TOSCANELLI PERUZZI
, Emilia. – Nacque a Pisa il 14 febbraio 1827 da Giovanni Battista Toscanelli e da Angiola (o Angiolina) Cipriani.
La madre aveva origini corse ed era imparentata con i Bonaparte. I Toscanelli invece erano imprenditori edili originari di Sonvico, vicino Lugano, nel Canton Ticino. Si erano trasferiti prima a Firenze e poi a Pisa, dove nel 1832 abbandonarono l’attività e ottennero il titolo nobiliare. La loro ascesa sociale fu sancita con l’ingresso nell’Ordine di Santo Stefano, avvenuto nel 1854. Emilia era la quinta di nove figli. Oltre a lei, i coniugi Toscanelli ebbero Elisa, Antonio, Rosa Nicoletta, Giuseppe, Domenico, Giorgio Francesco e Rosa, oltre a una bambina che chiamarono Emilia ma che morì nel primo anno di vita.
Emilia trascorse la sua giovinezza tra Pisa, Livorno e La Cava, dove si trovavano le abitazioni di famiglia: il palazzo Lanfranchi Rossi sul lungarno Mediceo, la villa nel sobborgo livornese di San Jacopo e la fattoria presso La Cava. Nei suoi primi studi fu seguita dalla madre, che si attenne alle più moderne teorie pedagogiche di Luisa Amalia Paladini e di Raffaello Lambruschini. Emilia ricevette anche alcune lezioni a domicilio e dopo la morte prematura di Angiola, avvenuta nel 1843, proseguì gli studi sotto la guida della governante Maria Antonia Da Pussano. La biblioteca di famiglia e il salotto Toscanelli furono due luoghi di formazione di eccezione, che le permisero di approfondire le sue conoscenze umanistiche e scientifiche, di leggere abitualmente riviste come la Revue des deux mondes e il Journal des débats, di seguire le discussioni dell’élite intellettuale e politica del moderatismo pisano. Personaggi come Vincenzo Salvagnoli, Michele Ferrucci, Antonio Rosmini, Giovanni Battista Niccolini, Giovanni Rosini erano tra i frequentatori più assidui della casa. Emilia imparò ben presto l’arte della conversazione e si appassionò alla politica. Questo interesse segnò tutta la sua vita ed esplose a partire dai primi anni Quaranta. I moti romagnoli del 1843 e poi le insurrezioni del 1848 furono tra i momenti che visse con maggior trasporto ed entusiasmo. Si teneva aggiornata su ogni avvenimento, scambiando lettere con Enrichetta Du Tremoul e con Marianna, Regina e Lina Uzielli.
Era attenta soprattutto a ogni informazione sulle operazioni militari e sul battaglione universitario pisano comandato dal professor Ottaviano Mossotti, in cui si erano arruolati come volontari i fratelli Domenico e Giuseppe. In quei mesi Emilia rappresentò un punto di riferimento importante per entrambi e soprattutto per Giuseppe, che incorse più volte nell’ira del padre per le sue continue infrazioni alla disciplina militare. Intanto annotava nel suo diario pensieri e giudizi sui protagonisti di quei mesi. Criticava il governo del granduca Leopoldo II di Toscana, che riteneva incapace di cogliere le novità politiche; riponeva grande fiducia in Pio IX giustificando il suo voltafaccia prima con gli intrighi dei gesuiti e degli austriaci, poi con l’incompatibilità del duplice ruolo di guida spirituale e temporale. Nonostante fosse una convinta sostenitrice della monarchia, Emilia non risparmiava critiche a Carlo Alberto, ogni volta che non dimostrava prontezza d’azione sul campo di battaglia. Infine condannava qualunque iniziativa repubblicana e democratica, parlando con disprezzo di Francesco Domenico Guerrazzi, Giuseppe Mazzini e la Giovine Italia, accusati di fomentare le divisioni e ritardare il compimento dell’Unità. I suoi apprezzamenti andavano invece a Vincenzo Gioberti e a Ubaldino Peruzzi, gonfaloniere di Firenze, che la colpì per la fermezza con cui difese gli ideali patriottici e le libertà costituzionali.
