TOSINI, Michele detto Michele di Ridolfo del Ghirlandaio
– Nacque a Firenze nel popolo di San Michele Visdomini l’8 maggio 1503 dal ‘tavolaccino’ (servitore delle magistrature cittadine) Jacopo di Michele; risulta sconosciuta, invece, l’identità della madre.
Dopo un iniziale alunnato presso Lorenzo di Credi e Antonio del Ceraiolo, entrò nella bottega di Ridolfo del Ghirlandaio, che divenne per lui un padre adottivo. Non sappiamo quando ciò accadde, ma probabilmente all’inizio degli anni Venti, dopo che gli allievi di prima generazione di Ridolfo (Toto del Nunziata, Domenico Puligo, Baccio Ghetti) si erano trasferiti all’estero o avevano iniziato carriere indipendenti.
Giorgio Vasari nelle Vite (1568, 1881) riferisce che Michele divenne collaboratore così stretto di Ridolfo «che, ove avea da lui a principio il terzo dell’utile, si condussero a fare insieme l’opere a metà del guadagno» (p. 543), dando vita a una società nella quale Michele divenne pari del maestro e ne assorbì inizialmente del tutto lo stile, tanto che le prime opere in cui si riconosce un suo personale contributo vengono individuate da Vasari e dalla critica in due Madonne col Bambino e santi, una per la chiesa di S. Felice in Piazza e l’altra per la cappella Segni in S. Spirito, databili entrambe verso il 1530 (ibid.; Franklin, 1998, pp. 449 s.). Allo stesso periodo vengono datati lo Sposalizio mistico di s. Caterina d’Alessandria e santi e la Maddalena adorante il Crocifisso, sempre frutto di collaborazione, realizzati per il convento fiorentino di S. Jacopo di Ripoli (oggi sono a villa La Quiete a Castello; Pegazzano, 2016, pp. 49-51).
La collaborazione proseguì fino agli anni Quaranta inoltrati e nell’Assunta e santi coi confratelli della Compagnia delle Laudi di S. Martino alla Palma (Firenze), databile al 1542-45 (M. Zaccheddu, in Ghirlandaio, 2010, pp. 162-165), così come nell’Assunta e santi di S. Giuseppe Falegname al Galluzzo (Firenze) e nel Risorto e santi della chiesa della Beata Cristiana a Santa Croce sull’Arno (Pisa) si scorge ancora la compresenza delle due mani, mentre nella Madonna e santi con il donatore Leonardo Buonafé, spedalingo di S. Maria Nuova, completata nel 1544 per la chiesa di S. Jacopo in via Ghibellina a Firenze e oggi nel Museo del Cenacolo di S. Salvi (Franklin, 1993, p. 4), sembra lo stile di Michele – meno ombreggiato e scultoreo di quello del maestro, nonché aperto alle morbidezze e alle policromie squillanti della maniera moderna di Andrea del Sarto e dei suoi epigoni – a predominare. Dal gruppo centrale del dipinto deriva una versione sempre autografa di Michele nel Palmer Art Museum in Pennsylvania (Hornik, 2009, tav. 1), che definisce il suo linguaggio formale, al quale aderirono di lì a poco i suoi allievi (il figlio Baccio, i Brina, i Traballesi, Niccolò Betti e altri), rendendo assai intricata la ripartizione delle mani nei dipinti usciti dalla bottega ubicata in piazza Strozzi, nella quale l’apporto di Ridolfo si fece nel tempo sempre meno presente: dipinti divisi tra musei, collezioni e che invadono continuamente il mercato.
