Tossicità
Con il termine tossicità si intende la capacità di uno xenobiotico, cioè di una sostanza estranea alla normale nutrizione e al normale metabolismo di un organismo vivente, o anche di un farmaco di produrre un danno a carico dell'organismo stesso, intendendo per danno anche la semplice modifica di una funzione. I danni provocati da una sostanza sono studiati e valutati dalla tossicologia, scienza multidisciplinare che ha come oggetto appunto le sostanze tossiche e ne determina i limiti di sicurezza relativi al loro impiego.
L'osservazione dei danni causati da sostanze tossiche risale agli albori della storia. Già verso il 1600 a.C. il papiro Ebers conteneva informazioni che riguardavano alcuni veleni allora conosciuti, come la cicuta, il veleno ufficiale dei greci, l'oppio e l'aconito, un veleno cinese per le frecce; alla fine del 4° secolo a.C., Teofrasto includeva in un lavoro più completo, l'Historia plantarum, molti riferimenti a piante velenose. La tossicologia intesa come scienza iniziò, però, nel Rinascimento con Paracelso, che ebbe il grande merito di focalizzare l'attenzione sul toxicon, ovvero l'agente tossico inteso come entità chimica, e introdusse alcuni concetti fondamentali, tra cui quelli che la sperimentazione è essenziale nell'esame delle risposte alle sostanze chimiche, che esiste una distinzione tra proprietà terapeutiche e tossiche di una sostanza e, soprattutto, che le potenzialità terapeutica e tossica di una sostanza si distinguono solo per la dose (dose sola facit ut venenum sit). La nascita della tossicologia moderna risale ai primi anni del Novecento, in concomitanza con il massiccio sviluppo di molecole chimiche utilizzate come farmaci, pesticidi e sostanze industriali e con la necessità, quindi, di stabilire quali di queste potessero essere usate senza pericolo per l'uomo e per l'ambiente. Molti sono stati gli scienziati che nell'era moderna hanno arricchito e ampliato gli orizzonti della tossicologia: Ph.B. Hawk e B.L. Oser svilupparono i primi saggi tossicologici; R.R. Williams studiò i meccanismi di detossificazione e le variazioni specie-specifiche; A. Hamilton delineò il ruolo della moderna tossicologia industriale; T.T. Litchfield e F. Wilcoxon chiarirono l'importanza della relazione dose-risposta e C.I. Bliss introdusse il metodo dei probit (metodo matematico basato sulle unità di probabilità) per il calcolo delle curve dose-mortalità. È importante ricordare che l'era della tossicologia moderna ha visto anche la nascita di importanti organi di regolamentazione, quali per es. negli Stati Uniti la Food and drug administration (FDA), il National institute of environmental health sciences (NIEHS), l'Environmental protection agency (EPA) e l'American conference of governmental industrial hygienists (ACGIH).
La tossicità di un composto dipende dalla sua capacità di interagire con i siti specifici che vengono raggiunti in concentrazione adatta e in forma attiva attraverso diverse vie di penetrazione: il tratto gastrointestinale (ingestione), i polmoni (inalazione), la pelle (via topica e transdermica) e le vie parenterali (sottocutanea, intramuscolare ed endovenosa). Fattori importanti per la tossicità sono la concentrazione raggiunta e il tempo per il quale è mantenuta, entrambi dipendenti dalla capacità di escrezione dell'organismo e dalla sua efficienza nel biotrasformare un composto tossico. È necessario, infatti, ricordare che gli organismi sono capaci di riparare il danno tossico sia a livello molecolare e cellulare sia a livello di funzione. Si può dunque concludere che esistono tre categorie di fattori in grado di influenzare la tossicità di un composto: fattori relativi all'agente tossico (caratteristiche fisico-chimiche, affinità per i siti di legame responsabili degli effetti tossici, purezza del composto), fattori relativi all'esposizione (dose, via, modo e sito di accesso, durata e frequenza della somministrazione) e fattori relativi al soggetto (specie, ceppo, corredo genetico individuale, età, sesso, stato nutrizionale, capacità di metabolizzazione e di riparare i danni).
