Tossicodipendenza
Con il termine tossicodipendenza si definisce la condizione caratterizzata dall'incoercibile bisogno di fare uso continuato di sostanze psicotrope in senso lato, senza alcun riguardo per il danno che ne deriva. Anche se sono state formulate ipotesi in merito all'esistenza di una predisposizione genetica alla tossicodipendenza, la componente psicologico-culturale rimane tuttora centrale per la comprensione del problema. Negli ultimi trent'anni del 20° secolo sono stati messi a punto studi relativi alla tipologia psicopatologica della tossicodipendenza che permettono di impostare in modo più razionale programmi terapeutici gestiti da diversi servizi sociali (v. anche allucinogeni, droga).
l. Definizioni
Nel 1952, il comitato dell'OMS (Organizzazione mondiale della sanità) per i farmaci che producono tossicomania propose una distinzione tra tossicomania e abitudine. La tossicomania (addiction) venne definita come uno stato di intossicazione periodica o cronica prodotto dalle ripetute assunzioni di una sostanza naturale o sintetica, caratterizzato da: 1) un irresistibile desiderio o bisogno di continuare ad assumere la sostanza e a procurarsela con ogni mezzo; 2) una tendenza ad aumentare la dose; 3) una dipendenza psichica (psicologica) e di solito fisica agli effetti della sostanza; 4) conseguenze dannose per l'individuo e la società. Vi erano dunque tre proprietà che una sostanza doveva avere per essere considerata capace di generare la tossicomania (addictive-drug): doveva produrre tolleranza ‒ cioè essere assunta in dosi progressivamente crescenti per ottenere il risultato desiderato ‒, sintomi di astinenza e desiderio spasmodico di ottenerla. Se l'individuo non può, per varie ragioni, assumerla, egli soffrirà della sindrome di astinenza, i cui sintomi variano da una sostanza all'altra. Così, il soggetto che usa assumere la morfina svilupperà per essa un desiderio irrefrenabile, dovuto non solo agli effetti che quella procura ma anche alla paura della sindrome di astinenza. Inoltre, può svilupparsi un desiderio irresistibile di tipo psicologico, la cui dinamica non è ancora del tutto chiarita: infatti numerosi tossicomani che sono stati divezzati con successo da una sostanza stupefacente provano un forte desiderio di assumerla nuovamente. L'abitudine (habituation) a una sostanza è definibile come una condizione che deriva dalla ripetuta assunzione di questa. Le sue caratteristiche comprendono: 1) un desiderio (ma non una coazione) a continuare ad assumere la sostanza per il senso di accresciuto benessere che essa produce; 2) la scarsa o nessuna tendenza ad aumentare la dose; 3) un certo grado di dipendenza psichica all'effetto della sostanza, in assenza di dipendenza fisica e quindi di una sindrome di astinenza; 4) effetti dannosi, se mai, principalmente per l'individuo. Queste definizioni, in apparenza chiare, sono state mal comprese e confuse. Ambedue i termini sono spesso usati scambievolmente e impropriamente: il termine tossicomania o droga, per es., è usato, al di fuori della pratica medica, per indicare il semplice abuso di un farmaco. Le difficoltà nella terminologia sono aumentate per l'apparire continuo di nuove sostanze con caratteristiche farmacologiche diverse e con modalità d'impiego differenti da quelle delle sostanze già conosciute. Sensibile all'insieme di tali difficoltà, il comitato di esperti dell'OMS ha proposto nel 1968 le seguenti definizioni chiarificatrici: farmaco è ogni sostanza che, introdotta in un organismo vivente, può modificare una o più funzioni; per abuso di farmaci si intende l'uso eccessivo o sporadico del farmaco, comunque in maniera inadeguata e diversa da quello accettato dalla pratica medica; la farmacodipendenza è uno stato psichico, a volte fisico, risultante dall'interazione tra un organismo vivente e un farmaco, caratterizzato da reazioni comportamentali e di altro genere che includono sempre la coazione ad assumere il farmaco in modo continuo o sporadico per sperimentarne gli effetti psichici o evitare il disagio causato dalla sua assenza. Può