TORI, Agnolo
di Cosimo
di Mariano, detto Bronzino. – Figlio di Cosimo di Mariano, beccaio, nacque a Monticelli, sobborgo di Firenze, il 17 novembre 1503 (Archivio dell’Opera di S. Maria del Fiore, Registri battesimali, 7).
Il cognome Tori è per la prima volta segnalato da Gaetano Milanesi (1881, p. 593 nota 1), che lo riscontrò nella copia di un documento del 1568; copia di recente riemersa negli studi (Rossi, in corso di stampa). Si tratta di una non meglio specificata donazione in favore dell’artista da parte di una tale Fiammetta di Giovanni di Biagio Giunti, trascritta negli spogli di Ferdinando Leopoldo del Migliore (Biblioteca nazionale centrale di Firenze, Magl. XXVI.143).
Dopo una prima formazione presso un anonimo pittore e, in seconda battuta, presso Raffaellino del Garbo (Vasari, 1568, 1976, IV, p. 119), Bronzino approdò nella bottega di Pontormo prima del 1518, anno in cui fu effigiato dal suo maestro nel Giuseppe in Egitto della camera nuziale di Pier Francesco Borgherini (ibid., 1984, V, p. 317). A fianco di Iacopo Carucci, appare come aiuto già alla Certosa del Galluzzo, dove i due si rifugiarono per scampare alla peste tra il 1523 e il 1525. Qui l’artista affrescò due lunette oggi molto consunte, il Cristo e due angeli e il Martirio di s. Lorenzo (p. 322), e decorò alcuni libri di culto (Clapp, 1916). Sempre una lunetta dipinse nel chiostro della chiesa di Badia (1525 circa) con S. Benedetto nel roveto e s. Benedetto in estasi, che, nella gestione del paesaggio in lontananza e degli elementi naturali, rivela l’interesse, condiviso con il maestro, per le stampe tedesche (McCorquodale, 2005, pp. 17 s.).
Assimilata la maniera di Pontormo, Bronzino prese parte anche alla decorazione della cappella Capponi nella chiesa di S. Felicita (1525-28), affrescando alcune delle figure della volta (Vasari, 1568, 1984, V, p. 323). Un contributo rilevante fornì, infine, nell’esecuzione dei tondi con i santi Evangelisti: di sua mano si ritengono il S. Giovanni e il S. Matteo; frutto di una collaborazione con Pontormo, invece, il S. Marco (Falciani, 2013, pp. 19-22).
Benché la critica sia divisa sulla loro datazione, prima del 1530, anno in cui Bronzino sarebbe partito per Pesaro, il pittore eseguì credibilmente il S. Sebastiano (Madrid, Thyssen-Bornemisza), in prossimità dei tondi di S. Felicita e, poco dopo, il Ritratto di dama con cagnolino (Francoforte, Städel Museum; Geremicca, in Florence, 2015, p. 136).
Il pontormismo che connota il ritratto è inconciliabile con lo stile dell’artista al rientro da Pesaro (1532). La resa dell’abito – astratta e senza riferimento alla qualità dei tessuti, con pieghe costruite attraverso un gioco di chiari e scuri di un medesimo rosso intenso – avvicina l’opera alla Visitazione di Pontormo a Carmignano. Non poche affinità, infine, sono state giustamente ravvisate con il Compianto su Cristo morto (Firenze, Uffizi) dipinto da Bronzino per la cappella Cambi in S. Trinita nel 1529, come dimostrano i pagamenti inoltrati all’artista (Waldman, 1997).
Nel corso dell’assedio di Firenze, tra il 1529 e il 1530, il destino di Bronzino fu, una volta di più, legato a quello di Pontormo: come coperta per il Ritratto di Francesco Guardi egli dipinse il Pigmalione e Galatea (Firenze, Uffizi; Lingo, 2016) e, mentre Iacopo ritraeva Carlo Neroni, per quest’ultimo Agnolo realizzò I dieci mila martiri (Firenze, Uffizi; Giordani, in Bronzino, 2010, p. 80). Entro il 1530, su commissione di Benedetto Varchi, Bronzino ritrasse anche il giovane Lorenzo Lenzi (Milano, Castello Sforzesco; Cecchi, 1990).