La tossicità di una sostanza può essere immediata o ritardata. Nel primo caso, cioè di tossicità acuta, gli effetti tossici si hanno rapidamente dopo una singola somministrazione; nella tossicità cronica, invece, gli effetti ritardati si evidenziano solo dopo un certo periodo di tempo (per es. gli effetti cancerogeni hanno un lungo periodo di latenza che nell'uomo può arrivare anche a 20-30 anni). Un altro aspetto importante della tossicità è la distinzione fra tossicità locale e tossicità sistemica: con tossicità locale si definisce quell'insieme di sintomi caratterizzati da effetti prodotti nel sito di contatto tra l'agente tossico e il sistema biologico (per es., l'irritazione cutanea da contatto con sostanze aggressive, la lesione dell'esofago in seguito a ingestione di sostanze caustiche e le lesioni polmonari per inalazione di sostanze irritanti); con tossicità sistemica si intende, invece, quella in cui l'agente tossico, una volta assorbito dall'organismo e distribuito nei suoi tessuti, può raggiungere i bersagli specifici dove esplica la propria azione tossica. La maggior parte delle sostanze in genere provocano tossicità sistemica, a eccezione di quelle altamente irritanti o corrosive. Nell'ambito della tossicità, inoltre, si distinguono effetti tossici reversibili e irreversibili, che dipendono dalla capacità di riparazione del danno a livello molecolare (per es. sintesi di nuove proteine danneggiate e riparazione del DNA), cellulare (per es. rigenerazione del tessuto) o funzionale (per es. l'attivazione di circuiti nervosi accessori). Molto importante è anche il problema della cotossicità, ovvero della tossicità causata dall'interazione di più sostanze nell'organismo, che possono dare effetti addizionali, di sinergismo e di potenziamento.
L'effetto addizionale si ha quando l'effetto di due o più sostanze è pari alla somma degli effetti dei singoli composti; un classico esempio è quello che si ottiene sull'enzima acetilcolinesterasi, enzima deputato all'inattivazione dell'acetilcolina, in seguito alla somministrazione contemporanea di due pesticidi appartenenti alla classe degli organofosforici (insetticidi). Il sinergismo si ha quando l'effetto di due o più sostanze è maggiore della somma dei singoli effetti, come nel caso di due sostanze epatotossiche quali l'etanolo e il tetracloruro di carbonio; in questo caso, infatti, i due composti provocano un danno epatico maggiore rispetto a quello che farebbe ipotizzare la somma dei singoli effetti. Infine, il potenziamento si ha quando la somministrazione di una sostanza non tossica insieme a una tossica aumenta l'effetto finale di quest'ultima; per es., l'effetto epatotossico del tetracloruro di carbonio è potenziato in presenza dell'isopropanolo, sostanza che di per sé non ha alcun effetto tossico sul fegato. È importante sottolineare che alcune molecole esplicano la loro tossicità con modalità particolari e solamente in una parte della popolazione: si parla in questo caso di reazioni allergiche e di reazioni idiosincrasiche. Le reazioni allergiche sono dovute a una precedente sensibilizzazione alla molecola, ovvero a un'attivazione specifica del sistema immunitario contro quella molecola, con conseguenti manifestazioni indesiderabili che vanno dalle semplici irritazioni cutanee alle gravi reazioni di shock anafilattico (v. shock). Le reazioni idiosincrasiche riconoscono una base genetica e sono caratterizzate da un'anormale reattività individuale a una sostanza.