Di questo primo periodo paiono anche la S. Barbara della Galleria dell’Accademia di Firenze, attribuita da Alessandro Cecchi (2003) a un «pittore vasariano» identificabile con Girolamo Macchietti, ma tipica di Michele, cui peraltro la dava correttamente Carlo Gamba (1928-1929, p. 560), e la Madonna col Bambino e santi della parrocchiale di Bagno di Romagna (Forlì), dove nella figura di s. Pietro sulla sinistra si avverte un contatto con lo stile del compagno di bottega Carlo Portelli. Vicina alla S. Barbara pare la bellissima Sacra Famiglia con s. Giovannino in collezione Gresz a Norrtälje in Svezia (Nesi, 2014). Del tutto autografe sono inoltre le due splendide tavole del coro della badia di Passignano (Firenze), con l’Adorazione dei pastori e i Tre arcangeli, databili sul 1550 in base all’esecuzione dell’apparato ligneo di Bastiano Confetto che le ingloba (Proto Pisani, 1991; Aquino - Badino, 2014, pp. 128 s.). Una versione dell’Adorazione dei pastori con la composizione rovesciata e accostabile a un disegno del Victoria and Albert Museum di Londra si trova nei Musei civici di Udine ed è stata riferita direttamente a Michele, mentre l’esecuzione pittorica attiene meglio all’allievo Bartolomeo Traballesi (cfr. Bergamini - Galassi - Perusini, 1998; Nesi, 2008, pp. 100 s.).
Del resto Michele, essendo il capobottega, specialmente dopo la morte di Ridolfo nel 1561, riscuoteva i pagamenti anche per i lavori che poi delegava agli allievi. È il caso, per esempio, del gonfalone per la Compagnia dei Battuti Neri di Montepulciano (Siena), saldatogli nel 1561 e che presenta nelle due facce una Flagellazione e una Pietà (più volte replicate dai discepoli), le quali per stile spettano al nucleo di opere riferibili a suo figlio Baccio (Nesi, 2017). Al 1561 risale anche lo splendido Battesimo di Cristo della Pinacoteca nazionale di Ferrara, ma in origine sull’altare della cappella di villa Strozzi a Caserotta (Firenze), come chiariscono sia una visita pastorale sia le scritte nei circostanti affreschi di Giovanni Brina, che contengono anche la data di esecuzione del ciclo pittorico (sul dipinto e la sua provenienza cfr. Mannini, 1983; Chiarini, 1988; Nesi, 2005, p. 104; per la paternità degli affreschi Nesi, 2018, pp. 2 s.). Qualcun altro immagina invece che sull’altare vi fosse una Pietà sempre uscita dalla bottega tosiniana e molte volte replicata dagli allievi, ma la cui iconografia non calza con le citazioni presenti negli affreschi e fu forse realizzata per la vicina chiesetta di S. Agata, e ha riferito a Michele anche gli affreschi (Hornik, 2002; Id., 2009, pp. 71-87). Nel 1564 Michele riscosse anche i pagamenti per alcuni dipinti realizzati per il monastero di S. Caterina a Borgo San Lorenzo (Firenze), tra i quali uno Sposalizio mistico di s. Caterina d’Alessandria alla presenza dei ss. Lorenzo e Domenico (?), ma la cui esecuzione meglio si attaglia ai lavori riferibili al figlio Baccio (Terradura, 1997; Nesi, 2018, p. 11).
Tra gli anni Cinquanta e Sessanta Tosini e i suoi allievi entrarono nell’entourage di Vasari, coadiuvandolo nella decorazione di Palazzo Vecchio a Firenze. Il 21 agosto 1557, per esempio, Michele fu pagato per essersi recato a disegnare vedute di luoghi della Toscana da tradurre in affresco nella sala dedicata al duca Cosimo I de’ Medici e poi partecipò con i propri collaboratori alla decorazione di altri ambienti dell’edificio fino al 1562 (Allegri - Cecchi, 1980; Nesi, 2011, pp. 20 s.). La collaborazione con Vasari gli diede la possibilità di servirsi di suoi disegni inediti, per esempio per lo splendido Crocifisso e dolenti realizzato tra il 1563 e il 1568 verosimilmente per il monastero delle monache benedettine di Luco di Mugello (Firenze; Lazzaroni - Falciani, 2018) e che costituì il prototipo per una miriade di versioni di bottega, a partire dalla pala sul primo altare destro della chiesa fiorentina di S. Giovannino degli Scolopi, ascrivibile a Baccio (Nesi, 2019).
