceri e della cute hanno una ricca innervazione e, a seguito di stimolazione simpatica, mostrano un'intensa vasocostrizione. Al contrario, i vasi della circolazione encefalica e di quella coronarica sono relativamente insensibili. L'attività della muscolatura liscia arteriolare può essere inoltre regolata da numerosi ormoni, tra cui l'adrenalina è uno dei più efficaci. Questa generalmente provoca vasocostrizione, anche se in qualche distretto vascolare può indurre vasodilatazione. Anche l'ormone angiotensina è un potente vasocostrittore ma, nel soggetto sano, non è mai secreto in quantità tali da indurre una sensibile vasocostrizione. La sua formazione viene accelerata quando la pressione arteriosa si riduce considerevolmente. L'angiotensina stimola anche la secrezione di aldosterone e insieme a quest'ultimo ormone prende parte a un meccanismo omeostatico tendente a mantenere costante il volume dei liquidi corporei.
Trachea, bronchi e polmoni formano l'albero tracheobronchiale che fa seguito alla laringe e rappresenta il tratto toracico delle vie respiratorie. La trachea si biforca al centro del torace, dando origine ai due bronchi principali, il destro e il sinistro. Questi ultimi penetrano nei polmoni, nei quali si dividono in condotti di calibro sempre minore, fino a terminare negli alveoli. A questi organi è deputato il compito della respirazione esterna: la loro funzione è infatti quella di permettere al sangue venoso di cedere l'anidride carbonica prodotta nelle combustioni organiche che avvengono a livello delle cellule dell'intero organismo e di assumere quindi dall'ambiente esterno l'ossigeno, il cui continuo rifornimento ai tessuti è indispensabile perché questi mantengano la propria vitalità.
La trachea fa seguito alla laringe ed è disposta sul piano sagittale mediano, davanti all'esofago. È formata da una serie di semianelli cartilaginei, da 16 a 20, uniti tra loro da membrane connettivali e chiusi posteriormente dalla lamina tracheale, costituita da tessuto connettivo e da fasci di fibre muscolari lisce. Ha forma cilindrica e una lunghezza media di circa 12 cm. Origina a livello della sesta vertebra cervicale e termina a livello della quarta vertebra dorsale, dividendosi nei bronchi destro e sinistro. Nel collo la trachea è in rapporto anteriormente con l'istmo della ghiandola tiroide, in corrispondenza del II-III anello cartilagineo. Nel torace è in rapporto a destra con il tronco anonimo e a sinistra con l'arteria carotide comune sinistra ed è incrociata dalla vena brachiocefalica sinistra. Sul suo lato sinistro, in prossimità della biforcazione, poggia il tratto trasverso dell'arco dell'aorta. Lungo il lato sinistro dell'aorta, e soprattutto al di sotto della biforcazione dei due bronchi, sono disposti numerosi linfonodi, che costituiscono le stazioni linfonodali intertracheobronchiale e laterotracheale. Il lato destro della trachea, in prossimità della biforcazione, è sfiorato dall'arco della vena azygos. I bronchi destro e sinistro, come si è detto, si originano a livello della quarta vertebra dorsale. Il bronco destro è piuttosto breve, ha un diametro maggiore rispetto al bronco sinistro, e si dispone nel peduncolo polmonare destro. Penetrato nel parenchima polmonare, si divide in bronco lobare superiore e bronco intermedio; quest'ultimo si dirama a sua volta in bronco lobare medio e bronco lobare inferiore. Il bronco lobare superiore si ramifica in tre bronchi zonali, o segmentali o terziari, il bronco lobare medio in due, e il bronco lobare inferiore in cinque. Il bronco sinistro, compreso nel peduncolo polmonare sinistro, ha calibro minore, è più lungo ed è disposto pressoché orizzontalmente, descrivendo una curva a concavità superiore. All'interno del parenchima polmonare, si divide in bronco lobare superiore e bronco lobare inferiore. Dal bronco lobare superiore derivano due bronchi zonali apicali e due bronchi lingulari; il bronco lobare inferiore, come a destra, si dirama in cinque bronchi zonali. Sia il bronco destro che il bronco sinistro contribuiscono alla costituzione dei peduncoli polmonari. A destra, il bronco è in rapporto anteriormente con il ramo destro dell'arteria polmonare e con la vena polmonare superiore; inferiormente, con la vena polmonare inferiore; sulla parete posteriore sono adagiate le arterie e le vene bronchiali destre. Intorno al bronco, si dispongono poi rami nervosi provenienti dal vago. Nel peduncolo polmonare sinistro l'arteria polmonare è disposta al di sopra del bronco, la vena polmonare superiore anteriormente a esso, e la vena polmonare inferiore al di sotto.