A tale proposito è importante ricordare che certe popolazioni di individui biotrasformano alcune sostanze in modo diverso. Un classico esempio è quello legato alla biotrasformazione (acetilazione) dell'isoniazide, un farmaco antitubercolare. All'interno della popolazione caucasica esistono, infatti, degli 'acetilatori veloci' e degli 'acetilatori lenti' del farmaco, appartenendo questi ultimi a un gruppo geneticamente recessivo. La permanenza del farmaco nell'organismo, a parità di dosi, sarà quindi molto più lunga negli acetilatori lenti, che saranno più a rischio nell'incorrere in fenomeni tossici. Anche la debrisochina, un farmaco ipotensivo, viene metabolizzato in maniera diversa, in quanto esistono dei 'metabolizzatori ricchi' e dei 'metabolizzatori poveri'. Questi ultimi sono portatori del gene recessivo e si sono dimostrati metabolizzatori poveri anche nei confronti di altri composti, quali la fenformina, la fenitoina, la sparteina e la fenacetina. Tutti questi individui risulteranno, quindi, più sensibili a tali agenti. È importante infine ricordare che l'organismo può sviluppare una tolleranza a un certo composto, ossia manifestare una risposta tossica minore o addirittura nulla rispetto a quella manifestata nei confronti del composto stesso in una precedente esposizione. Un classico esempio è la tolleranza all'alcol, ai cui effetti il sistema nervoso si adatta o diviene meno sensibile, mentre il fegato lo metabolizza più velocemente come conseguenza dell'induzione di alcuni enzimi epatici. Il risultato di tale comportamento da parte dell'organismo è che il bevitore beve sempre di più per ottenere lo stesso effetto, e, d'altra parte, l'aumentato consumo di alcol avvia un'ulteriore tolleranza nervosa e induce un aumento nella produzione di enzimi epatici. Un altro esempio di tolleranza è quella che si sviluppa nei confronti della Cannabis, o più precisamente verso il suo principio attivo (tetraidrocannabinolo): sembra che essa dipenda sia dalle variazioni acquisite con l'uso cronico nel metabolismo del principio attivo, con conseguente sua accelerata inattivazione ed eliminazione, sia dall'insorgenza di una tolleranza funzionale nell'organo bersaglio.
Per valutare sperimentalmente la tossicità di una sostanza si ricorre a prove in vitro o su animali (in vivo), a seconda del tipo di tossicità, con lo scopo di evidenziare una tossicità acuta e cronica verso l'organismo o l'ambiente. La conoscenza della tossicità di una sostanza in modelli sperimentali è necessaria per stabilire se sia possibile un suo utilizzo concreto senza che l'uomo e l'ambiente ne siano danneggiati. Questo è un compito molto importante se si pensa al grandissimo numero di sostanze chimiche che si trovano oggi in commercio.
a) Tossicità acuta. La tossicità acuta è caratterizzata da una somministrazione singola o episodica a dosi elevate della sostanza, cui fa seguito un danno in rapida successione. Dal punto di vista sperimentale, la tossicità acuta è valutata mediante la determinazione della dose letale 50 (DL₅₀), la dose cioè che provoca, in somministrazione unica, la morte del 50% della popolazione sperimentale (animali da laboratorio) in un determinato periodo di tempo (14 giorni). Il parametro DL₅₀ risulta di fondamentale importanza per determinare la pericolosità di una sostanza, il grado di maneggevolezza e le dosi approssimative alle quali essa esplica la tossicità.
b) Tossicità cronica. Il problema principale, e più difficile da affrontare, è quello di riuscire a evidenziare l'insulto tossico dovuto a contatti ripetuti anche a dosi minime. A tale scopo sono stati identificati alcuni modelli sperimentali, quali le valutazioni di tossicità subacuta, subcronica e cronica, che sono caratterizzate da esposizioni ripetute nel tempo a dosaggi bassi. I tempi di esposizione sono di 14-28 giorni per la subacuta, 3 mesi per la subcronica e di 6-24 mesi per la cronica. Queste prove, in special modo le ultime, consentono di mettere in luce alcuni degli aspetti più selettivi della tossicità, quali la genotossicità (studio degli effetti degli agenti chimici o fisici sui processi ereditari), la teratogenesi (studio delle alterazioni funzionali e strutturali nel periodo prenatale) e l'immunotossicità (studio degli effetti avversi delle sostanze estranee sul sistema immunitario o mediante meccanismi immunitari). La scelta delle specie animali sulle quali eseguire le prove è in parte dettata dal tipo di tossicità che si vuole evidenziare: per es., per i cancerogeni si useranno ceppi di topo particolarmente predisposti a sviluppare tumori, per la tossicità epatica il maiale, infine per la teratogenesi il coniglio ecc.