La collaborazione con il letterato nella messa a punto del ritratto spinge l’artista a servirsi di un libro di poesie, con al suo interno il sonetto petrarchesco O d’ardente vertute ornata et calda e il componimento varchiano Famose frondi de’ cui santi honori. Pittura e poesia insieme concorrono, nell’opera bronzinesca, alla definizione delle qualità esterne e interne dell’effigiato, evocando inoltre lo stretto rapporto che legava il giovane al letterato (Geremicca, 2013, pp. 86-96).
Tramontata l’esperienza della Repubblica fiorentina, nel 1530 Bronzino partì per Pesaro (Vasari, 1568, 1987, VI, p. 232). Qui, insieme ai fratelli Dossi e a Girolamo Genga, partecipò alla decorazione di villa Imperiale. In questi anni, dipinse il Ritratto di Guidobaldo II della Rovere (Firenze, Galleria Palatina; Costamagna, in Bronzino, 2010, p. 86) e il coperchio di una ‘cassa di arpicordo’, identificato con la Contesa di Apollo e Marsia dell’Ermitage di San Pietroburgo (Kustodieva, 2006). La trasferta marchigiana durò, tuttavia, meno di due anni; Bronzino fece, infatti, ritorno a Firenze già nel 1532 per collaborare con Pontormo alla decorazione del salone della villa medicea di Poggio a Caiano (Vasari, 1568, 1987, VI, p. 232).
Con il Carucci l’artista avrebbe lavorato un’ultima volta anche alle ville medicee di Careggi e di Castello (Vasari, 1568, 1984, V, p. 329), ma il 1537 dovette segnare il suo affrancamento da Jacopo, come parrebbe dimostrare la sua iscrizione alla Compagnia di S. Luca (Furno, 1902, p. 44).
Del 1533 è la notizia della sua attività di scenografo per una commedia allestita dalla compagnia dei Negromanti presso la casa di Antonio Antinori (Vasari, 1930, p. 852). Si trattava probabilmente del Negromante di Bartolomeo Tasio, di cui è nota anche una rappresentazione nella dimora di Bartolomeo Bettini (Leporatti, 2005). Per quest’ultimo, che come Tasio era un amico di Varchi, tra il 1532 e il 1535 l’artista eseguì una serie di lunette con effigi di poeti toscani, destinata alla camera del suo palazzo fiorentino, dove era pure collocata la Venere e Amore dipinta da Pontormo su cartone di Michelangelo (Vasari, 1568, 1987, VI, p. 232; Venere e Amore..., 2002). Di tale ciclo è pervenuto il solo Ritratto di Dante, noto in due versioni: la prima, autografa, di collezione privata, e la seconda, di bottega, conservata alla National Gallery of art di Washington (De Giorgi, in Bronzino, 2010, pp. 206-209).
Tra il 1532 e il 1534, in un momento assai prossimo al ritratto di Dante – al quale lo accomuna una pittura sensibile e sfumata, memore degli esempi veneti che l’artista aveva potuto ammirare a Pesaro, oltre che il ricorso, nella posa, al Giuliano de’ Medici della Sagrestia Nuova – Bronzino dipinse il Giovane con liuto (Firenze, Uffizi; Hendler, in Bronzino, 2010), uno dei capolavori di questa stagione.
L’abbigliamento sobrio, il calamaio in guisa di Venere presente sul tavolo e il liuto hanno spinto la critica a riconoscere nell’effigiato un poeta. Con cautela si sono avanzati i nomi di Giovan Battista Strozzi (Costamagna, 2005, p. 63), di Girolamo Ricciardi, suonatore di liuto e versificatore (Geremicca, 2013, p. 112), di Alfonso de’ Pazzi (Rossi, in corso di stampa).
Al principio degli anni Trenta, Bronzino realizzò un numero importante di ritratti, solo parzialmente ricordati da Giorgio Vasari (1568, 1987, VI, p. 232). Intorno al 1534, ma con una lavorazione protratta almeno fino al 1539 (Bambach, in Bronzino, 2010, p. 262), dovette avviare l’esecuzione del Ritratto di giovane con libro del Metropolitan Museum di New York – nel quale si è anche proposto di riconoscere i tratti di Benedetto Busini (Carrara, 2018). Tale dipinto segna un ulteriore raffinamento nell’elaborazione di una tipologia di ritratto sempre più mirata a mettere in risalto lo status degli effigiati.