Nel marzo del 1850, Emilia ebbe l’occasione di conoscere personalmente Peruzzi nel salotto della marchesa Carlotta Torrigiani Marchesini e i due si innamorarono. Giovanni Battista acconsentì all’unione. Negli anni precedenti aveva già scartato i nomi di Pietro Leopoldo Buoninsegni e di Lorenzo Strozzi Alamanni come pretendenti per la figlia, ma Peruzzi, oltre a essere corrisposto nel suo amore, era avviato a una brillante carriera politica e vantava la discendenza da una ricca famiglia di banchieri e di nobili fiorentini. Si prepararono quindi le trattative per la dote e il matrimonio fu celebrato il 9 settembre 1850 nella cappella della fattoria di La Cava. La coppia si stabilì a Firenze e non ebbe figli. Non sono chiari i motivi di questa mancata maternità, ma Emilia sembrò non soffrirne molto, dimostrando piuttosto interesse per le questioni sociali e politiche, cui si dedicò sfruttando il suo nuovo ruolo. Diventò ispettrice del primo asilo infantile fondato da Lambruschini e promosse sottoscrizioni in favore della Società fiorentina di belle arti. Nel 1859, dopo l’abbandono di Firenze da parte del granduca, Peruzzi diventò capo del governo provvisorio e per Emilia gli impegni si intensificarono. Allo scoppio della seconda guerra di indipendenza sostenne le famiglie dei patrioti e sovvenzionò l’assistenza ai feriti. Nel luglio dello stesso anno Peruzzi fu inviato a Parigi per conto del governo provvisorio toscano ed Emilia gli rimase a fianco durante tutto il soggiorno, organizzando un salotto per l’élite politica e intellettuale. Al rientro i coniugi frequentarono la vita mondana fiorentina, ma già nel 1861 erano di nuovo in partenza, questa volta per Torino. Qui rimasero per quattro anni, durante i quali Peruzzi fu ministro dell’Interno ed Emilia lo sostenne ancora una volta con le sue doti di grande salonnière.
Il salotto conobbe il suo massimo splendore al rientro in Toscana. Qui si svolse presso l’abitazione Peruzzi in Borgo dei Greci, nel quartiere di Santa Croce, e fu soprannominato salotto rosso dal colore della tappezzeria della stanza. Un’ubicazione alternativa fu la villa La Torre all’Antella, la residenza estiva dei Peruzzi, presso Bagno a Ripoli. Il salotto diventò il luogo di incontro e di riunione del moderatismo toscano legato a Peruzzi e le sue vicende si intrecciarono con le vicissitudini della Destra storica. Tra gli ospiti più affezionati si contavano Fedele Lampertico, Marco Minghetti, Ruggero Bonghi, Silvio Spaventa, Gennaro De Filippo, Marco Tabarrini, Emilio Visconti Venosta. A questi nomi ben noti si aggiungevano quelli dei più giovani Pasquale Villari, Leopoldo Galeotti, Adriano Mari, Edmondo De Amicis e Isidoro Del Lungo. C’erano poi il letterato Carlo Tenca, il filosofo Domenico Comparetti, il direttore della biblioteca Laurenziana Giuseppe Passerini, l’artista Cino Ferri e il presidente della Società geografica Cristoforo Negri. La fama del salotto era tale da riscuotere gli apprezzamenti di numerosi giornali dell’epoca e da suscitare l’attenzione di alcuni illustri stranieri di passaggio. Vi si soffermarono l’intellettuale e storico tedesco Karl Hillebrand, lo scrittore tedesco Paul von Heyse e il letterato inglese Anthony Trollope. Nel salotto le discussioni vertevano sui temi più vari, spaziando dalle questioni politiche alle ultime novità editoriali, alla lettura delle poesie di qualche scrittore particolarmente apprezzato, come Renato Fucini e Giannina Milli. Il salotto Peruzzi agiva come un perfetto luogo di potere, dove le reti amicali e le clientele garantivano a Emilia un ruolo di primo piano nel consolidare l’influenza della famiglia Peruzzi. Ogni ospite era accuratamente selezionato e rispondeva a precise scelte strategiche: si escludevano le voci dissenzienti, si consolidavano nuove alleanze, si invitavano brillanti giornalisti che suscitavano consensi attorno all’operato di Peruzzi, infine si valorizzavano giovani talenti emergenti, che qui trovavano protezione e sostegno. Emilia si rivelò un punto di riferimento straordinario e una colta maestra di lingua e di stile, che impresse al salotto anche un forte carattere letterario. Tra i suoi protetti il più noto fu De Amicis, che instaurò con lei un rapporto molto particolare, fatto di stima e di ammirazione, ma anche di un affetto profondo. A lei sottopose le bozze dei suoi racconti attendendo suggerimenti e correzioni.
