torcere [torza, in rima, cong. pres. III singol.: cfr. Parodi, Lingua 229]
Il verbo ricorre soltanto nella Commedia (con l'unica eccezione di un'occorrenza nel Convivio), in forma quasi sempre attiva, spesso pronominale. L'uso proprio si alterna a quello figurato, per lo più nel senso di " volgere in altra direzione ", " far deviare " (quasi sempre senza alcuna connotazione di violenza, come sarebbe nell'italiano odierno) e solo in qualche caso legato al concetto di circolarità. È abbastanza frequente l'uso del participio passato (con funzione sia predicativa che attributiva) e la contrapposizione a ‛ diritto '.
Appunto il significato di " volgere " si ha nell'invito di Virgilio ad Anteo: ti china, e non torcer lo grifo (If XXXI 126): il parallelismo con il v. 122 mettine giù, e non ten vegna schifo legittima la chiosa di Scartazzini-Vandelli - " per un senso di disgusto " -, i quali osservano che tale disgusto non presuppone necessariamente " alcun gesto sdegnoso " da parte del gigante, e ricordano un analogo accostamento di espressioni in B. Latini (‛ tenere a schifo ' e ‛ torcere il grifo '). Il contesto richiama il passo di Pg XIV 48, dove la pronunciata curva descritta dal corso dell'Arno presso Arezzo si traduce nella fantasia di D. in un moto di disgusto della sventurata fossa per quella popolazione, da cui disdegnosa torce il muso.
L'accostamento a ‛ diritto ' rende più esplicito il concetto di deviazione: il moto degli spiriti lungo i bracci della croce nel cielo di Marte richiama l'immagine delle minuzie d'i corpi che si veggion qui diritte e torte [" in tutte le direzioni ", Chimenz] / .., moversi lungo un raggio di sole che attraversi una zona in ombra (Pd XIV 112); e si veda anche l'uso attributivo del participio, in Cv IV XIII 15 la torta linea con la diritta non si congiugne mai, e se alcun congiungimento v'è, non è da linea a linea, ma da punto a punto, dove si parla appunto di una " linea che s'allontana dalla dirittura della linea retta " (Busnelli-Vandelli). La stessa accentuata accezione di " deviare " nelle parole di Virgilio: Or convien che si torca / la nostra via un poco insino a quella / bestia malvagia, Gerione (If XVII 28), giacché, come spiega l'Ottimo, non si può " per diritto calle andare alla frode, anzi per tortuoso; nulla via mena a lei diritto ". Si può considerare qui anche Pd X 16, dove si afferma la necessità che torta, cioè " obliqua rispetto all'Equatore " (Porena), sia la strada percorsa dai pianeti, perché la virtù dei cieli possa produrre i suoi effetti. Scartazzini-Vandelli rimandano a Ovid. Met. II 130 " sectus in obliquum est lato curvamine limes ".
Nella forma pronominale, riferito a persona, significa " volgersi ": Al suon... ciascun di noi si torse (Pg IV 100; XXIX 14; in XIII 15 [Virgilio] fece del destro lato a muover centro, / e la sinistra parte di sé torse, tutto il contesto vale " si volse a destra ").
Il verbo è riferito con notevole frequenza allo sguardo (indicato con ‛ occhi ' o con altri sostantivi analoghi), con vari significati. Sta per il semplice " rivolgere ", come intendono parecchi commentatori, in Pg IX 45 'l viso [la " vista "] m'era a la marina torto (" Sovente in Dante ha senso non di storto ma semplicemente di volto ", Tommaseo; volto è variante del codice Ham: cfr. Petrocchi, ad locum. Il Mattalia chiosa però " deviato in rapporto alla posizione degli ultimi oggetti ricordati "); lo stesso sintagma, con valore più intenso, in Pd II 26 mirabil cosa / mi torse il viso a sé, " attrasse il mio sguardo ", Chimenz. Nel senso di " volgere all'indietro ", per guardare un oggetto posto alle spalle, in Pd III 21 quelle [le facce del v. 16] stimando specchiati sembianti, / per veder di cui fosser, li occhi torsi; / e nulla vidi, / e ricorsili avanti (si noti l'accostamento a ‛ ritorcere ').