Minuta è la resa dei tessuti e del farsetto dalle maniche trinciate, ornato di ciondoli dorati è il berretto di foggia asburgica, così come la cintura blu, che, annodata intorto alla vita, disegna la snella silhouette della figura. Il giovane si presenta con disinvoltura al riguardante, del quale non rifugge lo sguardo, forte della sua condizione sociale e di un libro, posto nella mano destra a suggerirne l’istruzione elevata.
Tra il Giovane con liuto e il Ritratto di giovane con libro, pure intorno al 1534, anno del matrimonio dell’effigiato con Lucrezia Pucci, Bronzino iniziò il Ritratto di Bartolomeo Panciatichi (Geremicca, 2013, pp. 113 s.), che condivide con il Giovane con liuto l’ispirazione michelangiolesca della posa, la saldezza della figura, le mani forti e nerborute, solo raramente realizzate dall’artista. Ad accomunare i tre ritratti è, infine, l’ambientazione architettonica, utilizzata per evocare l’identità fiorentina degli effigiati (Cropper, 2001, pp. 501-503). All’interno di un cortile, con sullo sfondo il David di marmo oggi a Washington, all’epoca ritenuto opera di Donatello, il pittore ambientò, invece, il Ritratto di Ugolino Martelli, eseguito tra il 1536 e il 1537, prima della partenza del giovane per Padova (Cropper, 1985, pp. 185 s.; Brock, 2011; Geremicca, 2013, pp. 114-130).
Nel 1539 Bronzino avviò l’esecuzione di alcuni dipinti per Bartolomeo Panciatichi – rientrato a Firenze dopo cinque anni trascorsi a Lione – che gli richiese un’effigie della moglie e tre opere sacre (Vasari, 1568, 1987, VI, p. 232). Tra questi, il primo a essere realizzato fu il Cristo crocifisso (Nizza, Musée des beaux-arts).
Il Cristo si materializza all’interno della nicchia, costruita per raggiungere un effetto sbalorditivo di trompe-l’œil. Se, nella resa del rilievo, Agnolo gareggia con la scultura, la concreta fisicità conferita alla figura di Cristo è interpretata dalla critica quale espressione della religiosità di matrice valdesiana dei committenti (Falciani, in Bronzino, 2010, pp. 170-172).
Di poco successivo al Cristo è il Ritratto di Lucrezia Panciatichi (Firenze, Uffizi), che presenta quelle forme intarsiate tipiche più tardi dei ritratti ducali. La nobildonna è mostrata con un libro d’ore e un monile nel quale è incisa la frase «amour dure san fin», pure probabile riferimento alla sua religiosità filoriformata (Cropper, in Bronzino, 2010, pp. 253 s.). Infine, Bronzino dipinse le due Madonne: la prima di queste, la Sacra Famiglia con s. Giovannino agli Uffizi, è stata facilmente individuata – sulla rocca in lontananza sono, infatti, visibili le insegne Panciatichi; la seconda – della quale esiste una seconda versione al Louvre – è riconosciuta dalla critica nella Sacra Famiglia con s. Anna e s. Giovannino del Kunsthistorisches Museum di Vienna (Pilliod, in Bronzino, 2010, pp. 300-303; Aloia, in Agnolo Bronzino, 2014, pp. 131-174).
