toro (tauro)
Il nome dell'animale ricorre tre volte nell'opera dantesca. In due casi si tratta di similitudini, derivate da fonti classiche o dall'osservazione della natura. In If XII 22 quel toro che si slaccia in quella / c'ha ricevuto già 'l colpo mortale, si cita Virgilio (Aen. II 223-224); il toro è paragonato al Minotauro che, udite le energiche parole di Virgilio, s'infuria, ma deve lasciar passare i due pellegrini. La somiglianza fra i due termini del paragone, ovvia dal punto di vista fisico, è molto espressiva dal punto di vista psicologico; l'animale è scelto per la sua caratteristica di furiosa e ostinata violenza, in perfetto accordo con l'animus dei peccatori immersi nel Flegetonte, e col temperamento che la mitologia attribuisce al Minotauro.
A conferma del fatto che per D. il t. è animale irruento e folle per eccellenza, si veda la seconda similitudine: Pd XVI 70 cieco toro più avaccio cade / che cieco agnello: " il cieco toro rappresenta la forza senza il senno " (Venturi), " la sovrabbondanza delle forze, quale è nel toro, animale violento.... è, a breve andare, più pericolosa di caduta, in quanto la forza, di per sé ‛ cieca ', non sia governata dal senno " (Del Lungo).
In Pg XXVI 42 si fa riferimento ancora al mito del Minotauro (Ovid. Met. VIII 131-132): Ne la vacca entra Pasife, / perché 'l torello a sua lussuria corra; allude a prestanza giovanile il suffisso.
Nella forma Tauro il termine indica il secondo segno dello zodiaco (latino Taurus), posto dopo Ariete e prima dei Gemelli. Durante il quinto giorno del suo viaggio, D. indica (Pg XXV 3) che il Sole - che si trovava allora al 15° in Ariete - aveva fatto posto al T. sul cerchio del meridiano (il sole avëa il cerchio di merigge / lasciato al Tauro), per suggerire che si trattava di una delle prime ore del pomeriggio.
Il fatto che il T. preceda i Gemelli sullo zodiaco consente a D., penetrando nella sfera delle Stelle fisse, di salutare la costellazione sotto cui nacque (v. GEMELLI) mediante la perifrasi io vidi 'l segno / che segue il Tauro (Pd XXII 111).
Appare come variante di Coro, ma da una precedente lezione cauro, in If XI 114; cfr. Petrocchi, ad locum.