TORO FARNESE
Gruppo in marmo greco, di ingenti proporzioni (alt. m 3,70; base quadrangolare di m 2,95 per lato) e ricavato da un unico blocco, trovato in Roma, nelle Terme di Caracalla nel 1546 o nel 1547, sotto il pontificato di Paolo III. Fu collocato nel secondo cortile verso via Giulia del Palazzo Farnese, destò la cupidigia di Luigi XIV che tentò invano di acquistarlo nel 1665, e nel 1786 fu trasportato a Napoli, dapprima nella Villa Reale e poi, nel 1826, nel Museo Nazionale, ove si trova tuttora (B. Croce, in Napoli Nobilissima, i, 1892, p. 39). Già ritenuto un originale greco (Winckelmann) fu presto riconosciuto come la copia di età antonina, e destinata ai bagni di Caracalla (211-217 d. C.), di una scultura di Apollonios e Tauriskos, attivi intorno alla metà del I sec. a. C. (v. tauriskos, 1°), descritta da Plinio (Nat. hist., xxxvi, 34) e conservata a Roma nella collezione di Asinio Pollione.
Nel quadro di un ricco paesaggio roccioso è rappresentato il supplizio di Dirce legata al toro da Anfione e Zeto per vendicare la schiavitù della madre Antiope, presente alla scena.
Il gruppo è alterato da numerosi restauri di cui alcuni anche antichi; ma la maggior parte di essi risalgono al sec. XVI ed hanno attribuzioni contrastanti. In una incisione di Roberto di Borgo S. Sepolcro del 1579, che rappresenta il gruppo Farnese, viene indicato G. B. Bianchi come l'artista che pressappoco nello stesso anno avrebbe restaurato l'opera ed è questo lo stesso nome riferito dal Winckelmann (Storia dell'arte nell'antichità, Torino 1961, pp. 355-356) e citato nell'inventario di Palazzo Farnese del 1767; altri invece fanno il nome di G. B. Casignola (Baglioni, Vite, p. 301) o pensano a G. B. della Porta, figlio di Fra del Piombo Guglielmo della Porta, che aveva curato altri marmi Farnese. Si è cercato di spiegare queste ambiguità identificando i primi due con il terzo che avrebbe assunto i due nomi diversi da quello del proprio padre per ottemperare a un nuovo rigore di costumi intervenuto nella corte papale (Kinkel). Altri ancora fanno il nome di G. B. Biondi (Ruesch), artista del tutto ignoto, così da far sorgere il dubbio che possa trattarsi di un'errata grafia per Bianchi. Dopo il trasporto a Napoli fu necessario un nuovo intervento di restauro ad opera di Angelo Brunelli, un allievo del Canova. Ulteriori restauri furono poi compiuti nel 1848 per mano del Cali.
Sono di restauro nella figura di Dirce la parte superiore del corpo fino all'ombelico comprese le braccia; in quella di Anfione la testa, per cui fu preso a modello un ritratto di Caracalla, parte delle braccia e delle dita delle mani, la gamba destra, la gamba sinistra con le quattro dita piccole e un pezzo del piede, l'estremità del panneggio e la parte superiore della lyra; in Antiope la testa, le due braccia con la lancia (la statua era rotta nella zona dei polpacci); nel toro le corna, il muso, le zampe eccettuate le unghie della parte posteriore dei piedi; in Zeto la testa., le braccia, la gamba sinistra tranne le quattro dita piccole e la parte esterna del piede, la gamba destra; la corda che scende dal corno sinistro del toro; il braccio sinistro e l'avambraccio destro del pastore; tutto il cane con esclusione delle zampe. Nella base, al disotto del toro, si trova un grosso foro che si presume non antico; si sa che, secondo il consiglio di Michelangelo (Vasari-Milanesi, vii, p. 224) si voleva impiegare il gruppo per una fontana nel Palazzo Farnese e si è pensato che questa manomissione potesse essere stata compiuta in vista di questo o di altro adattamento. Certamente errato è il restauro del braccio sinistro di Zeto, che, invece di afferrare il muso del toro, doveva prendere Dirce per i capelli onde trascinarla sotto le zampe della bestia e legarvela. La parte superiore del corpo di Dirce doveva apparire più di profilo, con la mano sinistra abbracciata alle ginocchia di Anfione e la destra alzata per implorare pietà (vedi moneta da Thyatira e cammeo di Napoli in Studniczka, figg.11 e 12 e, per la tipologia della figura, un torso femminile da Rodi in Bieber, fig. 528).