Con la partecipazione agli apparati effimeri allestiti per le nozze di Cosimo I de’ Medici ed Eleonora di Toledo nel 1539 (Vasari, 1568, 1987, VI, p. 233) il pittore entrò nelle grazie dei duchi, che gli affidarono subito commissioni di prestigio. All’avvio del quinto decennio, Agnolo intraprese la decorazione della cappella di Eleonora di Toledo in Palazzo Vecchio (1540-45), partendo dai Santi affrescati sulla volta, per poi passare alle pareti con Storie di Mosè (Cox-Rearick, 1993; Brock, 2002, pp. 182-211; Natali, in Bronzino, 2010, pp. 101-113; Rossi, in Agnolo Bronzino, 2014, pp. 321-333). Tra il 1543 e il 1545, realizzò, inoltre, i tre dipinti da porre sull’altare. La pala centrale con la Deposizione di Cristo (Besançon, Musée des beaux-arts; Béguin, 1996) fu terminata nel 1545, anno in cui Cosimo I la inviò in dono a Nicolas Perrenot de Granvelle, e poi sostituita dalla copia autografa ancora in loco, dipinta tra il 1545 e il 1553. Per i laterali l’artista eseguì il Battista (Los Angeles, Getty Museum; Geremicca, in Bronzino, 2010, p. 120) e il S. Cosma (collezione privata; Costamagna, in Bronzino, 2010, p. 122), rimpiazzati per volontà della duchessa, tra il 1563 e il 1564, da un’Annunciazione.
Ancora su commissione di Cosimo I, tra il 1544 e il 1545, l’artista dipinse l’Allegoria con Venere e Amore (Londra, National Gallery) – la cui interpretazione è stata al centro di numerosi studi (Panofsky, 1939, 1972, pp. 89-91; Smith, 1981; Gaston, 1991; Campbell, 2014) – inviata in dono a Francesco I di Valois. Nella prima metà degli anni Quaranta, complice forse lo scambio instauratosi con Francesco Salviati (Cox-Rearick, 2005), Bronzino si misurò più volte con soggetti allegorici, invero una minima parte della sua produzione. Sono di questo momento, 1544-46, i cartoni per gli arazzi con la Dovizia, la Giustizia vendica l’Innocenza, la Primavera (Meoni, 1998, pp. 158-167). Bronzino sarebbe, infine, tornato a realizzare dipinti sul tema d’amore con la Venere, Amore e Gelosia (Invidia), eseguita intorno al 1550 (Budapest, Szépművészeti Múzeum; Cox-Rearick, in Bronzino, 2010, p. 210), e, tra il 1553 e il 1556, con la Venere, Amore e satiro dipinta per Alamanno Salviati (Roma, Galleria Colonna; A. Baldinotti, in Bronzino, 2010, p. 212).
Parallelamente all’esecuzione della cappella di Eleonora di Toledo e all’attività poetica – era entrato a far parte dell’Accademia Fiorentina nel 1541 (Firenze, Biblioteca Marucelliana, B.III.52; cfr. Plaisance, 2004, p. 88) –, il pittore avviò l’esecuzione dei ritratti della famiglia dei duchi. Intorno al 1542 fu dipinta la Bia de’ Medici (Firenze, Uffizi; Baldinotti, in Bronzino, 2010, p. 132) e, nel 1543, l’Eleonora di Toledo di Praga (Národní Galerie; Costamagna, 2005, pp. 64 s.). A quest’ultima dovrebbe riferirsi uno scambio epistolare tra Pietro Camaiani e Pierfrancesco Riccio, segretari del duca, del 23 ottobre 1543 (Archivio di Stato di Firenze, ASF, Mediceo del Principato, MdP, 1170, c. 336; cfr. Cecchi, 1998, p. 128). In questo stesso anno, secondo il racconto vasariano (1568, 1987, VI, p. 233), l’artista eseguì un primo ritratto del duca armato, da individuare nel Cosimo I in armi degli Uffizi. A mezzo busto o prolungato fino sotto la vita, è questo un modello atto a veicolare l’immagine di Cosimo I quale Marte pacificatore che sarebbe stato riprodotto più volte. Ne sono state rintracciate almeno venticinque versioni, la più parte di bottega (Simon, 1982, pp. 62-150, 220-272), tra le quali si distingue quella autografa dell’Art Gallery of New South Wales a Sydney, commissionata da Paolo Giovio (Geremicca, in Bronzino, 2010, p. 114). Dovrebbe, invece, riferirsi al Giovanni de’ Medici con un cardellino (Firenze, Uffizi) la lettera del 19 aprile 1545 inviata dal vescovo Angelo Marzi al Riccio (ASF, MdP 1171, ins. IV, c. 266; cfr. Cecchi, 1998, p. 128). La critica pone allo stesso anno, infine, l’Eleonora di Toledo col figlio Giovanni (Firenze, Uffizi), che presenta la duchessa nelle vesti di genetrix, esaltandone la fertilità e sottolineando il ruolo da lei svolto nel garantire la perennità della famiglia Medici (Cox-Rearick, in Bronzino, 2010, p. 116).