Mentre lavorava per i Medici, Michele era in stretto contatto con la parte ideologicamente avversa della Riforma savonaroliana, facente capo alle idee di fra Girolamo e che non avrebbe voluto il governo mediceo, ma la quale non tramava nell’ombra per eliminarlo, limitandosi a mantenere posizioni di rifiuto del potere (Nesi, 2011). Attraverso questa attitudine, già propria di Ridolfo e condivisa dai Traballesi e da altri allievi, si spiegano sia il costante succedersi delle committenze a Tosini e al suo gruppo da parte di conventi domenicani afferenti alla Riforma (oltre a S. Caterina a Borgo San Lorenzo, S. Marco e S. Maria Novella a Firenze, il centro di irradiazione del movimento, S. Maria del Sasso a Bibbiena, S. Vincenzo a Prato ecc.) e da parte di famiglie che contavano tra i loro membri dei fuoriusciti avversi a Cosimo sia la devozione dell’artista per Michelangelo, che, nonostante fosse stato in pratica cresciuto da Lorenzo il Magnifico, aveva maturato in seguito un’avversione per i regnanti fiorentini che non gli aveva impedito di lavorare per loro, ma lo aveva portato a lasciare per sempre la patria. L’attività per le comunità domenicane suddette produsse molte opere che costituiscono il fulcro principale del catalogo autografo tosiniano, come la bella Madonna, santi, angeli e novizi domenicani, datata 1560, per la cappella del noviziato in S. Maria Novella (ibid., p. 17; Bisceglia, 2017), nella quale si legge anche la scritta «ORATE PRO PICTORE» che già compariva nelle opere dei primi pittori savonaroliani della Scuola di San Marco (fra Bartolomeo, Mariotto Albertinelli e poi anche Giovanni Antonio Sogliani); oppure la Madonna di Loreto e sei santi e i Dolenti intorno al Crocifisso del convento pratese di S. Vincenzo (1559-61), dove sono conservati anche altri dipinti dell’ambiente tosiniano (Roani Villani, 1982, pp. 19 s.; Nesi, 2007, p. 267; Traversi, 2016, pp. 38-40). Il contatto con le famiglie imparentate con i fuoriusciti, e legate anche alla Riforma, è evidenziato dai cicli di Caserotta (per gli Strozzi) e di palazzo Ricasoli Firidolfi (già Ridolfi) a Firenze, entrambi eseguiti però da allievi (Nesi, 2018, pp. 2-7), mentre il culto tosiniano per Michelangelo si esprime sia attraverso la presenza del suo ritratto in quest’ultimo ciclo sia tramite le molte derivazioni e repliche di Michele e della sua bottega da prototipi grafici e pittorici del genio di Caprese. Tra quelle di più alta qualità, autografe e di soggetto sacro si segnalano la Pietà del Museo di belle arti di Budapest (Tatrai, 2012), derivata dalla versione scultorea giovanile di Michelangelo in S. Pietro a Roma, e la Deposizione del Museo di Casa Vasari ad Arezzo, tratta da un disegno di Buonarroti per Vittoria Colonna e oggi a Boston, e replicata più volte dallo stesso Michele (Cremona, Museo civico; Roma, Finarte, 19 marzo 2002, n. 458: Paolucci - Maetzke, 1988; Nesi, 2011, p. 23) e dagli allievi. Tra i soggetti profani Michele tradusse in pittura il disegno della testa allegorica della cosiddetta Zenobia in un ovale oggi alla Galleria dell’Accademia di Firenze, dove fa pendant con un’altra figura muliebre di sua invenzione (Nelson, 2003), traendo inoltre spunto da essa per sue suggestive invenzioni quali la Leda col cigno della Galleria Borghese di Roma (Gamba, 1928-1929, p. 555). Michele traspose poi in pittura le figure dell’Aurora e della Notte della Sagrestia Nuova di S. Lorenzo in due tavole oggi nella Galleria Colonna a Roma (Catalogo sommario della Galleria Colonna, 1981; Negro, 2001, pp. 24 s.) e il cartone della Venere con Cupido che Buonarroti aveva realizzato verso il 1532-34 per Bartolomeo Bettini ed era stato originariamente tradotto in pittura dal Pontormo (Negro, 2001). Anche questi dipinti furono più volte replicati dagli allievi, ma talvolta passano sul mercato con il nome di Michele. Una significativa citazione da Michelangelo, nella fattispecie dal Giuliano duca di Nemours della Sagrestia Nuova, è inoltre nella pala con il Martirio dei diecimila del Museo del Cenacolo di S. Salvi a Firenze (dalla chiesa di S. Pancrazio), databile al 1555 e in parte ritoccata nel Seicento da Alessandro Rosi (S. Padovani, in Padovani - Meloni Trkulja, 1982, pp. 27 s.).