‛ T. gli occhi da ' vale " distogliere lo sguardo ": I'... non torceva li occhi da la sembianza lor, dei diavoli (If XXI 98); così anche nel contesto figurato del c. XIII (La meretrice... da l'ospizio / di Cesare non torse li occhi putti, v. 65) e, con l'omissione del complemento di allontanamento, in XXV 122: dopo la scambievole metamorfosi uomo-serpente, l'un si levò e l'altro cadde giuso, / non torcendo però le lucerne empie (cfr. il v. 91 Elli 'l serpente e quei lui riguardava). Con significato più intenso, il sintagma è riferito a Ciacco che, finito il suo discorso, li diritti occhi torse... in biechi, li " stravolse " (VI 91); e si veda qui anche il participio aggettivale, adibito a indicare lo sguardo " bieco ", " torvo e acceso d'ira " (cfr. Benvenuto) con cui Ugolino riprese 'l teschio misero co' denti (XXXIII 76).
Con pari intensità semantica, sempre riferito a persona, il participio assume accezioni varie: nella bolgia degl'indovini la nostra immagine... / vidi sì torta, che 'l pianto de li occhi / le natiche bagnava per lo fesso (If XX 23: qui con stretta aderenza al significato di " volgere ", in quanto il viso di quei peccatori è del tutto girato all'indietro, letteralmente " stravolto "); sulla rena infuocata del settimo cerchio Capaneo giace dispettoso e torto (If XIV 47): qui l'aggettivo, che certo risale al " torvus adhuc visu " di Stazio (Theb. XI 10), non può significare " minaccioso ", come nel poeta latino, bensì, probabilmente, " ‛ bieco '. Capaneo guarda intorno, o verso l'alto, con sguardo obliquo, cattivo, irato ". Così il Bosco (in Nuove Lett. II 51 n. 1), il quale esclude che torto possa indicare il " contorcersi " di Capaneo. " Bieco " intendeva già il Tommaseo; gli altri commentatori, per lo più, " torvo ", alcuni avanzando anche l'ipotesi che l'aggettivo possa " alludere a una posizione sforzata del corpo, come di chi non si rassegni del tutto alla pena " (Sapegno; cfr. anche Torraca).
Tra i golosi del Purgatorio, D. si accora nel vedere sì torta, " deformata " (Scartazzini-Vandelli e altri) dall'orribile magrezza, la faccia dell'amico Forese (Pg XXIII 57; ancora " deforme ", ma per altre cause, in Pd XIII 129, dove si dice che gli eretici furon come spade a le Scritture / in render torti li diritti volti, " imperò - spiega il Buti - che quando la spada è lucida e lo volto umano vi si specchi, lo rende torto e non lo rappresenta in quella forma che è ").
Molto intensa anche l'immagine relativa ai superbi del Purgatorio, uno dei quali si torse sotto il peso che li 'mpaccia, / e videmi e conobbemi e chiamava (Pg XI 75): si noti l'efficacia con cui il contesto esprime l'" ansioso desiderio " di quell'anima di " farsi notare da Dante ", il suo " sforzo per poterlo fissare, così di sbieco e di sotto in su " (Rossi-Frascino; per la lezione, cfr. Petrocchi, ad l.). Con valore più attenuato nelle parole di papa Adriano a D., in Pg XIX 130 Qual cagion... in giù così ti torse? (" ti fece inchinare ", Chimenz; e cfr. il v. 133 Drizza le gambe). Nel senso di " storcersi " si produce la variante si torce in luogo, per l'appunto, di si storce [Bruto], in If XXXIV 66.
In qualche caso il significato del verbo è precisato da una locuzione: Nel vano tutta sua [di Gerione] coda guizzava, / torcendo in sù la venenosa forca (If XVII 26); o anche: Io vidi un'ampia fossa in arco torta (XII 52), vale a dire " circolare ", in quanto circonda tutto 'l piano del settimo cerchio.
Due volte è riferito alla fiamma. In Pd IV 78 volontà, se non vuol, non s'ammorza, / ma fa come natura face in foco, / se mille volte vïolenza il torza (" tenti di farlo piegare in basso "), rende bene l'idea del vano sforzo di chi volesse ostacolare il movimento del fuoco, che per sua natura movesi in altura (Pg XVIII 28). In If XXVII 132, in dittologia con ‛ dibattere ', ne completa il valore di " agitare ", quasi accentuando il rammarico di Guido da Montefeltro, la cui fiamma dolorando si partio, / torcendo e dibattendo 'l corno aguto.