I polmoni sono contenuti nelle regioni pleuropolmonari del torace. Di forma pressoché conica, presentano una superficie convessa o costale, una piano-concava mediale di forma triangolare o faccia mediastinica, una base concava che si adatta alla superficie toracica del diaframma, e un apice che si colloca nella fossa sopraclavicolare, specie nelle inspirazioni profonde. Sulla faccia mediastinica di ciascun polmone è presente l'ilo polmonare, zona del parenchima ove entrano ed escono dall'organo le strutture del peduncolo polmonare descritte precedentemente. Sulla superficie dei polmoni sono visibili le scissure, profonde incisure del parenchima, distinte in principale e accessoria per il polmone destro, e principale per il polmone sinistro. Nell'adulto, i polmoni in media pesano complessivamente da 1000 a 1300 g, circa 600 per il destro e 500 per il sinistro, e misurano circa 25 cm in altezza, 15 cm in spessore e 10 cm in larghezza. Al loro interno, i polmoni contengono le diramazioni dei bronchi, nonché i rami dell'arteria polmonare e le radici delle vene polmonari. Arterie e vene polmonari rappresentano la circolazione funzionale del polmone, mentre l'organo è nutrito dalla circolazione bronchiale, sostenuta dalle arterie bronchiali, derivanti per lo più direttamente dall'aorta. La linfa che proviene dai polmoni raggiunge i linfonodi posti in prossimità dell'ilo polmonare. La particolare distribuzione dell'albero bronchiale, come pure quella delle arterie e delle vene polmonari, consentono di individuare, in ciascun polmone, tratti di parenchima morfologicamente e funzionalmente indipendenti: le zone polmonari. L'elemento strutturale fondamentale è dato dai lobuli polmonari, separati tra loro da setti connettivali. A ogni lobulo giunge un piccolo bronco, detto lobulare, che dà origine a tre generazioni di bronchioli intralobulari, dai quali nascono i bronchioli terminali; questi, con le loro ulteriori suddivisioni, i bronchioli respiratori, i dotti alveolari e gli alveoli, costituiscono gli acini polmonari. La struttura della parete alveolare, a livello della quale avvengono gli scambi gassosi, è costituita da due tipi di cellule, i pneumociti di I e II ordine. I pneumociti di I ordine, più numerosi, sono cellule molto sottili con nucleo sporgente; i pneumociti di II ordine sono invece cellule globose, che secernono una sostanza adatta a mantenere alta la tensione superficiale, tanto da evitare il collabimento degli alveoli. Sulla superficie esterna degli alveoli, infine, è presente una ricca rete capillare, costituita da vasi le cui pareti sono rappresentate unicamente da sottili cellule endoteliali. I polmoni sono rivestiti da una membrana sierosa: la pleura. In essa si distinguono un foglietto parietale, che aderisce alle pareti della cavità toracica ed è suddiviso in varie porzioni (costale, mediastinica, diaframmatica e cupola pleurica), e un foglietto viscerale, che aderisce intimamente alla superficie del polmone. La cupola pleurica è dotata di mezzi di fissità, o legamenti, che la ancorano alla colonna vertebrale cervicale e alla prima costa. Le zone di passaggio tra le varie porzioni della pleura parietale prendono il nome di seni pleurici, come per es. il seno pleurico costodiaframmatico, posto tra la pleura parietale costale e quella diaframmatica; il seno costo mediastinale anteriore, posto tra la pleura costale e la pleura diaframmatica; il seno costomediastinale posteriore, situato ai lati dei corpi vertebrali.