Per la sua competenza linguistica e letteraria, nel 1873 Emilia aderì e sostenne la fondazione del Circolo filologico di Firenze e si interessò ai dibattiti sulla lingua italiana. Si confrontò ripetutamente con Giovan Battista Giorgini, Emilio Broglio e Marco Tabarrini, alla ricerca di uno stile che rendesse la lingua toscana più fluente e comprensibile a livello nazionale.
La conquista di Roma e il trasferimento della capitale aprirono una nuova fase per il salotto Peruzzi. Due eventi critici ne segnarono irrimediabilmente le sorti: la crisi finanziaria di Firenze e la caduta della Destra storica. Peruzzi fu ritenuto il principale responsabile di entrambe le crisi in quanto rappresentante di spicco del gruppo moderato e sindaco del capoluogo toscano dal 1869. Molti degli habitués di casa Peruzzi si allontanarono fino a interrompere completamente le relazioni. Peruzzi ed Emilia si ritirarono dalla vita fiorentina e si spostarono nella villa dell’Antella, dove accolsero nuovi brillanti giovani emergenti. Si apriva in questo modo una seconda fase del salotto, legata ai nomi di Francesco Genala, Sidney Sonnino, Vilfredo Pareto. Le questioni sociali e politiche non vennero tralasciate: i Peruzzi dibattevano sulle proposte di una riforma elettorale in senso proporzionale, sul suffragio universale, sul liberismo. Nel 1872 Emilia appoggiò la nascita dell’Associazione per la rappresentanza proporzionale e nel 1874 quella della Società di economia politica di Adam Smith. Si interessò anche alla condizione della donna, un tema che in quegli anni stava riscuotendo grandi attenzioni sulla stampa nazionale e internazionale grazie alle riflessioni di John Stuart Mill. Emilia era particolarmente attenta alle questioni riguardanti l’istruzione e la parità giuridica tra i sessi ed era convinta che il destino della nazione fosse inscindibile dalla condizione femminile. Non nascondeva tuttavia alcune riserve sulla possibilità che le donne si occupassero di politica. Negli anni Ottanta l’attenzione di Emilia si rivolse al socialismo e alla riforma elettorale del 1882. Viveva con grande preoccupazione l’avvento delle masse nell’arena politica e si rammaricò con amarezza per l’adesione di De Amicis al socialismo. Emilia si oppose anche ai sostenitori del suffragio universale che, a suo giudizio, avrebbe reso ingovernabile il Paese.
Nel 1891 Peruzzi morì, lasciando alla moglie un patrimonio profondamente dissestato. Grazie all’aiuto del notaio fiorentino Nemesio Fatichi, Emilia riuscì a gestire le difficoltà finanziarie e trascorse decorosamente gli ultimi anni della sua vita. Dopo un breve soggiorno a Viareggio, si ritirò stabilmente nella villa dell’Antella, dove fu colpita da infermità e da cecità, ricevendo solamente gli amici più intimi e fidati, come Del Lungo e Pietro Torrigiani.
Morì l’8 maggio 1900 all’Antella, frazione di Bagno a Ripoli.
Scritti. Le memorie di Toscanelli Peruzzi sono pubblicate nel volume Vita di me, raccolta dalla nipote Angiolina Toscanelli Altoviti Avila, con una prefazione riordinata a cura e con note dell’avv. Mario Piccioni, Firenze 1934.
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