La forma mediale si ha in Pg XI 108: il cielo Stellato è il cerchio che più tardi in cielo è torto, " è trascinato " nel moto circolare, quindi " ruota " (Mattalia; si pensi al latino torqueri). Analogamente in Pd XVII 81.
L'uso figurato rispecchia quello proprio, sia ne i costrutti che nei significati. Si ha anche qui il senso di " indirizzare ", " volgere ", precisato da un complemento (se l'amor de la spera supprema / torcesse in suso il disiderio vostro, Pg XV 53; anche XVII 100, come pronominale); quindi ‛ t. a ' o ‛ in ' vale " attrarre ": a sé torce tutta la mia cura / quella materia ond'io son fatto scriba, " esige per sé tutta la tensione di mia mente e la mia diligenza " (Scartazzini-Vandelli, a Pd X 26); di tutte altre cose [all'infuori di Beatrice] qual mi torse / più nel suo amor, più mi si fé nemica, Pg XXXI 86. Per converso, ‛ t. da ' significa " allontanare ", " distogliere ": la verace luce che le [ anime beate] appaga / da sé non lascia lor torcer li piedi, Pd III 33; Ahi anime ingannate... / che da sì fatto ben torcete i cuori...!, IX 11. È ovvio che il verbo implichi sempre, più o meno accentuato, il concetto di ‛ deviazione ' di cui si è già detto, naturalmente trasferito nell'ambito morale, quindi per alludere all'allontanamento dalla via del bene: addolcisce la viva giustizia / in noi l'affetto sì, che non si puote / torcer già mai ad alcuna nequizia, Pd VI 123; voi torcete a la relïgione / tal che fia nato a cignersi la spada, " deviate a forza (dal suo giusto cammino...) alla vita religiosa... chi... appariva nato... per la carriera delle armi " (Mattalia, a VIII 145: si allude probabilmente a Ludovico, fratello di Roberto d'Angiò, che abdicò ai suoi diritti di erede al trono e si fece monaco); Pg VIII 131, con costrutto assoluto (cfr. anche XVI 93); Questo principio, male inteso, torse [" cioè dalla verità ", Buti; quindi " traviò ", Scartazzini-Vandelli] / già tutto il mondo quasi, Pd IV 61; il cielo è il luogo dove appetito non si torce (XVI 5), cioè " est rectus et oboediens rationi " (Benvenuto), mentre l'umanità fu... sbandita / di paradiso, però che si torse / da via di verità (VII 38). Per Pg XXXII 45 (Beato se', grifon, che non discindi / col becco d'esto legno [dell'albero del Paradiso terrestre]... / poscia che mal si torce il ventre quindi), il Buti intende " chi n'assaggia torce l'appetito suo al male " (analogamente Landino, Daniello), ma i commentatori moderni preferiscono dare a t. il senso di " contorcersi per il dolore ", richiamando il " male torquetur " di Matt. 8, 6, detto del paralitico (cfr. Scartazzini-Vandelli, Porena, Rossi-Frascino, Chimenz, Mattalia, Sapegno, Fallani; Casini-Barbi prospettano anche la soluzione " il ventre.., si allontana di qui... con suo danno ").
Anche nel senso metaforico è frequente l'uso del participio passato (predicativo o attributivo), spesso contrapposto a ‛ diritto ', sempre per indicare una deviazione di carattere morale: se l'anima dritta o torta va, non è suo merto (Pg XVIII 45); 'l mal amor... fa parer dritta la via torta, " fa sì che la via... deviante... sia scambiata per la via del bene " (Mattalia, a X 3: cfr. la diritta via di If I 3); la pena del Purgatorio drizza voi che 'l mondo fece torti " quia abusi estis rebus mundanis " (Benvenuto, a Pg XXIII 126); e si veda ancora Pd XXVI 62, I 135 (per una diversa lezione di quest'ultimo passo, cfr. Petrocchi, ad locum).
Al passivo, per indicare lo stravolgimento del senso di un testo - la Scrittura -, in Pd XXIX 90 (cfr. XIII 129, citato).
Ma l'aggettivo può anche esprimere un altro tipo di deviazione, quella puramente razionale: è il caso di Ecuba, cui il dolore per la morte dei figli fé la mente torta, cioè la " fece uscir di senno " al punto che forsennata latrò sì come cane (If XXX 21, con qualche mutamento rispetto alla fonte ovidiana, dove non si parla di stravolgimento di mente, ma si dice che la donna " perdidit... hominis... formam ": cfr. Met. XIII 405).