Conclusasi la decorazione della cappella di Eleonora, i duchi affidarono a Bronzino la preparazione dei cartoni di sedici dei venti arazzi con Storie di Giuseppe destinati a ornare la sala dei Duecento. Le date d’ingresso degli arazzi nella Guardaroba Medicea costituiscono importanti termini per tracciare la cronologia della realizzazione dei cartoni, la cui esecuzione impegnò l’artista per diversi anni e si concluse, credibilmente, nel 1550. In ottobre, Bronzino lasciò, infatti, andare Raffaellino del Colle, che aveva reclutato come aiuto in un breve soggiorno romano nel 1548 (Parigi, Fondation Custodia, Collection Frits Lugt, inv. 6830; cfr. The drawings of Bronzino, 2010, pp. 289-291). Il 5 novembre 1553, in ogni caso, la serie al completo è registrata nell’inventario della Guardaroba (Meoni, 1998, pp. 123-141).
Se gli anni Quaranta segnarono la definitiva affermazione di Bronzino pittore, sul piano personale l’artista affrontò non poche difficoltà. Nel 1541 morì il suo caro amico Cristofano Allori. Fu in questa occasione che egli si trasferì nella dimora di questi in corso degli Adimari, ereditandone i debiti e facendosi carico della sua famiglia (Pilliod, 2001, pp. 97-112). Nel 1547, inoltre, in seguito a una riforma dell’istituzione, l’artista fu espulso dall’Accademia Fiorentina, nei cui ranghi non sarebbe rientrato che nel 1566. Il dolore seguito a questa esclusione caratterizza molti suoi componimenti poetici di questa stagione e fu solo parzialmente alleviato dal sostegno di Varchi, che lo invitò a prendere parte alla sua inchiesta intorno al tema del paragone. La lettera bronzinesca, sebbene non finita, fu pubblicata nelle Due Lezzioni nel 1550 (pp. 127-131).
Nonostante le incessanti richieste provenienti dalla famiglia ducale, tra gli anni Quaranta e Cinquanta Bronzino lavorò senza sosta ai ritratti di altri membri della corte. Stilisticamente vicino all’effigie di Lucrezia Panciatichi, benché la critica lo dati sovente a metà degli anni Cinquanta, è il Giovane con cappello piumato (Kansas City, Nelson-Atkins Museum of art), dapprima immaginato con un’armatura all’antica, come mostrano le indagini diagnostiche (Brock, 2002, pp. 144 s.). Alla metà del decennio, tra il 1545 e il 1546, è invece da porre l’Andrea Doria come Nettuno richiesto da Paolo Giovio (Milano, Brera; Costamagna, in Bronzino, 2010, p. 264), sul piano formale non lontano dallo Stefano Colonna firmato e datato al 1546 (Roma, Galleria Borghese; Hendler, in Florence, 2015, pp. 108 s.).
Seguendo la volontà di Eleonora, il 16 dicembre 1550 Bronzino si recò a Pisa per ritrarre i principini (ASF, MdP 1170A, c. 38; cfr. Cecchi, 1998, p. 140 nota 72). Lettere relative alla prima metà del 1551 documentano l’invio a Firenze di numerose effigi (ibid.). Nella missiva del 31 luglio, indirizzata da Luca Martini a Riccio per accompagnare la spedizione, ne sono ricordate due di Francesco, altrettante di Garzia e Maria e una di Giovanni (ASF, MdP 1170A, c. 12; cfr. Heikamp, 1955, p. 138, doc. 2); con buona probabilità, i ritratti di Maria e Francesco agli Uffizi (Giordani, in Bronzino, 2010, pp. 138-141), di Garzia nella Pinacoteca comunale di Lucca (Baccheschi, 1973, p. 100, n. 89) e di Giovanni oggi all’Ashmolean Museum di Oxford (p. 99, n. 86) furono realizzati in questa occasione. Tra il 1548 e il 1550, se l’identificazione dell’effigiata con Giulia di Alessandro de’ Medici è corretta, fu dipinto il Ritratto di giovinetta con libro degli Uffizi (Geremicca, in Bronzino, 2010, p. 136), che sul piano stilistico crea un gruppo coerente con il Ritratto di Pierino da Vinci (Londra, National Gallery; Brock, 2002, pp. 146-150) e il Ritratto di scultore (o collezionista) (Parigi, Louvre; ibid., pp. 138-140), eseguiti al più tardi tra il 1550 e il 1551.