Ventilazione polmonare Lo scambio respiratorio tra l'ossigeno contenuto nell'aria e l'anidride carbonica contenuta nel sangue ha luogo negli alveoli polmonari, dove l'aria viene continuamente rinnovata mediante il processo della ventilazione polmonare. Questa consiste in una ritmica espansione e retrazione della gabbia toracica e dei polmoni, che, a ogni ciclo respiratorio e in condizioni di riposo, consente di introdurre nelle vie aeree, mediante l'inspirazione, e di espellere da esse, mediante l'espirazione, circa 500 ml di aria. I polmoni sono strutture passive, non dotate di movimento proprio. Essi però si trovano in stretto contatto con la superficie interna della gabbia toracica tramite il rivestimento pleurico. Durante la respirazione, i polmoni e il torace si muovono all'unisono e, da un punto di vista meccanico, possono essere considerati come elementi indivisibili dello stesso mantice respiratorio. L'energia necessaria per l'espansione della cavità toracica è fornita dai muscoli respiratori, mentre la retrazione è generalmente affidata all'elasticità del polmone e della gabbia toracica. Durante l'inspirazione, l'espansione della gabbia toracica provoca un abbassamento subatmosferico della pressione vigente nelle vie aeree polmonari, permettendo così l'afflusso di aria dall'ambiente esterno verso le cavità alveolari. L'ampliamento del torace è prodotto in primo luogo dalla contrazione del diaframma. Quando il diaframma si contrae, la sua cupola si appiattisce verso l'addome, abbassandosi, nella respirazione tranquilla, di circa 1 cm. Durante l'inspirazione forzata, questa escursione può raggiungere i 10 cm. All'espansione inspiratoria contribuiscono anche i muscoli intercostali esterni, che, provocando lo spostamento delle costole verso l'alto e verso l'esterno, causano un ulteriore ampliamento del torace. Durante il respiro tranquillo, l'espirazione è un fenomeno del tutto passivo, avviato unicamente dal rilasciamento dei muscoli respiratori. In questo caso, la gabbia toracica e il polmone, precedentemente dilatati nell'atto inspiratorio, riacquistano elasticamente le loro primitive dimensioni. Tale retrazione elastica provoca una compressione dell'aria presente nelle vie aeree e, di conseguenza, un aumento della pressione. Quando questa supera quella atmosferica, l'aria esce dai polmoni e si riversa nell'ambiente. Nella espirazione forzata, la retrazione del torace è facilitata e accelerata dall'intervento dei muscoli della parete addominale e dei muscoli intercostali interni. Con la loro contrazione, i muscoli addominali fanno aumentare la pressione nell'addome, e quindi il diaframma viene spinto verso l'alto; la contrazione dei muscoli intercostali interni, il cui orientamento geometrico è opposto a quello degli intercostali esterni, provoca invece una trazione delle costole verso il basso. Il volume di aria che entra o esce dai polmoni in un minuto viene detto ventilazione polmonare o volume minuto ventilatorio. Esso corrisponde al prodotto della quantità di aria che entra nei polmoni con ciascuna inspirazione (volume corrente) per il numero di atti respiratori per minuto. Durante il respiro tranquillo, la ventilazione polmonare è di circa 6 l/min (0,5 l di volume corrente per 12 atti respiratori). Tuttavia, in rapporto alle necessità metaboliche dell'organismo, la frequenza e la profondità degli atti respiratori possono variare grandemente. In condizioni di esercizio massimale, la ventilazione polmonare può raggiungere valori di circa 130 l/min. Il volume di aria che può essere inspirato o espirato in un atto respiratorio può essere determinato facilmente mediante uno spirometro. Con tale strumento sono identificabili i seguenti volumi polmonari (fig. 2.135): il volume corrente (VC) a riposo, o volume di Tidal (VT), pari a 0,5 l, che è il volume di aria che entra ed esce dal polmone durante un atto respiratorio tranquillo; il volume di riserva inspiratoria (VRI), pari a 3-3,3 l, che è la