Nel 1562 Michele fu tra i riformatori della Compagnia fiorentina di S. Luca, che si trasformò in Accademia del disegno sotto il patrocinio mediceo (Gli Accademici del disegno, 2000). Nel 1564 partecipò con i suoi allievi all’apparato per i funerali di Michelangelo in S. Lorenzo a Firenze e l’anno seguente a quelli delle nozze del principe Francesco de’ Medici con Giovanna d’Austria (Ginori Conti, 1936). Tra il 1569 e il 1570 si colloca un viaggio a Roma in compagnia di alcuni allievi (Baccio, Francesco Brina e forse altri), in occasione del quale il gruppo affrescò il tempietto al centro della chiesa domenicana di S. Maria della Quercia a Viterbo, appartenente alla Riforma (Ciprini, 2005; Nesi, 2006, p. 266). Al viaggio romano risale forse anche la bella Annunciazione oggi nella villa Lante a Bagnaia, presso Viterbo, ma che pare precedente e si rifà a modelli risalenti ancora a Ridolfo, seppur aggiornandoli (Giglioli, 1948).
Dopo il rientro a Firenze, nel 1574 Tosini datò il Ritratto di Pierfrancesco Riccio, già segretario di Cosimo I de’ Medici, ma ormai caduto in disgrazia presso il sovrano, probabilmente anche perché legato alla Riforma e al convento di S. Vincenzo a Prato. Il quadro fa parte di una serie di personaggi illustri pratesi effigiati da vari artisti e si trova nelle sacrestie del locale duomo (Bigazzi, 1980). La ritrattistica di Michele è una sezione del suo catalogo complessa da analizzare, poiché appesantita soprattutto sul mercato da attribuzioni di opere spettanti in realtà ad allievi e collaboratori. Sicuramente autografi appaiono, oltre al Riccio, il Cacciatore della collezione fiorentina Antinori (Gamba, 1928-1929, p. 557), assai vicino per stile al Battesimo di Ferrara, e quindi databile verso il 1561, e l’Uomo col cane di collezione privata francese (Brouhot, 2015), che è improntato a ombre più modellanti e meno morbide, vicine alla prassi di Ridolfo, ma che per la posa libera e non convenzionale nella pittura fiorentina contemporanea qualifica Tosini come artista creativamente innovativo.
Quanto detto per i ritratti può essere ripetuto per le Madonne di devozione privata, pletore delle quali (in massima parte di bottega) invadono il mercato e affollano musei. Oltre a quella già citata di Norrtälje merita menzione tra le autografe almeno la Sacra Famiglia dell’Ermitage (inv. 1531: Kustodieva, 1994), che unisce all’invenzione michelangiolesca della cosiddetta Madonna del sonno, ripresa anche da Benedetto Pagni da Pescia nella Madonna Medici di Sarasota (Nesi, 2016), il tema della Madonna dell’umiltà e che fu riproposta miriadi di volte dagli allievi. Lo stesso Michele ne fornì comunque una bella variante autografa oggi nella Galleria Palatina di Firenze (Hornik, 2009, p. 68), con in primo piano Cristo bambino e s. Giovannino che si abbracciano, ispirandosi a un’invenzione risalente a Leonardo da Vinci.
Tosini fece testamento il 20 marzo 1576 (1575 dello stile fiorentino; ibid., pp. 128-134), morì il 26 ottobre 1577 e venne tumulato in S. Maria Novella. La bottega di piazza Strozzi passò al figlio Baccio (1534-1582), mentre uno degli altri figli che Michele ebbe da Felice Talani, Jacopo, divenne frate domenicano con il nome di fra Santi, e fu personaggio di primo piano dell’Ordine ai suoi tempi. Quanto alle almeno tre figlie (Dianora, Lisabetta e Francesca) si fecero suore in conventi domenicani legati alla Riforma savonaroliana (ibid., pp. 15-17).
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