Nel 1552 furono invece licenziate due grandi pale d’altare dell’artista, entrambe datate e firmate: la Resurrezione di Cristo destinata alla cappella Guadagni nella SS. Annunziata, il cui contratto era stato firmato l’8 aprile del 1548 (Chiappelli, 1930, p. 291), e la Discesa di Cristo al Limbo per la cappella Zanchini in S. Croce (Morini, in Bronzino, 2010, pp. 304-307).
Nelle solide anatomie muscolari che caratterizzano molte delle figure, entrambe le opere testimoniano l’interesse dell’artista per i modelli michelangioleschi e per la scultura classica. Tali modelli sono tuttavia declinati nella consueta raffinatezza dell’artista, che indugia sulla descrizione minuta di armi e oreficerie, così come di panneggi dalle pieghe sottilissime e decorative.
Bronzino dovette probabilmente al successo raggiunto con queste due grandi tavole la commissione di una pala, con un Cristo portacroce e sei santi, per l’altare delle Grazie nel duomo di Pisa. Il 1° febbraio 1555 fu Luca Martini – amico dell’artista, che lo immortalò in un ritratto (Firenze, Galleria Palatina; Geremicca, Bronzino, 2010, p. 272) – a firmare il contratto di allogazione, sottoscritto poi da Bronzino a Firenze (Supino, 1893, pp. 448 s.). Dell’opera, deterioratasi prestissimo, rimangono solo due frammenti: il S. Bartolomeo e il S. Andrea (Roma, Accademia di S. Luca; Monaco, in Bronzino, 2010, pp. 310-313).
Entro il 1553, data in cui ne è registrato l’ingresso nella Guardaroba medicea, Bronzino eseguì il Ritratto del nano Morgante (Firenze, Uffizi), nel quale affrontò il tema del paragone dipingendo entrambi i lati del supporto, che mostrano l’effigiato prima e dopo una battuta di caccia (Hendler, 2016). L’opera fu richiesta da Cosimo I (Vasari, 1568, 1987, VI, p. 235), che all’artista commissionò, negli stessi anni, una serie di ritrattini su stagno di membri della famiglia Medici per il suo studiolo (Giordani, in Bronzino, 2010, pp. 144-147) e, in occasione del suo quarantesimo compleanno, nel 1560, due nuovi ritratti, di sé e della duchessa. Delle tante versioni esistenti di questi ritratti, solo l’effigie di Cosimo I dell’Alana Collection ha le qualità di un autografo di Bronzino (Falciani, in Florence, 2015, p. 123). Al 1560, in prossimità di questo ritratto, al quale è stilisticamente affine, andrebbe collocato quello di Laura Battiferri (Firenze, Palazzo Vecchio). In quest’anno fu pubblicata la prima raccolta poetica della donna, che fu inoltre ammessa alla senese Accademia degli Intronati, due raggiungimenti che potrebbero aver offerto la giusta occasione da celebrare con la commissione del dipinto (Geremicca, in Florence, 2015, p. 160).
Il 1561 si apre con due pale d’altare firmate e datate: il Noli me tangere per la cappella di Giovan Battista Cavalcanti in S. Spirito (Parigi, Louvre) e la Deposizione voluta dai duchi per il convento dei francescani osservanti di Portoferraio (Firenze, Accademia); quest’ultima, come informa una minuta del carteggio cosimiano (ASF, MdP 220, c. 78v; cfr. Gaye, 1840, p. 166), fu consegnata i primi di febbraio del 1565, insieme alla Natività che il pittore eseguì per la chiesa dei Cavalieri a Pisa (Brock, 2002, pp. 303-313). I due dipinti testimoniano come ancora per tutti gli anni Sessanta, nonostante la forte affermazione a corte di Giorgio Vasari, il duca accordasse la sua protezione a Bronzino, che godeva a Firenze di un’autorevolezza troppo spesso sottostimata dagli studi.