quantità massima di aria che può essere inspirata oltre il volume corrente; il volume di riserva espiratoria (VRE), di 1-1,2 l, che è la massima quantità di aria che può essere espirata forzatamente oltre un'espirazione tranquilla. Al termine di un'espirazione massimale, il polmone non rimane completamente privo di aria, ma ne contiene ancora un volume non misurabile con lo spirometro, che viene detto volume residuo (VR) ed è pari a 1,2-1,3 l. La somma dei volumi polmonari che possono essere misurati con uno spirometro (VT + VRI + VRE) prende il nome di capacità vitale (CV) e corrisponde alla massima quantità di aria che può essere espirata dopo una inspirazione massimale. La capacità polmonare totale (CPT) è la somma della capacità vitale e del volume residuo; essa rappresenta la massima quantità di aria che può essere presente nel polmone ed è di circa 6 l. Tutti i valori dei volumi delle capacità polmonari sopra indicati si riferiscono all'uomo adulto di corporatura media. Essi possono però variare considerevolmente, soprattutto in relazione alla taglia corporea. Non tutto il volume di aria introdotta nei polmoni con un atto respiratorio partecipa agli scambi gassosi; infatti, la via aerea è costituita da una porzione esclusivamente conduttiva e da una più propriamente respiratoria. Come detto precedentemente, quest'ultima è rappresentata in massima parte dagli alveoli. Il volume complessivo delle vie aeree di conduzione, che è di circa 150 ml, viene detto spazio morto respiratorio, in quanto l'aria ivi contenuta non partecipa agli scambi gassosi. La presenza di tale spazio riduce l'efficienza respiratoria, poiché il volume di aria atmosferica pura che giunge agli alveoli durante ciascun atto respiratorio è pari al volume corrente meno il volume di aria contenuto nello spazio morto respiratorio. Pertanto, durante un respiro tranquillo il volume di aria pura che perviene agli alveoli è di 350 ml. Analogamente, il volume di aria che raggiunge gli alveoli in un minuto può essere calcolato moltiplicando la frequenza respiratoria per il volume corrente, diminuito dello spazio morto respiratorio. Questo volume di aria esprime la ventilazione alveolare, e a riposo è di circa 4 l/min. Scambio dei gas respiratori Negli alveoli, il sangue che percorre i capillari della circolazione polmonare si arricchisce di ossigeno e cede anidride carbonica. Lo spostamento delle molecole di questi gas avviene unicamente per un processo di diffusione. La via che esse devono percorrere è molto breve, essendo costituita da una sottile membrana (membrana alveolocapillare) formata dalle cellule epiteliali delle pareti alveolari, dalle cellule endoteliali dei capillari e dalle loro membrane basali fuse. La forza che sospinge i gas in modo da ottenere una diffusione netta nella giusta direzione, cioè dall'aria alveolare al sangue per l'O₂ e dal sangue all'aria alveolare per la CO₂, è rappresentata dai gradienti di pressione parziale vigenti tra i due compartimenti (fig. 2.136). La pressione parziale di ossigeno (pO₂) dell'aria alveolare è di 100 mmHg, mentre quella del sangue venoso è di 40 mmHg. La differenza delle pressioni parziali, pari a 60 mmHg, determina un flusso netto di ossigeno verso il sangue. Quivi giunto, l'ossigeno si scioglie nel plasma e penetra nei globuli rossi per combinarsi con l'emoglobina, una proteina contenente ferro presente in essi. La diffusione deve essere molto rapida, in quanto il tempo di permanenza del globulo rosso nel capillare polmonare è molto breve (inferiore a 1 s). Al termine dell'ossigenazione, il sangue che lascia gli alveoli per raggiungere l'atrio sinistro ha pressoché la stessa pO₂ dell'aria alveolare. La pressione parziale dell'anidride carbonica (pCO₂) del sangue venoso è di 46 mmHg, mentre quella dell'aria alveolare è di 40 mmHg. Per questo motivo, l'anidride carbonica presenta una diffusione netta dal sangue agli alveoli. Sebbene il gradiente di pCO₂ tra sangue e alveoli, pari a 6 