TORRICELLI
Famiglia di pittori di origine svizzera, attivi nel corso del XVIII secolo.
I capostipiti, figli di Giuseppe Maria Cristoforo e Marta Borella, furono Giuseppe Antonio Maria, nato a Lugano, nel Canton Ticino, il 13 aprile 1710, e Giovanni Antonio, che vide la luce il 13 luglio 1719.
Dopo un apprendistato artistico di cui sappiamo molto poco e che possiamo solo ipotizzare avvenuto all’interno di una delle botteghe itineranti di cui la regione di Lugano era prolifica, e completato in seguito con un approfondimento che secondo Gian Alfonso Oldelli (1811) ebbe luogo all’Accademia di Bologna, Giuseppe Antonio Maria risulta attivo sin dal 1732, come si evince dal pagamento per una «fattura e pitura di n. 24 lanternini» destinati alla chiesa di S. Marta a Lugano (Brentani, 1941, p. 108). Tre anni dopo, nella chiesa di S. Rocco dello stesso borgo dipinse il Santo titolare, inserito in una cartella a stucco al di sopra dell’entrata alla cappella della Natività, che costituisce a tutt’oggi la sua prima opera pervenutaci.
Completato il periodo formativo del fratello Giovanni Antonio, che sempre secondo l’Oldelli (1811) pure svolse a Bologna, la coppia iniziò una lunga e prolifica carriera artistica, che la vide sovente attiva contemporaneamente sullo stesso cantiere, poiché i due fratelli sapevano rispondere con buone doti sia tecniche che formali alla poetica tipicamente barocca di elaborazione totale dello spazio. I Torricelli sono infatti attestati nel 1745 nell’oratorio di S. Rocco a Gandria per un lavoro andato perduto, e l’anno seguente li ritroviamo già attivi a nord delle Alpi, dapprima nella chiesa del monastero delle monache benedettine di Fahr nel Canton Argovia, a cui seguirono nel giro di pochi anni i dipinti murali dell’abbazia benedettina di Einsiedeln (Canton Svitto), eseguiti tra la fine del 1748 e il 1749, e infine quelli nella chiesa gesuitica di Lucerna, realizzati tra la fine del 1749 e i primi mesi dell’anno seguente. Fu proprio questa importante esperienza transalpina, che li mise in contatto con la cultura più aggiornata del rococò internazionale, combinata con la formazione lombarda e bolognese, a costituire la loro particolare e inconfondibile cifra stilistica. Lo stile di Giuseppe Antonio Maria deve molto al rococò luminoso e brillante di Carlo Innocenzo Carloni, la cui opera è presente in numerosi edifici dell’area lombardo-ticinese, ma anche nella stessa abbazia svittese. Altre influenze derivarono a Giuseppe Antonio Maria dal linguaggio del conterraneo Giuseppe Antonio Petrini, con il quale i fratelli Torricelli condivisero alcuni cantieri tra Ticino e Valtellina, e degli Orelli di Locarno, oltre a quello dei lombardi Giulio Quaglio di Laino e a un generico riferimento a Legnanino, visto direttamente o filtrato ad esempio attraverso il varesino Francesco Maria Bianchi, quest’ultimo pure attivo nella chiesa di S. Antonio a Lugano, dove i Torricelli furono presenti nel 1749.
Il particolare ed eccentrico linguaggio formale del quadraturista Giovanni Antonio Torricelli, poggiando su solide premesse bolognesi, in particolare legate alla grande lezione bibienesca, come si evince dalle salde intelaiature architettoniche e dal virtuosismo prospettico, fu sensibilmente arricchito dal contatto diretto con l’aggiornato repertorio rocaille visibile nei cantieri nord-alpini. Questo tratto estremamente vitalistico e dinamico contraddistingue pure le opere di Giovanni Antonio a sud delle Alpi tra la fine del quinto e tutto il sesto decennio del Settecento, tra Ticino e Lombardia – Lugano, chiesa di S. Antonio, palazzo Riva di S. Margherita, palazzo Bellasi; Carabbia, chiesa di S. Siro; Delebio, oratorio di S. Gerolamo; Sondrio, palazzo Sertoli in Quadrivio; Chiuro, palazzo Quadrio de Maria Pontaschelli; Teglio, palazzo Besta; Brescia, palazzo Monti – e lo differenzia sensibilmente da molti quadraturisti lombardi suoi contemporanei, allineati per lo più a un linguaggio di derivazione moderatamente barocchetta. Questa peculiarità di Giovanni Antonio deriva verosimilmente dall’osservazione diretta e ravvicinata delle opere di artisti di origine tedesca quali Johann Baptist Babel, Joseph Anton Feuchtmayer e Egid Quirin Asam, protagonisti di primo piano dell’arte plastica rococò nord-alpina.