Sin dal 1561, Bronzino fu al fianco di Vasari e Giovanni Angelo Montorsoli nel processo di riforma della Compagnia di S. Luca, che avrebbe condotto, nel 1563, alla fondazione dell’Accademia del disegno (Furno, 1902, pp. 44 s.); nel 1567 s’impegnò a decorare la cappella degli artisti nella Ss. Annunziata con una Trinità, terminata da Alessandro Allori (Baccheschi, 1973, p. 84); e nel 1571 fu tra i sei riformatori che ottennero dal duca l’emancipazione della medesima Accademia dalle due arti dei medici e degli speziali e dei fabbricanti (Furno, 1902, p. 55). Dell’Accademia Bronzino fu numerose volte console, partecipando alla messa a punto, nel 1564, degli apparati funebri per la morte di Michelangelo e, nel 1565, degli apparati effimeri per le nozze di Francesco I de’ Medici e Giovanna d’Austria (Vasari, 1568, 1987, VI, p. 237).
La fiducia accordata da Cosimo I a Bronzino, in questi anni, emerge per il Martirio di s. Lorenzo (Brock, 2002, pp. 313-326; Falciani, in Bronzino, pp. 290-293), affrescato in S. Lorenzo a partire dal 1564 e scoperto il 10 agosto 1569 (Lapini, 1900, p. 164). Da alcune minute di lettere inviate all’artista dal duca è chiaro che il progetto fu avviato per volontà di Agnolo, al quale Cosimo I lasciò carta bianca nella messa a punto del programma decorativo (ASF, MdP 220, cc. 76r, 78v; cfr. Gaye, 1840, pp. 165 s.). Quest’ultimo – che doveva prevedere un secondo episodio mai realizzato – era stato immaginato a ideale completamento degli affreschi di Pontormo nel coro, portati a termine da Bronzino nel 1558, in seguito alla morte del Carucci (Vasari, 1568, 1987, VI, p. 236; Lapini, 1900, pp. 121 s.; Cecchi, 2017).
Lungo tutti gli anni Sessanta, Bronzino eseguì, infine, numerose opere, dalla critica ingiustamente considerate ‘decadenti’, e che presentano, al contrario, un livello qualitativo molto alto nell’esecuzione e dimostrano la sua capacità di rinnovare, nelle composizioni, il proprio repertorio. Verosimilmente per Francesco de’ Medici furono dipinti, tra il 1567 e il 1569, l’Allegoria della Felicità (Firenze, Uffizi) e il Compianto su Cristo morto (Firenze, Uffizi; Geremicca, in Bronzino, 2010, pp. 148, 316).
Il continuo operare di Bronzino fu interrotto solo dal sopraggiungere della morte, il 23 novembre 1572 (Milanesi, 1881, p. 605, nota 2); le sue esequie si tennero il giorno successivo nella chiesa di S. Cristoforo di Corso degli Adimari, dove l’artista fu inumato e dove vollero essere poi sepolti anche Alessandro Allori e suo figlio Cristofano (Pilliod, 2001, pp. 108, 256 note 86 e 88).
Di Bronzino rimane una produzione poetica corposa, che conta una trentina di capitoli in terza rima, più di duecento tra sonetti, madrigali e canzoni, quattordici sonetti caudati, i cosiddetti Saltarelli, con i quali l’artista intervenne nella polemica intercorsa tra Lodovico Castelvetro e Annibal Caro (1556-59). Con rare eccezioni, i suoi versi sono traditi in due manoscritti, parzialmente autografi, della Biblioteca nazionale di Firenze: il II.IX.10 (Delle rime del Bronzino pittore libro primo); il VII.115 (Le rime in burla del Bronzino pittore).