esservi tolleranza o meno. Un individuo può essere dipendente da più farmaci. Poiché i vari farmaci producono diversi tipi di farmacodipendenza, questa definizione va completata volta per volta dall'indicazione del farmaco che la determina. Non si dovrà parlare più dunque di tossicomania o di abitudine, ma di farmacodipendenza: 1) di tipo morfinico, le cui caratteristiche corrispondono a quelle citate per la vecchia definizione di tossicomania: essa è provocata dall'oppio e dai suoi alcaloidi naturali e semisintetici (morfina, codeina, eroina) o sintetici (metadone, petidina ecc.); 2) di tipo alcol-barbiturico, causata dall'alcol e dai derivati dell'acido barbiturico (luminal, veronal), dai sedativi e da molti ipnotici non barbiturici (cloralio, metaqualone, paraldeide ecc.); 3) di tipo ansiolitico, indotta dai cosiddetti tranquillanti minori come il meprobamato, il clordiazepossido, il diazepam e le altre innumerevoli benzodiazepine; 4) di tipo anfetaminico, determinata in generale da tutte le sostanze psicostimolanti: anfetamine e anfetaminosimili (fra cui l'ecstasy e altre droghe di sintesi), il betel, il khat ecc.; 5) di tipo cocainico, procurata dalla cocaina e dalla sua polvere (basujo nei paesi latinoamericani e crack in quelli occidentali); 6) di tipo cannabis, dovuta ai derivati della Cannabis sativa (marijuana, hascisch, kif ecc.); 7) di tipo allucinogeno, imputabile a sostanze sia di sintesi, come l'LSD 25, sia naturali come la mescalina e la psilocibina.
Il concetto di farmacodipendenza, chiaro e utile, ha avuto tuttavia scarsa fortuna. Il motivo fondamentale di ciò sta probabilmente nell'osservazione relativa alla sua estrema genericità; esso si applica ugualmente bene, infatti, a una serie di situazioni assai diverse fra loro e non dà notizie utili su un problema cruciale, quello della gravità. Un esempio assai semplice in proposito può essere quello dei sonniferi: indicare con lo stesso nome di farmacodipendente chi ne usa una compressa ogni sera, anche per anni, e chi assume decine di compresse ogni giorno, continuamente al limite dell'intossicazione acuta, dell'incidente o del coma, genera soltanto confusione. Ci si potrebbe chiedere, giunti a questo punto, se sia ancora opportuno tentare di definire la tossicomania. La risposta richiede un brusco cambiamento di prospettiva: evitando di soffermarsi sugli effetti propri dell'uno o dell'altro farmaco e superando l'idea di una generica tendenza dell'individuo a ricercarlo, ci baseremo sull'analisi del tipo di relazione che il singolo individuo stabilisce con il farmaco in una certa situazione, per arrivare in questo modo a definire tre condizioni assai diverse l'una dall'altra: quelle del consumatore, del farmacodipendente e del tossicomane, ognuna contrassegnata da caratteristiche proprie del rapporto fra un individuo e un farmaco. Un punto di vista utile per definire la tossicomania può essere quello basato sull'analisi del comportamento di ricerca del farmaco da parte del singolo individuo che ne fa uso. Presupposto di tale analisi è immaginare che la gran parte dei comportamenti umani siano rivolti al conseguimento di una soddisfazione o di un sollievo dalla tensione: caratteristica del tossicomane diviene, allora, la tendenza a rivolgere al farmaco e alla sua ricerca una gamma sempre più ampia dei propri comportamenti spontanei. Non in grado di adattarsi in modo flessibile e adeguato alle esigenze della realtà che lo circonda, incapace di graduare richieste e risposte, il tossicomane finisce per stabilire una relazione di dipendenza assoluta dall'effetto del farmaco. Tale relazione può essere favorita, mai spiegata, dalla condizione di dipendenza fisica. La straordinaria facilità delle ricadute dopo che la condizione di dipendenza fisica è stata superata e la possibilità dell'individuo di distinguere l'esperienza soggettiva dell'astinenza fisica da quella del coinvolgimento totale della tossicomania appaiono argomenti probanti per questa affermazione. Si può concludere che per il vero tossicomane si delinea l'emergere di una struttura