I due fratelli Torricelli furono inoltre molto attivi in area piemontese e risultano iscritti alla Compagnia di S. Anna dei Luganesi a Torino. Nel 1769 Giuseppe Antonio Maria, in collaborazione con il cognato quadraturista Francesco Massalli, decorò la cappella dell’ospedale Maggiore, già chiesa di S. Pietro Martire, a Vercelli, opera andata persa. In Val d’Ossola realizzò due importanti cicli di affreschi. Il primo è nella chiesa di S. Bernardino a Malesco, datato 1777 e firmato alla base della cupola unicamente da Giuseppe Antonio Maria. Il secondo ciclo, realizzato tra il 1777 e il 1779 con l’aiuto di un nipote, Antonio Maria, è al Sacro Monte di Domodossola, nelle cappelle VIII e XI. Dopo quest’ultimo intervento l’attività dei fratelli Torricelli si diradò sempre più: furono ancora attivi nella parrocchiale di Gandria nel 1785 (Agustoni, 2010), mentre tre anni dopo Giuseppe Antonio Maria firmò e datò la grande pala della collegiata di Agno. Non conosciamo le date delle loro morti, che non risultano nell’Archivio parrocchiale luganese, il che potrebbe far supporre che avvenissero al di fuori di Lugano. L’Oldelli (1811, p. 80) scrive che Giovanni Antonio «vive tuttora nell’età di 87 eppiù anni […] in patria», mentre risulta che il 10 gennaio 1808 morì la moglie di Giuseppe Antonio Maria, Angela, di anni 89, ma che il pittore era ancora in vita.
Rocco nacque a Lugano, nel Canton Ticino, il 17 agosto 1748, da Francesco Antonio e da Elisabetta (Isabella) Ramazzotti, mentre suo fratello Antonio Maria venne alla luce il 10 ottobre 1751. La formazione dei due fratelli avvenne quasi sicuramente all’interno della bottega degli zii, Giuseppe Antonio Maria, pittore di figura, e Giovanni Antonio Torricelli, quadraturista. La fama e il prestigio che la coppia Torricelli senior si era conquistata nel corso di una lunga carriera artistica ha fatto sì che i due nipoti, Rocco e Antonio Maria, venissero quasi dimenticati dalla storiografia artistica, se non confusi con i Torricelli più anziani. Fino a pochi anni fa si conosceva Rocco Torricelli unicamente quale autore nel 1791 degli affreschi nella volta del presbiterio della collegiata di Agno, raffiguranti la Fede e la Carità, mentre «l’arma del nuovo vescovo di Como da mettersi sopra la porta grande della chiesa di S. Lorenzo» eseguita nel 1793 dai due fratelli Torricelli più giovani è andata dispersa (Bordoni, 1971, p. 140). Anche l’intervento nel 1795 di Antonio Maria Torricelli nell’oratorio di S. Luigi presso la cattedrale di Lugano, attestato a livello documentario (Brentani, 1963), è stato solo di recente riportato alla luce a seguito dei restauri cui è stato sottoposto il complesso architettonico (Agustoni, 2017). Qualche anno prima i due Torricelli giovani sono segnalati a più riprese in Piemonte, e Antonio Maria risulta attivo tra il 1777 e il 1779 con gli zii Torricelli al Sacro Monte di Domodossola e in particolare all’XI stazione. Nel 1785 la coppia Torricelli junior è documentata alla facciata della chiesa di S. Antonio Abate di Casale Monferrato; tra il 1795 e il 1798 in una villa detta ‘Paradiso’ sulle colline torinesi, in Val San Martino, del conte Bertalazone d’Arache, e a Lucento per la villa della Saffarona, oltre che nel 1796 a Pollone (Biella), al servizio di monsignor Rosignoli. Tuttavia tutti questi chiari indizi dell’attività dei giovani Torricelli non sono stati sufficienti per conferire loro un profilo artistico preciso, che permettesse di distinguerli dall’attività dei loro ben più noti zii.
