TORNEO
Il t. è, con la giostra, l'armeggeria, la quintana, la corsa e, più tardi, il carosello, una delle forme del gioco in origine militare che si praticava in tutta Europa 'in campo chiuso' - con la lancia e a cavallo - tra i secc. 11° e 17° e che conobbe tra Duecento e Quattrocento la sua massima espansione.
Il nome generico di queste gare - che erano insieme esercizi di destrezza e sfide - in latino medievale è hastiludium, quindi ludus con le hastae: ma il più specifico termine torneamentum, derivato evidentemente per retroversione latina dal francese settentrionale tornoïer, rinvia all'idea di girar attorno a qualcosa, del correre vorticosamente, del volteggiare. Una delle espressioni con le quali più di frequente si designava il t. era ludus Troianus, forse con riferimento alle evoluzioni equestri di cui si tratta nell'Iliade, che peraltro l'Europa medievale conosceva soltanto attraverso epitomi.Il riferimento a Troia, e quindi alle Migrazioni dei popoli tra secondo e primo millennio a.C. nel macrocontinente eurasiatico, è comunque sotto il profilo antropologico molto pertinente al fine di indagare sulla 'preistoria' del torneo. Gli antenati dei t. - anche se il tema non si deve inquadrare in una troppo rigida cornice evoluzionistica - sembrano da ricercarsi nei giochi a cavallo delle culture nomadi eurasiatiche, tanto indoeuropee quanto turcomongole. Il mondo sarmatico, quindi la Partia arsacide e la Persia sasanide, conobbero scontri - e quindi gare d'addestramento allo scontro - fondati sul maneggio dell'asta pesante, il kontós, che si manovrava a due mani. Testimonianze di queste pratiche sono i rilievi monumentali di Naqsh-i-Rustam presso Persepoli in Iran.
Documentati sono giochi di destrezza a cavallo, con valore anche rituale e cultuale, consueti tra gli Unni e anche tra i Goti: il mondo dell'Asia centrale, con le sue popolazioni nomadi e le sue tradizioni, sembra quindi il più indicato a esser visto come l'area nella quale si svilupparono le prime forme di quello che più tardi divenne il t. medievale. Alcune di queste usanze sopravvissero - quando non furono richiamate in vita da iniziative a carattere revivalistico - quasi in tutta Europa con usanze folkloriche quali le danze 'delle spade' o del 'cavallo di legno', oppure in gare ancora molto radicate che vanno dal Palio di Siena al buskashi afghano. Un gioco d'origine indopersiana trasformatosi invece in sport è il polo. È difficile dire se il 'gioco della guerra' medievale conservasse qualche ricordo dei ludi gladiatorii romani: lo affermano i trattatisti rinascimentali, ma ciò appartiene alla patina classica che si amava stendere su qualunque tradizione.Il t. storico medievale nacque comunque, nella sua configurazione come tale individuabile, allorché si verificarono due condizioni: la stretta solidarietà e l'intesa profonda tra cavaliere (v.) e cavallo nonché la tecnica fondata sulla coesione tra uomo e cavalcatura garantita dalla staffa, dalla sella a schienale alto e dal maneggio della lancia puntata dritta parallela al suolo e stretta sotto l'ascella destra.
Una tradizione consolidata vuole che il t. sia stato 'inventato' da un cavaliere nativo dell'Angiò, Geoffrey II signore di Prouilly, nella prima metà del sec.11°: ma le prime fonti letterarie e iconiche certe risalgono solo intorno alla metà del 12° secolo. Fino a tutto il Duecento, i t. sembrano essere stati piccole battaglie 'in campo chiuso' piuttosto che battaglie simulate: vi si combatteva in squadre che si scontravano alla rinfusa - la c.d. mêlée - a cavallo ma anche a piedi e, secondo alcuni storici, vi si sperimentavano anche nuovi sistemi tattico-strategici. L'addestramento sembrava in questa fase prevalere sul gioco; semmai, in questa prima forma del t. si proseguiva in qualche modo la tradizione dell'ordalia, dello scontro giudiziario tra 'campioni'. Nel gioco s'incanalavano forse, e avevano modo di sfogarsi, rivalità, animosità e rancori: è anzi molto probabile che la guerra 'in campo chiuso' fosse appunto un espediente socio-rituale per impedire che il meccanismo dei contrasti e magari la spirale della vendetta dilagassero nella società, compromettendone ordine, equilibrio e serenità. In questo senso, un legame potrebbe istituirsi fra t. e Fehde, l'istituto giuridico della vendetta presso i Germani. Ma nello scontro 'in campo chiuso', accanto alla possibilità che odi e rancori si sfogassero esaurendosi, vi era al contrario quella che lo spirito di emulazione e i colpi accidentalmente dati e ricevuti provocassero semmai l'insorgere di nuovi rapporti d'inimicizia. A tutto ciò deve aggiungersi che durante questi scontri si accendeva anche, fra i combattenti, un altro tipo di gara: quella tesa a superare gli avversari non solo nel valore, nel coraggio e nella forza, bensì anche nel fasto delle armi, delle insegne e dei corredi, nel lusso degli abiti e dei premi posti in palio. Tenendo conto del fatto che armi e vesti venivano sovente guastate nel corso del gioco, che quindi si presentava come un momento di distruzione dei beni, si può comprendere come questo fosse considerato, nell'ambito della cultura cortese, in quanto occasione di largesse, di generosità, uno dei requisiti essenziali anche nel corteggiamento. Nel t. erano presenti tuttavia anche i vizi contrari alla generosità, cioè l'avidità e l'avarizia: i t. prevedevano infatti premi talmente ricchi che si andò sviluppando un vero e proprio ceto di campioni professionisti, i 'corridori di t.', che si