di personalità costruita attorno alla droga, un'immagine del Sé conseguente a tale struttura e uno stile di vita a essa direttamente collegato o, più brevemente, un modello di coinvolgimento personale totale. Una definizione basata su osservazioni siffatte può essere applicata a varie situazioni diverse per il farmaco di volta in volta implicato, ma fondamentalmente simili per la gravità del quadro e la ristrettezza dell'azione terapeutica. La tossicomania è, pertanto, uno stato di intossicazione prodotto dalle assunzioni ripetute di una sostanza naturale o sintetica, le cui caratteristiche comprendono sia il bisogno di continuare ad assumere la sostanza e di procurarsela a qualsiasi prezzo, sia un indebolimento di tutti gli interessi e dei legami con la realtà degli altri e infine l'assunzione di un ruolo sociale tipico: di un'immagine del Sé, in pratica, e di una serie di comportamenti pubblici (stile di vita) che connotano tale ruolo. Definita così la tossicomania, è più facile definire in contrasto la farmacodipendenza, che è pur sempre uno stato di intossicazione prodotto dall'assunzione di una sostanza naturale o sintetica, ma le cui caratteristiche saranno una tendenza evidente, ma non irresistibile, ad assumere la sostanza e a procurarsela e il mantenimento di una serie di interessi e di legami con la realtà degli altri, tali da permettere una vita complessivamente molto vicina a quello che può essere inteso come standard sociale nel contesto socioculturale dell'individuo in questione. Consumatori saranno, infine, in questa prospettiva, individui che fanno esperienza della droga, qualunque essa sia, in modo saltuario e in situazioni di eccezione; o in modo ripetuto ma usando dosaggi del tutto innocui e mantenendo sempre il controllo della situazione e la possibilità di interrompere l'assunzione del farmaco senza risentirne conseguenze. Ricapitolando, si possono sottolineare i seguenti punti: l'apparire di una molteplicità di nuove sostanze in grado di determinare tossicomania ha compromesso la possibilità di descrivere quella da morfina come tossicomania-tipo; molte condizioni di abuso di sostanze stupefacenti sono compatibili con la possibilità di un'interruzione spontanea dell'abitudine (non essendo 'mostri' destinati a catturare chi incautamente si accosti loro, queste sostanze possono essere oggetto di un uso saltuario o del tutto occasionale all'interno di esperienze voluttuarie non dissimili da altre, socialmente molto più accettate, del tipo alcol o tabacco); infine non devono essere considerati tossicomani quegli individui che fanno esperienza della droga in modo saltuario e in situazioni di eccezione.
2.
La domanda che sorge a questo punto è quasi ovvia. Il problema della tossicomania non è più legato alle caratteristiche della sostanza ma a quelle della persona. È possibile, cercando a questo livello, darsi ragione delle cause che la determinano? Una ricerca di J. Schelder e S. Block (1987) propone una risposta estremamente interessante al riguardo. Questi autori hanno studiato per quindici anni l'evoluzione di un campione di bambini, monitorando il loro equilibrio a livello personale, familiare e scolastico. Quando i bambini avevano ormai 18 anni, un'équipe di esperti ha studiato la loro reazione all'incontro con le droghe illegali definendo astemi coloro che le avevano rifiutate o non incontrate, esploratori quelli che le avevano usate occasionalmente, ma dimostravano di non esserne stati per nulla 'affascinati' e di non avere interesse alcuno a ripetere l'esperienza, e problematici, infine, quelli che si presentavano dipendenti o a rischio di dipendenza. Il dato più interessante emerso da tale valutazione è quello legato all'incrocio di questi risultati con quelli ottenuti nella prima parte della ricerca. I ragazzi che avevano problemi con le droghe a 18 anni erano gli stessi che avevano avuto problemi personali, familiari e, spesso, scolastici a 7, 9 e 11 anni: molti anni prima, cioè, del loro incontro con le droghe. Ampiamente confermato dalla clinica, il concetto proposto da