Altre e sensibili alterazioni sono quelle da rilevarsi tra la copia romana e la presunta opera di Apollonios e Tauriskos. Tali l'aggiunta della figura di Antiope, per la quale ci si è ispirati a un tipo statuario di cui si conserva un esemplare agli Uffizî restaurato come Nike (G. Mansuelli, Cat. Galleria Uffizi, Roma 1958, i, n. 119), e probabilmente quella del giovinetto personificazione del Citerone e tutti gli animali, eccetto il cane; ciò ha portato alla trasformazione del gruppo in un blocco quadrangolare che meglio forse si adattava al centro di una corte delle terme cui era destinato. La concezione originaria doveva essere invece a base triangolare e con forma piramidale (quale appare, ad esempio, nella mediocre pittura pompeiana della Casa dei Vettii con lo stesso soggetto).
La sopravvivenza di una serie di opere con lo stesso soggetto, ma non riconducibili allo stesso archetipo del T. F., ha fatto supporre l'esistenza di un'altra composizione a "visuale unica" dell'ellenismo di mezzo (II sec. a. C.) e da riferirsi probabilmente allo stesso originale pittorico del LV sec. a. C. a cui forse si ispirarono anche Apollonios e Tauriskos. Si tratta di un supplizio di Dirce molto meno violento e concepito in un solo piano, del quale possono considerarsi repliche o rielaborazioni i rilievi su alcune urne etrusche della metà del II sec. a. C., e quindi certamente anteriori al gruppo ellenistico (Brunn-Körte, 11, tav. iv, 1-2), una piccola scultura estremamente mutila dei Magazzini del Museo Vaticano (Kaschnitz-Weinberg), un frammento in avorio da Pompei al museo di Napoli, una pittura di Ercolano nella Casa dell'Atrio a mosaico, un mosaico da Aquincum (Nagy) e altre opere minori (v. dirce).
Bibl.: C. O. Müller, in Ann. Inst., XI, 1839, pp. 287-292; C. Jannelli, Nuove osservazioni sul Toro Farnese, Napoli, 25 nov. 1845, dal Progresso, quad. XI; G. B. Finati, in Museo Borbonico, Napoli 1852, XIV, tavv. V e VI; G. Kinkel, Mosaik zur Kunstgeschichte, Berlino 1876, pp. 29-56; K. Dilthey, in Arch. Zeit., XXXVI, 1878, pp. 43-54; C. Friederichs- P. Wolters, Die Gipsabgüsse ant. Bildwerke, Berlino 1885, pp. 513-518; A. Sogliano, in Atti Acc. Arch. Lett. e Belle Arti, Napoli XVII, 1894; L. Correra, in Bull. Com., XXXVIII, 1900, pp. 44-49; R. Lanciani, Storia degli scavi di Roma, II, 1903, pp. 161-162; 182; F. Studniczka, in Zeitschr. bild. Kunst, XIV, 1903, pp. 171-182; E. Herneknrath, in Ath. Mitt., XXX, 1905, pp. 245-256; G. Lippold, in Arch. Jahrb., XXIX, 1914, pp. 174-177; L. von Nagy, in Röm. Mitt., XL, 1925, pp. 51-65; E. Pfuhl, in Röm. Mitt., XLI, 1926, pp. 227-228; A. W. Lawrence, Later Gr. Sculpt., Londra 1927, p. 120; E. Magaldi, in Atti Acc. Arch. Lettere e Belle Arti, Napoli N. S., XI, 1928, pp. 89-98; G. Kaschnitz-Weinberg, Sculture del Magazzino del Museo Vaticano, Città del Vaticano 1936, n. 335, pp. 154-156; G. Lippold, Handbuch, Monaco 1950, pp. 383-384; M. Bieber, Sculpt. Hellenistic Age, New York 1961, pp. 133-134; A. Ruesch, Guida Mus. Naz. Napoli, s. d., n. 260, pp. 80-83.