spostavano di festa in festa sfidando ritualmente i cavalieri del luogo e si arricchivano delle prede guadagnate. Nonostante la mortalità in t. fosse piuttosto alta, e altissima quindi quella tra i professionisti, qualcuno di loro giungeva alla maturità e poteva ritirarsi godendo i frutti della sua attività e magari perfino gli esiti di un ricco matrimonio contratto in seguito all'ammirazione provocata dai suoi exploits. È famoso il caso di Guglielmo 'il Maresciallo' (Duby, 1984).L'unione del fasto con la violenza produceva altresì, nel corso del t., una fortissima carica erotica, che si coglie appieno nel racconto di molti episodi letterari come di parecchie immagini: i t. erano luogo privilegiato dell'amor cortese e causa o comunque scenario per l'adulterio. Molti testi hanno tramandato la memoria della densa atmosfera erotica che pervadeva il t.: celebre l'episodio della dama che, alla sera, si mostra in pubblico vestita della camicia insanguinata che l'amante ha portato nel corso dello scontro durante il quale è stato ferito.Con il Duecento, il progressivo appesantimento delle armi offensive e difensive condusse a una copertura completa del guerriero: se a ciò si aggiunge la polvere sollevata dallo scontro, in breve tempo risultava impossibile distinguerne i protagonisti. Acquistò pertanto crescente peso la consuetudine di dipingere le insegne dei torneanti sugli scudi, di ornare gli elmi di cimieri, di ripetere insegne e relativi colori sulle sopravvesti che coprivano le armature - le 'cotte d'armi' - e sulle gualdrappe dei cavalli. Appositi specialisti, gli araldi, i quali erano per un verso affini ai giudici di gara ovvero ai 'maestri di campo', ma per un altro ai giullari, s'incaricavano d'interpretare le insegne e di indicare ad alta voce (il latino li designa con il termine di praecones) i singoli combattenti: per questo occorrevano esperienza e conoscenza delle insegne familiari usate dai membri dell'aristocrazia presenti in campo. Sovente interi, lunghi, e beninteso noiosi, poemi celebravano le gesta dei cavalieri in torneo. Una scienza specifica, l'araldica, si sviluppò da queste pratiche.Violenza, fasto eccessivo - quindi vanitas - e sollecitazioni erotiche spinte fino alla lussuria spiegano perché la Chiesa si fosse schierata fin dal sec. 12° con decisione contro i t. e le altre forme di gioco cavalleresco, vietandone l'uso e giungendo a impedire che chi cadeva nel corso di essi ricevesse sepoltura in terra consacrata. I predicatori inveivano contro i t. e narravano spesso exempla che in qualche modo li condannavano: racconti di apparizioni di diavoli che sorvolavano, stridendo di gioia, la lizza cioè il 'campo chiuso' del t.; di cavalieri che per partecipare o per assistere a un t. avevano trascurato le cerimonie religiose e i sacramenti e per questo erano stati puniti; addirittura della Vergine che partecipa a un torneo assumendo l'aspetto di un cavaliere e salvandone quindi l'onore.Ma gli strali della Chiesa non furono sufficienti a compromettere la diffusione del t., tanto più che durante il suo svolgersi non era infrequente che venissero bandite anche iniziative considerate buone, come la crociata. D'altronde la violenza, il disordine sociale originato dai rancori o dagli adulteri di cui il t. era occasione e infine la distruzione di ricchezze che vi si verificava finirono con il costituire essi stessi un limite alla sua pratica: da una parte sorse una normativa sempre più stretta che ne formalizzava lo svolgersi, da un'altra nacquero leggi che ne limitavano il lusso, da un'altra ancora s'incoraggiò la tendenza ad attutirne il carattere di addestramento militare per sottolinearne invece quello di gioco e di spettacolo. S'introdusse la differenza tra i t. à plaisance, giochi di destrezza che si facevano con armi smussate o addirittura finte (spade di legno, lance 'buse', cioè vuote al loro interno, che al primo scontro si schiantavano volando in pezzi con grande effetto spettacolare, ma pochissimo danno), e i t. à outrance, vere e proprie sfide con armi affilate e appuntite.
Con il Quattrocento, poi, il t. - che si combatteva a squadre - cedette gradualmente il passo alla giostra, una sequenza di scontri fra due cavalieri separati da una 'barriera' che correvano l'uno contro l'altro con lo scopo primario di riuscire a disarcionare l'avversario: un fine relativamente arduo a conseguirsi, per cui nella realtà pratica queste gare si vincevano 'ai punti', secondo l'abilità di ciascuno dei contendenti nel colpire lo scudo dell'altro.Il t. dette luogo a una vera e propria cultura. Nell'Europa tre-quattrocentesca si formarono un po' dappertutto 'brigate' o 'compagnie' di giovani torneanti, contraddistinte da speciali insegne e colori ('imprese', 'divise') e caratterizzate da feste, rituali e statuti specifici. Il loro dichiarato scopo era organizzare feste e t.: molto spesso, tuttavia, esse esercitavano anche un ruolo di pressione e di condizionamento politico nei loro ambienti sociali. Corti come quelle di Barcellona, di Digione, di Milano, di Ferrara, di Napoli, divennero celebri per la frequenza e la ricchezza delle loro giostre e dei loro tornei. Si affermò anche una letteratura specialistica che descriveva il cerimoniale da usarsi nei t.: in questo genere letterario, il modello più noto è il Traictié de la forme et devis d'un tournoy di Renato d'Angiò, duca di Lorena e di Bar nonché re nominale di Napoli (m. nel 1480).
Bibl.:
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