c) Modelli in vitro di tossicità. Sono dei modelli biologici rappresentati non più dall'animale da laboratorio, ma da sistemi cellulari riproducibili e semplificati rispetto all'intero organismo, costituiti da unità viventi organizzate. Attualmente questi metodi sono considerati con estremo interesse dalla comunità scientifica, in quanto permettono di ridurre il numero di animali da laboratorio utilizzati nei classici test sperimentali (tossicità acuta, subacuta ecc.). Essi sono stati riconosciuti ufficialmente anche dalla legislazione europea (direttiva CEE 86/609) dove sono riportate "le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici". A tale proposito è però importante sottolineare che la sperimentazione in vitro non può essere considerata come alternativa a quella in vivo, in quanto ha ancora dei limiti, quali l'estrema semplificazione del sistema sperimentale rispetto all'organizzazione complessa di un organismo pluricellulare e l'impossibilità di studiare effetti tossici mediati (per es., il sistema endocrino o il sistema nervoso centrale). È meglio quindi considerare i metodi in vitro, non come alternativi, ma come complementari a quelli in vivo. Infatti, con i primi si studiano i danni precoci e i meccanismi cellulari e molecolari di tossicità in sistemi specifici, con costi contenuti e risposte rapide rispetto alla sperimentazione animale, con i secondi si ha una visione più ampia dell'effetto della sostanza oggetto dello studio su un organismo vivente e si può meglio riprodurre quanto accade veramente in natura.
Uno degli obiettivi principali che si pone il tossicologo è la valutazione del rischio tossicologico, intendendo con rischio la probabilità che dall'uso di un composto, a determinate concentrazioni e in particolari circostanze d'uso, derivi un danno. Questi studi sono essenziali in quanto, in base ai loro risultati, si permette che composti quali gli additivi alimentari (coloranti, edulcoranti, aromatizzanti, antimicrobici, antiossidanti) e i pesticidi siano immessi nel consumo; questo avviene soltanto dopo che le sostanze sono state sottoposte a un'approfondita valutazione tossicologica, dalla quale emerge la loro innocuità completa o relativa. È importante sottolineare che, per raggiungere tale fine, il tossicologo si avvale di metodologie razionali approvate a livello internazionale.
a) Rischio per la popolazione. Organizzazioni internazionali, quali l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e il Comitato scientifico dell'alimentazione umana della CE, hanno introdotto parametri definiti al fine di stabilire le condizioni per un'esposizione a sostanze nocive potenzialmente priva di rischio. Tra questi citiamo la dose giornaliera accettabile (DGA), espressa come quantità di sostanza estranea (mg/kg di peso corporeo) che può essere ingerita giornalmente dall'uomo per tutta la vita senza alcun pericolo. Il calcolo di questo parametro è quindi molto importante soprattutto alla luce del fatto che alcune molecole, come i contaminanti (pesticidi) e gli additivi alimentari, vengono assunte a dosi generalmente basse, ma per periodi di tempo molto lunghi e spesso per tutta la vita. Mediante la DGA è possibile calcolare il livello di tollerabilità (LT), ovvero la massima concentrazione di una sostanza a cui un individuo può essere esposto quotidianamente attraverso l'aria, l'acqua e gli alimenti, senza che si manifesti alcun rischio per la salute umana. Il valore dell'LT si ottiene quindi moltiplicando la DGA per il peso corporeo standard (60 kg) e dividendo questo prodotto per la quantità media giornaliera di consumo di uno specifico alimento (per es., 500 g di carne, 2 l di acqua); tali quantità sono state fissate dall'OMS e in certi casi sono volutamente esagerate per porsi nelle condizioni peggiori, al fine di proteggere al meglio l'individuo esposto. Infine molto importante nella valutazione del rischio è anche il calcolo del margine di sicurezza (MS), ottenuto dal rapporto fra LT e le reali concentrazioni del composto nella matrice alimentare, che permette di valutare in modo assoluto il rischio derivante dall'esposizione a una sostanza.