Schelder e Block è semplice e illuminante insieme. Le radici della tossicomania vanno indagate nella storia e nell'equilibrio psicologico della persona; la cura non può corrispondere, in queste condizioni, che a un lavoro centrato sulla crescita e sullo sviluppo della persona medesima, che deve essere aiutata ad affrontare in modo corretto e costruttivo problemi rispetto a cui la droga ha funzionato, abitualmente, come strumento di evasione, ricerca, rifiuto o fuga. Un passaggio ulteriore è quello costituito dallo studio psicopatologico dei problemi alla base delle condotte tossicodipendenti. Basata su un'esperienza di ricerca portata avanti nel corso di quasi trent'anni di lavoro terapeutico, la tipologia psicopatologica della dipendenza e della tossicomania costituisce oggi uno strumento importante di valutazione diagnostica e di impostazione dei programmi terapeutici. Da un punto di vista teorico, esso consente una riflessione di notevole interesse sulla diffusione di questo tipo di patologie, che sono insieme alleviate (il punto di vista soggettivo), rivelate e aggravate (il punto di vista, più oggettivo, dell'osservatore) dall'uso dei farmaci. Dipendenza e tossicomania sono funzione diretta, infatti, della disponibilità di sostanze presenti sul mercato illegale e, a volte, di quello legale. Le problematiche che le determinano, predisponendo un certo numero di persone a un incontro sbagliato e pericoloso con le sostanze, esisterebbero comunque, anche se queste non fossero disponibili. Quelli che cambiano nel momento in cui tali sostanze sono disponibili, tuttavia, sono due fattori di grande rilievo: la disponibilità a curarsi, perché le sostanze offrono una soluzione soddisfacente sul piano soggettivo, e la gravità complessiva della situazione, perché l'impiego protratto dei farmaci espone a rischi pesanti di ordine fisico (avvelenamenti, danni legati alla tossicità acuta e cronica, malattie secondarie all'uso incauto, del tipo AIDS o epatiti), morale (mutamento, spesso brusco, a volte definitivo, di amicizie, ambienti, ambizioni, progetti), sociale (legato, in particolare, al danno economico, alla perdita d'autonomia e al rischio di problemi giudiziari).
3.
Il quindicenne che usa in modo incauto le nuove droghe e il quarantenne con venti anni di esperienza di eroina sono gli estremi di un continuum popolato di una miriade di situazioni intermedie. La varietà di tutte queste condizioni pone un problema di grande complessità a chi si occupi di organizzazione dei servizi. Le esigenze avanzate da un'utenza così variegata sono molto diverse e chiedono la messa in opera di risposte articolate e differenziate fra loro. Schematizzando in modo forse troppo semplice un problema di fatto assai complesso, si tratta comunque di prevedere: servizi di informazione, consulenza e supporto psicologico per i giovani a rischio; strutture in grado di dare risposte organiche in termini di psicoterapia individuale e familiare; strutture residenziali capaci di mettere in opera un progetto rieducativo di medio oppure lungo periodo; servizi a bassa soglia (per es., unità di strada, centri diurni) per la presa di contatto con l'utenza marginale e meno facile da contattare; servizi di sostegno alla persona nelle fasi, spesso assai difficili, del suo reinserimento lavorativo e, in genere, sociale. È evidente la necessità di organizzare in rete l'insieme di questi servizi. Nei casi gravi, il passaggio dall'uno all'altro deve compiersi all'interno di un progetto caratterizzato da livelli alti di continuità. Il fronte comune che gli operatori attivi nei servizi debbono costituire è di tipo culturale oltre che operativo, e necessita di una disponibilità a collaborare piena, convinta, basata sul rispetto e sulla fiducia. Il filo rosso dell'intervento deve essere costituito da una ricognizione attenta delle difficoltà e dei problemi che la persona affronta per la prima volta o ha accumulato nel tempo, rendendola gradualmente soggetto e protagonista (perché questa è la finalità ultima di ogni intervento) del proprio progetto di recupero.