mmHg, sia molto inferiore a quello dell'O₂, il volume di CO₂ emesso in un minuto è, in condizioni di riposo, solo di poco inferiore a quello dell'O₂ assunto nello stesso periodo di tempo. Ciò è giustificato dalla capacità di diffusione nei polmoni della CO₂, che è molto più grande di quella dell'O₂. Trasporto dei gas respiratori nel sangue Le quantità di O₂ e CO₂ trasportate nel sangue in soluzione fisica sono minime, e sarebbero del tutto inadeguate se i gas respiratori non si legassero in esso chimicamente e in maniera reversibile. Questo tipo di trasporto richiede la presenza di composti chimici specializzati: l'O₂ si combina per quasi il 99% con l'emoglobina; il 95% circa della CO₂ prende parte a reazioni chimiche reversibili che la convertono in altri composti. La quantità di O₂ che può essere trasportata da un determinato volume di sangue dipende dal quantitativo di emoglobina in esso presente e dalla pO₂. Normalmente, in 100 ml di sangue sono contenuti circa 15 g di emoglobina (14 g per la donna e 16 g per l'uomo), che in condizioni di completa saturazione possono combinarsi con 20 ml di ossigeno. La saturazione dell'emoglobina si raggiunge a una pO₂ di 100 mmHg, che è leggermente superiore a quella del sangue arterioso. La relazione tra la percentuale di saturazione dell'emoglobina e la pO₂ è rappresentata da una curva sigmoide (fig. 2.137), che indica come la quantità di O₂ legata sia relativamente costante entro valori compresi tra 60 e 100 mmHg. Al di sotto di 60 mmHg la curva diviene molto ripida, e ciò indica che per piccole variazioni della pO₂ si ottengono cospicue variazioni del quantitativo di O₂ legato all'emoglobina. Il sangue venoso che giunge ai polmoni ha una pO₂ di 40 mmHg, e la saturazione dell'emoglobina è pari al 75%; in queste condizioni, 100 ml di sangue contengono ancora circa 15 ml di O₂. Controllo della respirazione La forza necessaria per compiere l'atto respiratorio è fornita dai muscoli respiratori, che, essendo muscoli scheletrici, sono privi di autonomia funzionale. Contrariamente alla muscolatura cardiaca e a quella liscia, essi non sono dotati di attività ritmica intrinseca, ma dipendono interamente da comandi motori a essi inviati dal sistema nervoso. L'eccitamento ritmico del diaframma e dei muscoli intercostali è la conseguenza, per es., della stimolazione nervosa proveniente rispettivamente dal nervo frenico e dai nervi intercostali. Al controllo di questa attività nervosa automatica sono preposti, fondamentalmente, gruppi di neuroni localizzati nel bulbo e nel ponte. Gli impulsi che originano da queste aree troncoencefaliche discendono nel midollo spinale lungo vie di conduzione specifiche e raggiungono i motoneuroni spinali che controllano i muscoli respiratori. Generalmente, i motoneuroni espiratori sono inibiti durante l'inspirazione, e viceversa. Il bulbo contiene una diffusa rete di neuroni addetti al controllo del respiro, i quali, pur non essendo localizzati in modo da formare gruppi omogenei, vengono indicati come centri respiratori. Alcuni di tali neuroni sono attivi durante l'inspirazione e vengono pertanto inclusi nel centro inspiratorio. Il ritmo fondamentale dell'automatismo respiratorio sembra essere generato dai neuroni di tale centro, che si attivano spontaneamente e ritmicamente 12-15 volte in un minuto. Con l'aumentare dell'attività dei neuroni inspiratori, anche la profondità e la frequenza degli atti respiratori aumentano. I neuroni del centro espiratorio non sembrano dotati di autoeccitabilità, e sarebbero attivati da altri neuroni, inclusi quelli inspiratori. L'attività di base dei neuroni inspiratori può essere modulata da un gran numero di fattori nervosi, come per es. gli impulsi generati dai centri respiratori situati nel ponte: il centro pneumotassico, che favorisce la regolarità del ritmo respiratorio, e il centro apneustico, che sembra potenziare l'azione dei neuroni inspiratori. L'automatismo respiratorio può essere modificato