b) Rischio per individui esposti ad agenti tossici professionali. Per la sicurezza di persone esposte per motivi professionali ad agenti tossici (lavoratori d'industrie chimiche, controllori del traffico urbano, agricoltori ecc.) è importante stabilire se esiste una correlazione tra la frequenza della comparsa di una malattia in popolazioni di lavoratori (coorti) e l'esposizione a sostanze di uso industriale, in modo da poter prevenire tali patologie. Numerose esperienze in questo settore tossicologico hanno permesso di definire alcuni indici di esposizione, i cosiddetti TLV (Threshold limit values), che rappresentano la massima concentrazione di una sostanza cui un lavoratore può essere esposto senza che insorgano effetti avversi. Esistono in realtà diversi modi in cui esprimere il TLV e i più usati sono il TWA (Time weighted average), cioè la concentrazione accettabile per le 8 ore lavorative giornaliere per 5 giorni alla settimana, lo STEL (Short term exposure limit), ovvero la massima concentrazione a cui un lavoratore può essere esposto per 15 min, a condizione che questo non avvenga per più di 4 volte nell'arco dell'intera giornata e a intervalli di almeno un'ora, e il CL (Ceiling limit), che è il valore che non può mai essere oltrepassato nell'arco della giornata lavorativa.
c) Rischio per l'ambiente. Un altro aspetto assai importante è la tossicità provocata dagli inquinanti ambientali sugli organismi viventi dei differenti livelli di organizzazione dell'ecosistema, che comprende anche lo studio delle modalità di diffusione di questi agenti e le loro interazioni con l'ambiente. La tossicologia ambientale dunque ha come fine ultimo non solo la valutazione degli effetti dei contaminanti sugli organismi dell'ecosistema, ma pure lo studio dei loro meccanismi. Nel 20° secolo molti sono stati gli incidenti causati dall'uomo: per es. quello della baia di Minamata in Giappone, che ha provocato la morte di un gran numero di individui per un accumulo di mercurio ingerito indirettamente attraverso la catena alimentare, o quello di Seveso, dove vi fu un'eccessiva accidentale fuoriuscita di diossina. In realtà, i problemi più gravi per il pianeta Terra sono quelli continuativi, anche se meno eclatanti, come l'immissione nell'ecosistema di inquinanti, quali il monossido di carbonio, gli ossidi di zolfo, gli ossidi di azoto, gli idrocarburi aromatici e tutte le sostanze di scarto prodotte dalla società umana. Per tutti questi motivi gli scienziati, e in particolare i tossicologi ambientali, hanno sentito sempre più viva la necessità di mettere a punto nuove strategie (saggi di laboratorio, bioindicatori, studi di biomonitoraggio, modelli previsionali e stima del rischio), finalizzate a contrastare i problemi generati dall'inquinamento ambientale. Non è facile, però, determinare il livello di tollerabilità di un ecosistema per una sostanza, sia per il grande numero di esseri viventi, sia per la variabilità delle condizioni di un ecosistema, sia per la mancanza di modelli di previsione riguardo al modo in cui una sostanza si distribuisce nell'ambiente.
In una società sempre più dipendente da sostanze chimiche di vecchia e nuova sintesi è necessario assumere un atteggiamento di grande prudenza, ma anche di concreto realismo. La tossicologia sperimentale nelle sue diverse specializzazioni ha elaborato protocolli soddisfacenti per evidenziare e quantificare la tossicità di una sostanza. D'altra parte, rigorosi studi teorici ed epidemiologici hanno permesso di giungere a criteri di valutazione del rischio molto attendibili. Si è quindi nella condizione di poter valutare con buona approssimazione, anche se non con assoluta certezza, il grado di danno che una sostanza può produrre e quindi decidere, in base a un bilancio rischio/beneficio, se essa possa essere immessa nell'uso. Questi avanzamenti anche sul piano pratico derivano da un'approfondita e continua ricerca sperimentale, caratterizzata da un approccio multidisciplinare che va dalla biologia molecolare e cellulare alla clinica, all'epidemiologia, all'ecologia.
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