l. La fragilità dell'Io
Se, per ragioni culturali e per l'intervento di diversi fattori, il problema della tossicodipendenza si presenta molto complesso, tuttavia - pur tenendo accuratamente presenti le componenti biologiche che la fanno considerare come una malattia (Silvestrini 1995) e tenendo anche conto delle numerose variazioni che si sono prodotte nella fascia di utenza, soprattutto l'abbassamento dell'età delle prime esperienze e la modifica di alcune motivazioni - è possibile affermare che un dato essenziale per la comprensione del problema, costante fin dagli inizi della ricerca sulla droga, proviene dalla struttura di personalità dei soggetti. Questi individui, infatti, presentano una specifica fragilità dell'Io che viene fatta risalire all'insufficiente capacità dell'ambiente adulto, rappresentato e mediato dalla figura materna, di sostenere in modo adeguato la formazione di premesse 'sane' ai fini della costruzione dell'identità dell'individuo (Lampronti-Alessio 1992). Questa dinamica, per G. Ammon (1974), avrebbe la sua origine nell'incapacità della figura materna - che però, non va dimenticato, esprime sempre e media le dinamiche del gruppo familiare e della cultura in cui questo è inserito - di risolvere l'originario stato di simbiosi madre-bambino e di avviare quindi l'autonomia del bambino stesso. Il venir meno di questo processo basilare si ripercuote sulla formazione dei 'confini dell'Io', determinando un 'buco dell'Io', un'incapacità cioè da parte del bambino sia di percepirsi come entità integra e autonoma, sia di saper selezionare in modo adeguato gli stimoli dell'ambiente interno ed esterno (Ammon-Patterson 1971). Su questa dimensione di fondo si colloca poi la nota fase, riportata da J. Lacan (1966), dello 'specchio infranto', nella quale il bambino, avvertendo una disconferma di sé rispetto alle aspettative degli adulti nei suoi confronti, entra in una profonda crisi che lo induce a comportamenti disadattativi i quali, perlopiù, rinforzano i suoi bisogni di dipendenza. Per alcuni decenni si è ritenuto che da questi processi derivasse uno stato conflittuale che, cronicizzando la fragilità dell'Io, avrebbe esasperato nel soggetto il bisogno di trasgressione; in quest'ottica, la droga avrebbe avuto il ruolo di fattore di sedazione dei conseguenti sensi di colpa, di catalizzatore dei conflitti, e di mantenimento, su un diverso livello, di una dipendenza totale e gratificante (Olivenstein 1988). I cambiamenti epocali in atto, tuttavia, hanno fatto emergere come, nelle ultime generazioni adolescenziali, tale dinamica, più che indirizzarsi verso relazioni trasgressive, dia luogo a un'identità incompiuta, incapace cioè di maturare e tendenzialmente orientata a forme sostitutive di dipendenza. Questo si evidenzia particolarmente nella mancata esplicazione della funzione generativa, nell'incapacità di elaborare progetti a lungo termine e di assumere responsabilità. È in questo quadro che l'ambiente esterno, in quanto spazio reale dell'incontro con la 'proposta' della droga, diviene fondamentale. Nel caso dei derivati dell'oppio e, per antonomasia dell'eroina, il soggetto, una volta che abbia interiorizzato la necessità del 'primo buco' come condizione di appartenenza a un variegato universo oggi molto più regressivo che trasgressivo, scopre quella gratificazione totale che in tempi molto ravvicinati, coprendo i disagi del 'buco dell'Io' e creando l'apparenza di un'autonomia dal mondo familiare, costruisce la dipendenza psicologica dalla sostanza (De la Vega 1971). Si è già accennato come l'azione della droga favorisca l'indisponibilità a comportamenti generativi da parte del tossicodipendente; infatti, la labilità e l'inconsistenza dei legami affettivi e la crescente incapacità, mista a rifiuto, di assumere responsabilità sia verso sé stessi sia verso altri sono tra i comportamenti caratterizzanti il modo di vivere del tossicodipendente. Il fatto che da parte di questi soggetti l'analisi della realtà sia inconsciamente pervasa dal senso dell'ineluttabilità e della morte è dimostrato anche dalla circostanza che i recenti problemi derivanti dalla sieropositività e poi dall'AIDS non hanno minimamente inciso sull'estensione del fenomeno, se non forse aggravandolo (Mannaioni 1980; De Vita jr.-Hellman-Rosenberg 1985), come dimostrano anche le ricerche circa la struttura dei meccanismi di difesa in questi soggetti (Ottomanelli et al. 1989). L'uscita dalla spirale della droga si presenta molto difficile, sia perché le cause predisponenti hanno origini molto remote nella storia soggettiva, sia perché nel tossicodipendente s'instaura anche una dipendenza fisica, come appare in modo doloroso e drammatico nella cosiddetta sindrome di astinenza. Nel suo complesso il quadro è dunque quello di una dipendenza di natura prevalentemente (ma non esclusivamente) psicologica che produce il fenomeno dell'assuefazione (v.), in cui il bisogno o il desiderio della sostanza diventa una variabile indipendente rispetto alla tolleranza o alla sindrome di astinenza, salvo provocare indirettamente altri problemi, quali intossicazioni, sindromi da immunodeficienza ecc. Ci si potrebbe legittimamente chiedere perché non tutte le persone che presentano specifiche fragilità dell'Io diventino poi tossicodipendenti. Al momento attuale non è possibile dare una risposta al di fuori dell'ipotesi formulata da R. Levi-Montalcini, secondo cui si tratta di una predisposizione genetica che verrebbe catalizzata dal convergere dei fattori esposti.