dall'intervento di strutture corticali o sottocorticali. Particolarmente importante è il controllo volontario che viene operato dai neuroni corticali tramite la via nervosa corticospinale. Questo controllo volontario si manifesta palesemente quando si parla, si canta o si suonano strumenti musicali a fiato. In tali attività, il polmone viene impiegato come contenitore di aria che deve essere vuotato lentamente e in modo controllato. Benché il consumo di O₂ e la produzione di CO₂ nell'organismo possano variare enormemente nel corso delle attività quotidiane, la pO₂ e la pCO₂ del sangue arterioso rimangono sorprendentemente costanti. Ciò è dovuto alla continua regolazione della ventilazione, che viene adattata in modo da controbilanciare qualunque modificazione della concentrazione ematica dei gas respiratori. Il controllo chimico del respiro viene effettuato con meccanismo riflesso dai centri respiratori, i quali si avvalgono di informazioni continuamente inviate da specifici recettori, i chemocettori. Questi, distinti in chemocettori centrali e periferici in base alla loro localizzazione, sono sensibili alle variazioni ematiche di pO₂, pCO₂ e pH. I chemocettori centrali, situati sulla superficie ventrale del bulbo, sono altamente sensibili a variazioni della pCO₂ e della concentrazione di ioni idrogeno (H⁺) nel liquido cerebrospinale. I chemocettori periferici sono localizzati in organuli posti in diretta prossimità dell'arco dell'aorta e della biforcazione della carotide comune. Essi, detti rispettivamente glomo aortico e glomi carotidei, sono sensibili primariamente alla pO₂ del sangue arterioso. In circostanze normali, il controllo chimico del respiro è primariamente mediato dalla pCO₂, in quanto la risposta riflessa alle variazioni di questo fattore è così pronta e intensa da mascherare altre risposte. Ogni volta che la pCO₂ ematica aumenta, si produce un incremento compensatorio della ventilazione, che la riporta ai valori normali. Al contrario, in caso di diminuzione della pCO₂, la ventilazione si riduce fino a quando l'accumulo di CO₂ nell'organismo non abbia ripristinato il livello normale. Questa regolazione è molto sensibile e precisa: un aumento della pCO₂ arteriosa di 1 mmHg determina un incremento della ventilazione di circa 3 l/min. Generalmente, nelle comuni attività quotidiane, dal riposo all'esercizio, la pCO₂ non mostra variazioni superiori a 3 mmHg.
Il mediastino è lo spazio mediano della cavità toracica compreso tra le due regioni pleuropolmonari. Contiene il cuore, avvolto nel sacco pericardico, i grandi vasi che originano dal cuore e terminano in esso, gran parte della trachea e i bronchi principali, l'aorta toracica, un tratto del decorso dei nervi vaghi e frenici, nonché il timo e l'esofago. Ha forma piramidale, con base disposta in basso e apice in alto. È delimitato anteriormente dallo sterno e dalle cartilagini costali, posteriormente dalla colonna vertebrale, lateralmente dalle pleure mediastiniche. La base è rappresentata dalla porzione tendinea del diaframma; l'apice corrisponde all'apertura superiore del torace. Nella sua parte media, ha le seguenti dimensioni: diametro anteroposteriore di circa 15 cm; altezza di circa 20 cm; diametro trasverso a livello dell'apice del cuore di circa 15 cm. Il mediastino si divide in due parti, anteriore e posteriore, prendendo come riferimento un piano frontale che sfiori anteriormente la biforcazione della trachea. Nel mediastino anteriore e superiore, subito posteriormente allo sterno, si trova il timo (v. oltre); dietro alla loggia timica, si collocano, rispettivamente a sinistra e a destra, due vasi venosi: la vena brachiocefalica sinistra, a decorso orizzontale, e la vena brachiocefalica destra, a disposizione verticale e di calibro maggiore rispetto alla sinistra. Questi tronchi venosi, confluendo tra loro, danno origine alla vena cava superiore, che penetra nel sacco pericardico. Posteriormente ai vasi venosi si trovano grossi tronchi