Sebbene Bronzino non conducesse mai a termine l’edizione dei suoi versi, pure preannunciata da Vasari (1568, 1987, VI, p. 237), molti dei suoi componimenti furono stampati lui vivente: Le terze rime de messer Giovanni della Casa…, Venezia 1538, cc. 32r-34r; Secondo libro dell’opere burlesche…, Firenze 1555, cc. 137v-159v; De’ sonetti di m. Benedetto Varchi..., Firenze 1557, pp. 116-119; Il primo libro dell’opere toscane di m. Laura Battiferri degli Ammannati…, Firenze 1560, pp. 69-71; Esequie del Divino Michelangelo…, Firenze 1564, c. C2v; Poesie di diversi autori […] nella morte di Michel’Angelo Buonarroti, Firenze 1564, c. Aiii.r; Componimenti. Nella morte di m. Benedetto Varchi, Firenze 1565, cc. Hii.v-Hiii.r; La Catrina, atto scenico rusticane di m. Francesco Berni, Firenze 1567, cc. n.n.; Due trattati […] composti da m. Benvenuto Cellini scultore fiorentino, Firenze 1568, cc. Riii.v-Riv.r.
Altri dipinti: Sacra famiglia con s. Elisabetta e s. Giovannino, Washington, National Gallery of art; S. Michele Arcangelo, Torino, Museo civico; Madonna col Bambino e s. Giovannino, Firenze, Galleria Corsini; Ritratto di giovane che scrive (già Corsini), collezione privata; Madonna col Bambino e s. Giovannino, Milano, collezione privata; Ritratto di donna, Windsor, Windsor Castle; Noli me tangere, Firenze, Casa Buonarroti; Ritratto di Cosimo I nelle vesti di Orfeo, Philadelphia, Philadelphia Museum of art; Adorazione dei pastori, Budapest, Szépművészeti Múzeum; Ritratto di donna con bambino, Washington, National Gallery of art; Madonna col Bambino, s. Elisabetta e s. Giovannino, Londra, National Gallery; Madonna col Bambino, s. Elisabetta e s. Giovannino, New York, Alana Collection; Madonna col Bambino, s. Elisabetta e s. Giovannino, Roma, Galleria Colonna; Ritratto di donna (Maria Salviati?), San Francisco, de Young Memorial Museum; Annunciazione, Firenze, Uffizi; Ritratto di Ludovico Capponi, New York, Frick Collection; Ritratto d’uomo, già attribuito a Francesco Salviati, Los Angeles, Getty Museum; Madonna col Bambino e s. Giovannino, Pavlovsk, Museo del Palazzo; Sacra Famiglia con s. Giovannino, Mosca, Museo Puskin; Cristo portacroce, collezione privata; Ritratto di Eleonora di Toledo e Francesco de’ Medici, Pisa, Museo di Palazzo Reale; Allegoria della Prudenza, Firenze, Uffizi; S. Giovanni Battista, Roma, Galleria Borghese; Pietà, Firenze, S. Croce; Resurrezione della figlia di Giairo, Firenze, S. Maria Novella; Immacolata concezione, Firenze, chiesa di S. Maria Regina della Pace.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze (ASF), Mediceo del Principato (MdP) 220, Lettera di Cosimo I de’ Medici ad Agnolo Bronzino, 27 gennaio 1565, c. 76r; ASF, MdP 220, Lettera di Cosimo I de’ Medici ad Agnolo Bronzino, 11 febbraio 1565, c. 78v; ASF, MdP 1170, Lettera di Pietro Camaiani a Pierfrancesco Riccio, 23 ottobre 1543, c. 336; ASF, MdP 1170A, Lettera di Agnolo Bronzino a Pierfrancesco Riccio, 16 dicembre 1550, c. 38; ASF, MdP 1170A, Lettera di Luca Martini a Pierfrancesco Riccio, 31 luglio 1551, c. 12; ASF, MdP 1171, ins. IV, Lettera di Angelo Marzi a Pierfrancesco Riccio, 19 aprile 1545, c. 266; Firenze, Archivio dell’Opera di S. Maria del Fiore, Registri battesimali, 7, c. 33r; Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Ferdinando Leopoldo del Migliore, Zibaldone genealogico, Magl. XXVI.143, cc. 208, 326; Firenze, Biblioteca Marucelliana, Atti dell’Accademia, B.III.52, cc. 2v-3r; Parigi, Fondation Custodia, Collection Frits Lugt, inv. 6830, Lettera di Agnolo Bronzino a Cosimo I de’ Medici, 30 aprile 1548.
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di
Cosimo