2.
Un importante indicatore della storia e dei vissuti della persona che attraversi o abbia attraversato l'esperienza della tossicodipendenza è costituito dal suo rapporto con il proprio corpo. Il dato più frequente è l'incuria, la trascuratezza che il soggetto tossicodipendente dimostra verso il corpo, che si presenta sovente ferito, malato, decaduto. Esso viene a rappresentare visivamente l'alterità del soggetto rispetto alla propria realtà personale, il suo essere in un mondo 'altro' da quello storico-concreto, che difatti viene a costituire una sorta di appendice, necessaria ma trascurata, dell'esistenza. Le cicatrici conseguenti ai buchi o ad altri comportamenti autolesivi sono una specie di carta d'identità 'scolpita' sul corpo. Il vissuto corporeo del tossicodipendente può essere letto secondo i tre registri dell'abuso, dell'astinenza e della rinascita (Mammana 1991). a) Il corpo dell'abuso. Si tratta dell'esito di un meccanismo di difesa - la scissione - che comporta la separazione netta tra corpo e mente. Se è vero che il sentire la propria realtà come unificata è fondamentale per esperire il senso di benessere e che l'esperienza dell'unirsi con un'altra persona è altrettanto fondamentale, la fusione regressiva, che ha come referente la fase uterina è, invece, una condizione non sana. Il tossicodipendente tenta di negare la dimensione corporea, nell'illusoria ricerca di un'unitarietà personale non vissuta, ma in qualche modo desiderata. La droga facilita artificialmente l'emergere di un senso di unitarietà psicosomatica puramente 'mentale' che, vissuta in modo regressivo, dà un'effimera sensazione di benessere. Nel tossicodipendente le diverse sensazioni e gli stati d'animo (calma, eccitazione, lucidità ecc.) sono l'effetto dell'azione di sostanze psicotrope che raggiungono i centri nervosi e li stimolano direttamente. Questo percorso artificiale esclude il graduale coinvolgimento di tutta la persona e toglie alla mente il suo essere in relazione con il corpo. Quest'ultimo, infatti, perde a mano a mano la sua autonoma capacità di associare tonalità psicofisiche (per es., piacere, dolore, gioia, tristezza ecc.) ai diversi stati della mente e viene sempre più ridotto al ruolo di canale per qualche cosa che proviene dall'esterno (cioè la droga) e arriva al cervello senza mediazione né elaborazione. L'intensità e la rapidità dell'azione della droga nel procurare sensazioni di piacere è troppo 'diversa' dai processi psicofisici naturali; sopraggiunge allora un vissuto di inutilità del corpo e del suo funzionamento. b) Il corpo dell'astinenza. Il ciclo sopra descritto non può ripetersi all'infinito. Quando l'effetto della droga cessa, il corpo riemerge con forza dolorosa. Si hanno così i sintomi del dolore osseo e muscolare, i crampi, i brividi, la sudorazione, che sono associati a stati d'ansia e di angoscia, quasi a ricomporre per via di sofferenza la relazione mente/corpo che è stata negata. Facilmente l'angoscia diventa incontrollabile fino a giungere al panico, mentre l'aspettativa di nuove sofferenze, unita alla spasmodica ricerca della droga, rende incontenibile la situazione. Il rischio di questo stato è quello che il corpo dell'astinenza si trasformi nel corpo dell'ossessione, il quale degrada, talora, fino alla morte. c) Il corpo della rinascita. Solo quando l'ossessione della droga si è attenuata, cioè quando è venuto meno il meccanismo della compulsione a ripetere lo stesso comportamento, il corpo riacquista la sua funzionalità, tornando a essere comunicativo, nel senso sia del parlare sia dell'ascoltare, e la persona rientra in un circuito di comunicazione sana. La fase di transizione dal corpo dell'astinenza al corpo rinato è caratterizzata dall'insonnia, risultato sia di meccanismi neuroendocrini sia di reazioni emotive, specie di angoscia. Solo con l'attenuarsi di tale sintomo, che esprime psicosomaticamente la sofferenza per il distacco da un'illusione, il sonno si regolarizza e il corpo torna a svolgere il suo ruolo di mediatore di modi di sentirsi, quali fatica e riposo, piacere e dolore ecc. La crescita di questo processo consente il ricostruirsi dell'unità mente/corpo e il conseguente vissuto di unificazione.
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