arteriosi e il plesso nervoso cardiaco. L'arco aortico, una volta uscito dal sacco pericardico, si porta verso sinistra e all'indietro, incrociando il tronco polmonare (arteria polmonare). Dal margine superiore dell'arco aortico si originano, andando da destra a sinistra, le arterie anonima, carotide comune sinistra e succlavia sinistra. Dopo un breve decorso, l'arteria anonima si divide, in corrispondenza dell'articolazione sternoclavicolare destra, nei suoi due rami terminali: le arterie succlavia e carotide comune destra. Sempre sullo stesso piano, sono presenti una fitta rete di rami nervosi che costituiscono il plesso cardiaco, una rete venosa e alcuni linfonodi. In questa zona è situata anche una parte del decorso del nervo vago di sinistra (X paio dei nervi cranici), che, dopo avere incrociato anteriormente l'arco dell'aorta, piega posteriormente per raggiungere il retrostante peduncolo polmonare. Nel punto in cui incrocia il margine inferiore dell'arco aortico, il nervo vago di sinistra origina come ramo collaterale il nervo laringeo inferiore o ricorrente sinistro, destinato all'innervazione della corda vocale vera. Tra l'arco aortico e la biforcazione dell'arteria polmonare è teso un legamento, il legamento di Botallo, che rappresenta il residuo di un canale presente nel feto. Inferiormente il mediastino anteriore è occupato dal sacco pericardico, contenente il cuore, sui cui lati destro e sinistro decorrono i nervi frenici. Il mediastino posteriore contiene la trachea e i bronchi; posteriormente alla trachea si trova il tratto toracico dell'esofago. Tra esofago e colonna vertebrale è interposto uno spazio, colmato da tessuto connettivo lasso, nel quale sono situati il dotto toracico e le vene azygos ed emiazygos. Il vago, penetrato nel mediastino a livello della sua apertura superiore, dopo avere incrociato posteriormente i rispettivi peduncoli polmonari, si divide in più rami, alcuni dei quali sono destinati ai bronchi, mentre altri, disposti intorno all'esofago, costituiscono il cosiddetto plesso periesofageo del nervo. In prossimità del diaframma, da tale plesso originano due tronchi nervosi, disposti l'uno anteriormente e l'altro posteriormente all'esofago: i tronchi pneumogastrici. Questi nervi attraversano il diaframma insieme all'esofago, per raggiungere la cavità addominale. Infine, un importante componente del mediastino è il tessuto connettivo, che occupa tutti gli spazi lasciati liberi dai vari organi e ha il compito di tenerli uniti e di ancorarli anteriormente allo sterno e posteriormente alla colonna vertebrale.
Il timo è formato da due lobi di dimensioni diseguali, rivestiti da una sottile capsula fibrosa che, penetrata all'interno, li divide in lobuli. È un organo linfoepiteliale transitorio, ossia è notevolmente sviluppato fino alla pubertà, mentre nell'età adulta si trasforma in un corpo fibroadiposo, con isolati nuclei di cellule funzionanti. Il suo ruolo è fondamentale nella maturazione dei linfociti T e nella produzione di ormoni (timopoietina, timosina) che potenziano la risposta immunitaria cellulare.
L'esofago è il tratto del canale alimentare interposto fra la faringe e lo stomaco. È un condotto muscolomembranoso, lungo circa 25 cm, situato davanti alla colonna vertebrale; origina a livello della sesta vertebra cervicale e termina a livello dell'undicesima vertebra toracica. Topograficamente è diviso in una parte cervicale, che rappresenta il proseguimento della faringe, una parte toracica, che è la più lunga e decorre nel mediastino posteriore, e, infine, una parte addominale, breve, che si apre nello stomaco subito al di sotto del diaframma. La parete dell'esofago è costituita da tonache sovrapposte: andando dall'esterno verso l'interno si trovano una tonaca avventizia di natura connettivale, una tonaca muscolare a fibre longitudinali e circolari, una tonaca sottomucosa, contenente le ghiandole esofagee, e infine una tonaca mucosa che delimita il lume dell'organo.
