TORRE DI PORDENONE
Località del Friuli in cui sono stati portati alla luce i resti di un vasto e articolato edificio, situato presso l'ansa del fiume Noncello, caratterizzato dalla presenza, nel settore O, di un ampio ambiente in laterizî dotato di un sistema di pilastrini, e da numerosi vani con fondazioni a ciottoli.
Le strutture in laterizî erano sostenute da una palificata di fondazione, necessaria per ovviare alla natura acquitrinosa del terreno. E probabile che l'ambiente principale con pilastrini, già identificato al momento della scoperta come sudatorium, sia piuttosto da ritenere un vano adibito a magazzino, caratterizzato dalla presenza di bassi muretti finalizzati a sostenere l'originario pavimento in legno.
Il settore E sembra rappresentare la parte più antica del complesso: nell'area più a Ν i locali si dispongono secondo un disegno poco organico, mentre in quella a S è possibile distinguere tre ampi vani disposti in successione assiale. Vanno segnalati, infine, un vasto ambiente pavimentato in «mosaico di tessere quadrate su cocciopesto», interrato a qualche anno di distanza dalla scoperta, avvenuta negli anni '50, e uno più piccolo con pavimentazione in cocciopesto e probabile focolare.
Circa la funzione dell'edificio è da escludere che si tratti di terme pubbliche, tesi avanzata al momento della scoperta, mentre prende sempre più corpo l'identificazione con il settore produttivo di una villa, che doveva comprendere probabilmente una serie di ambienti a nicchie ancora visibili sulla sponda opposta del fiume, sull'altura della chiesa dei Ss. Diario e Taziano. Su tale altura doveva estendersi anche la parte residenziale del complesso che fu in uso tra la fine del I sec. a.C. e il III d.C.
Tra il materiale recuperato nel corso degli scavi sono da segnalare, insieme alle tarsie marmoree e alle tessere musive di pasta vitrea a diversi colori e a foglia d'oro, gli eccezionali lacerti di affresco con figure, rinvenuti nel settore O della villa unitamente ad alcune centinaia di altri frammenti con elementi decorativi a carattere floreale, architettonico e geometrico.
Tra gli affreschi spiccano le figure di un guerriero in nudità eroica, ripreso nell'atto di sguainare la spada, e di una donna con veste verde e viso rivolto verso destra, di un cavaliere dalla carnagione chiara, ferito al cuore da una lancia, di un guerriero con elmo e di un altro con spada riposta nel fodero. Altri elementi riferibili a cavalli e a cavalieri si ritrovano in diversi frammenti.
Le figure sono rappresentate su un fondo nero privo di notazioni paesaggistiche e poggiano su una fascia verdastra che rappresenta il terreno sul quale vengono a proiettarsi le ombre.
Il contesto di ritrovamento non consente di affermare con sicurezza che tutti gli intonaci figurati, ora inglobati in pannelli di gesso ed esposti nel Museo delle Scienze di Pordenone, fossero pertinenti a un unico ambiente; il ritrovamento è avvenuto, infatti, in un'area acquitrinosa esterna all'edificio, immediatamente a ridosso del muro O dell'ambiente a pilastrini. È probabile che i resti di intonaco dipinto siano stati scaricati in quella zona al fine di bonificare il terreno dalle infiltrazioni d'acqua, e ciò sarebbe avvenuto dopo la ristrutturazione di alcuni ambienti della villa, piuttosto che in seguito all'abbandono del complesso.
Un'attenta analisi iconografica e stilistica consente, tuttavia, di ravvisare una concezione unitaria degli affreschi, tale da farli ritenere parte di una medesima scena.
Per quanto riguarda la collocazione dei lacerti all'interno dello spazio parietale, sembra probabile che essi appartenessero a un fregio situato tra la zona mediana e la zona superiore, in analogia con quanto documentato già a partire dal II stile (Pompei, Casa del Criptoportico; Roma, Casa di Livia e Villa della Farnesina), ma diffuso anche nel III e nel IV. La posizione privilegiata del fregio, di cui si è conservata solo una minima parte (c.a 2 m di estensione in lunghezza), doveva necessariamente attrarre l'attenzione dello spettatore e produrre un certo effetto scenografico, evidenziato dal contrasto tra la viva policromia delle figure e il fondo nero non oggettivato; questo viene concepito come una sorta di barriera fisica dalla quale si staccano i personaggi posti tutti sullo stesso piano, in modo paratattico.
Quanto al soggetto raffigurato, oltre alla tradizionale identificazione come Esopo di uno dei personaggi, è da ricordare la possibilità di riconoscere nella figura del guerriero in nudità eroica l'Achille della scena dell'ira come viene raffigurato nei quadri della Casa dei Dioscuri e della Casa di Apollo a Pompei. Il tipo di pettinatura, caratterizzata dall'anastolè, e lo schema utilizzato per raffigurare l'azione di combattimento, rimandano all'iconografia di Alessandro Magno e collocano il prototipo della scena di T. all'età compresa tra il regno del re macedone e la prima età ellenistica.
Di fatto risulta molto difficile, date le condizioni frammentarie delle pitture, stabilire di quale battaglia si tratti: se sia una battaglia storica (lotta tra Greci e Persiani) o mitologica (lotta tra Greci e Amazzoni), o se venga semplicemente raffigurato uno scontro ideale: astratto nella concezione ma particolareggiato nei dettagli, in esso si verrebbero a contrapporre le forze della civiltà, rappresentate dalle eroiche figure a piedi, e quelle della «barbarie», identificate nelle figure a cavallo.
Il buon livello qualitativo e la raffinatezza di questi lacerti di affresco, nonché la tematica scelta, inducono a proporre una datazione in età augustea e testimoniano, sulla base anche del confronto con il restante materiale proveniente dallo scavo, il notevole potere economico del proprietario della villa, appartenente probabilmente alla classe imprenditoriale locale. Tale presenza può giustificarsi se si pensa al ruolo del fiume Noncello, che rappresentava la direttrice di traffico più sicura e veloce da e per l'Adriatico.
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(M Salvadori)