I documenti di recente rintracciati relativi all’apparato decorativo di alcune sale del castello di Rivoli, in cui i nomi dei due Torricelli juniores vengono chiaramente esplicitati (Bertolotto, 2008), hanno permesso di attribuire loro su chiare basi stilistiche altri importanti lavori in Piemonte. Tra la fine dell’estate del 1792 e la fine del 1795 i due pittori eseguirono per Rivoli le decorazioni tutt’ora in loco del «gabinetto del finto legno o delle stampe», delle sale «dei Continenti» e «del velo o del bagno», delle camere «da letto della duchessa d’Aosta o del sorgere del sole» e «di parata o […] dei concerti», sotto la direzione dell’architetto torinese Carlo Randoni (Bertolotto, 2008, pp. 8 s.). La decorazione di queste sale dimostra l’abilità e il virtuosismo tecnico e stilistico che i due Torricelli juniores avevano raggiunto, riuscendo a padroneggiare ampie superfici, e trasformandole di volta in volta in finti rivestimenti di pregiate boiseries, in elaborati intrecci di sottili veli trasparenti dipinti a trompe-l’oeil, in esotici paesaggi orientali, in spazi siderali in cui vengono narrati episodi mitologici alla maniera classica, con figure di gusto ‘pompeiano’, ma anche con ritratti di antichi principi sabaudi imitanti sculture marmoree. Queste opere videro i due fratelli lavorare fianco a fianco, in perfetta simbiosi: dai documenti sin qui pubblicati sembra di poter affermare che Rocco si occupasse prevalentemente della parte figurativa, mentre Antonio Maria attese alle quadrature.
L’assegnazione ai più giovani Torricelli dei lavori di Rivoli ha avuto come diretta conseguenza quella di includere nel loro corpus artistico, per evidenti affinità stilistiche e formali, anche la raffinata decorazione di palazzo Grosso a Riva presso Chieri, eseguita per la contessa Faustina Mazzetti di Montalero tra il 1786 e il 1790, e che prima era attribuita ai Torricelli seniores. In ambito piemontese l’apparato decorativo di palazzo Grosso è unanimemente considerato esemplare dalla critica, in quanto aggiornato secondo il gusto neoclassico di carattere enciclopedico, con colte citazioni dell’arte egizia, etrusca, pompeiana. In una sorta di galleria neoclassica delle meraviglie si passa dall’ampio atrio d’entrata, dove si viene accolti da pareti trattate in finto bugnato, sulle quali sono appesi con finte grappe di ferro frammenti di lapidi intagliate greche, romane, egizie, etrusche, oltre ad alcuni mosaici, per accedere poi a un monumentale scalone con archi a sesto acuto, volte ogivali, monofore, rosoni, dove si alternano finte pietre e finti mattoni in perfetto stile neogotico. Il piano nobile è caratterizzato dall’ampio salone delle feste a doppia altezza, dove sono narrati gli Amori di Giove; segue la sala etrusca, con episodi ispirati dalle stampe diffuse in quegli anni. La volta della saletta della caccia è trasformata in una delicata voliera con una pergola di canne di bambù, su cui si arrampica una vite. La sala cinese, in sintonia con il gusto delle chinoiseries in voga nel Settecento, si caratterizza per un suggestivo gazebo formato da sottili listelli rossi disposti in vari intrecci geometrici che si stagliano sull’azzurro del cielo. Dagli angoli della volta della sala dei paesaggi, trattati con ampi cespi di cardi in fiore, fuoriescono sottili e aeree trame di elementi a grottesca, dove trovano posto piccoli e bizzarri paesaggi antichi, con vedute fantasiose di porti, edicole, porticati, torrette. Infine, nella sala delle stampe o del finto legno le pareti sono rivestite da una finta boiserie, dove sono riprodotte con grande meticolosità le venature, i nodi e le sfumature di colori di un gran numero di pregiate essenze, su cui sono appesi finti fogli incisi svolazzanti, schizzi e altri oggetti disposti in apparente disordine. Nella scelta di un così dotto e sofisticato apparato decorativo i Torricelli si avvalsero dei consigli e suggerimenti del conte Pio Grisella di Cunico (1731-96), diplomatico e viaggiatore erudito, direttore dei lavori di palazzo Grosso, il quale dovette fornire loro il materiale necessario per attingere ai principali motivi iconografici, fonti da individuare principalmente nelle stampe incise dei recueils di antichità in circolazione sul finire del Settecento.
Antonio Maria Torricelli morì a Vercelli nel 1808, mentre suo fratello Rocco si spense a Lugano il 28 luglio 1832.