Funzionalmente l'esofago assolve il compito di far progredire il bolo alimentare dalla faringe allo stomaco, attraverso contrazioni peristaltiche. Mammelle La cute del torace, nell'area compresa fra lo sterno e la regione ascellare, presenta il rilievo delle mammelle, rudimentali nel maschio e particolarmente sviluppate nella femmina. Le mammelle, nella parte centrale, mostrano una zona di colorito scuro, l'areola mammaria, al cui centro sporge il capezzolo, circondato da piccoli rilievi, i tubercoli di Morgagni, che durante la gravidanza diventano più voluminosi e assumono la denominazione di tubercoli di Montgomery. Nello spessore del sottocutaneo sono presenti, oltre a vasi e nervi superficiali, le ghiandole mammarie, di tipo tubuloalveolare, composte da 15-25 lobi, sostenuti da una trama connettivale e immersi in tessuto adiposo. Ogni lobo è costituito da adenomeri, le cui cellule, disposte in un unico strato, sono di forma cilindrica o cubica. Agli adenomeri fanno seguito i dotti galattofori, che si aprono direttamente all'apice del capezzolo. Il volume delle mammelle non è in relazione con le capacità secretorie della ghiandola, ma è determinato soprattutto dalla componente adiposa del tessuto sottocutaneo. Accrescimento delle mammelle e lattazione Prima della pubertà, le ghiandole mammarie sono piccole e ipoevolute, mentre durante l'adolescenza esse incrementano il loro sviluppo in risposta all'aumento di secrezione degli ormoni ovarici. Gli estrogeni favoriscono l'accrescimento dei dotti, mentre il progesterone provoca lo sviluppo degli adenomeri. In questo stadio della vita sessuale della donna, molti altri ormoni (insulina, glucocorticoidi, ormone della crescita) concorrono a rendere efficace l'azione degli ormoni ovarici. Nella maturità, allorché il ciclo ovarico è ben stabilito, le mammelle raggiungono un grado di sviluppo che è ancora relativamente piccolo rispetto a quello cui si può arrivare nel corso della gravidanza. In gravidanza, sotto l'azione degli ormoni sessuali prodotti dalla placenta, si verifica un ulteriore accrescimento sia dei dotti che degli adenomeri e, al termine della gestazione, le mammelle sono pronte per la produzione del latte. Questo evento, detto lattazione, avverrà soltanto dopo il parto, in risposta sia all'abbassamento dei livelli ematici di estrogeni e progesterone conseguente alla rimozione della placenta, sia alla grande quantità di ormone prolattina prodotto dall'ipofisi anteriore. Nei primi due-quattro giorni dopo il parto, le mammelle secernono piccole quantità di un liquido acquoso, simile al latte, che è detto colostro. La successiva produzione di latte, la lattazione appunto, si instaura e viene mantenuta, spesso per parecchi mesi, da un'adeguata produzione di prolattina. Fintanto che le mammelle vengono svuotate del latte che viene continuamente prodotto, l'ipofisi seguita a secernere prolattina; se il latte si accumula e ristagna nelle mammelle, invece, la produzione dell'ormone cessa. La suzione da parte del neonato costituisce quindi un elemento fondamentale per il mantenimento della lattazione. La stimolazione meccanica del capezzolo che si attua durante la suzione favorisce l'eiezione del latte dai dotti mammari. Ciò è dovuto all'azione dell'ormone ossitocina, prodotto in via riflessa dall'ipotalamo in risposta agli impulsi nervosi sensitivi che originano dalla stimolazione del capezzolo. L'ossitocina provoca la contrazione delle cellule mioepiteliali che circondano i dotti e la conseguente spremitura del latte in essi raccolto.