G.B. Giovio, Gli uomini della comasca diocesi antichi e moderni nelle arti e nelle lettere illustri. Supplemento al Dizionario ragionato, Modena 1784, pp. 476 s.; G.A. Oldelli, Dizionario storico-ragionato degli uomini illustri del Canton Ticino. Continuazione e compimento, Lugano 1811, pp. 80 s.; E. Olivero, La parrocchia di Riva di Chieri, in Bollettino della Società piemontese di archeologia e belle arti, 1925, nn. 1-2, pp. 19-21; L. Simona, Artisti della Collegiata di Agno, Lugano 1937, p. 4; L. Brentani, Antichi maestri d’arte e di scuola delle terre ticinesi, III, Como 1939, pp. 71 s.; IV, 1941, p. 108; VII, Lugano 1963, p. 163; L. Simona, I pittori T. in Piemonte, in Rivista storica ticinese, 1942, n. 30, pp. 697-699; B. Bordoni, Lugano, l’Arciconfraternita della Buona Morte ed Orazione sotto il titolo di Santa Maria e il San Salvatore, Bellinzona 1971, p. 140; F. Dalmasso, Per una revisione del Castello di Rivoli: affreschi e stucchi, in Bollettino d’arte, s. 5, LVIII (1973), pp. 46-51; V. Caprara, Documenti d’arte settecentesca nell’Archivio Giovio, in Periodico della Società storica comense, L (1983), pp. 295-307; E. Agustoni, I fratelli T. e Giuseppe Antonio Petrini: contatti, influenze e divergenze, in Archivio storico ticinese, XXV (1998), pp. 201-232; G. Mollisi, Un inedito S. Francesco. Scoperto un disegno di Giuseppe Antonio T. per il convento di S. Giuseppe a Lugano, in Arte & storia, III (2002), 10, pp. 36-42; Id., I T. a Einsiedeln. Scoperti in Ticino i disegni preparatori per alcuni affreschi del coro superiore, ibid., 11, pp. 72-90; S. Bombino, in Settecento a Rivoli. Opere d’arte restaurate per la città e il Castello, a cura di C. Bertolotto - E. Zanone Poma, Rivoli 2004, pp. 36-38; M. Dell’Omo, I fratelli T. Chiarimenti dai documenti e nuove opere tra Piemonte e Lombardia, in Bollettino storico vercellese, LXIV (2005), pp. 119-130; M. Karpowicz, I pittori della Madonnetta. T. e Scotti nell’altare maggiore della chiesa luganese, in Arte & Storia, VII (2006), 27, pp. 98-105; C. Bertolotto, I T. dal Palazzo di Riva al Castello di Rivoli: gli apparati decorati per i duchi d’Aosta, in: Palazzo Grosso a Riva presso Chieri. Le camere delle meraviglie e il giardino pittoresco di Faustina Mazzetti, a cura di F. Dalmasso, Riva presso Chieri 2008, pp. 6-23; M. Dell’Omo, L’arredo pittorico e plastico della Cappella XI: artisti da Lugano e dalla Valsesia, in La Cappella XI. Gesù inchiodato alla Croce. Le cromie riscoperte dei dipinti e delle statue, a cura di S. Minissale, Domodossola 2008, pp. 11-17; Ead., Il Sacro Monte Calvario di Domodossola. Cronache dai cantieri, in Calvario. Monte Sacro di Domodossola, a cura di S. Minissale - A. Feltre, Torino 2009, pp. 33-51; E. Agustoni, I fratelli Rabaglio e la chiesa parrocchiale di San Vigilio a Gandria, in Maestri d’arte del lago di Lugano alla corte dei Borboni di Spagna. Il fondo dei Rabaglio di Gandria, sec. XVIII, a cura di C. Agliati, Bellinzona 2010, pp. 84-101; Id., I T. pittori in Piemonte. I luganesi Giuseppe Antonio Maria e Giovanni Antonio, Antonio Maria e Rocco T., due coppie di fratelli attivi nella seconda metà del XVIII secolo, in Arte & storia, XI (2011), 11, monografico: Svizzeri a Torino nella storia, nell’arte, nella cultura, nell’economia, dal Quattrocento ad oggi, a cura di G. Mollisi - L. Facchin, pp. 444-455; Id., Le vicende artistiche settecentesche, fra tradizione e innovazione, in Arte e cultura. La Cattedrale di San Lorenzo a Lugano, a cura di G. Mollisi, Lugano 2017, pp. 210-226.