toto
Latinismo presente due volte nel Paradiso, entrambe in rima ed entrambe in passi di dottrina teologica. Per determinare un'entità nella sua interezza: XX 132 quelli aspetti / che la prima cagion non veggion tota (ossia gl'intelletti delle creature, che non possono vedere compiutamente in Dio, causa prima delle cose); ma anche un complesso numerico nella sua totalità: VII 85 Vostra natura, quando peccò tota / nel seme suo... (ossia la natura umana coinvolta nella sua totalità, senza esclusione d'individui, nel peccato di Adamo).
I due passi appartengono a quella categoria di discorsi teologici in cui, secondo lo Gmelin, " Dante ha trasposto l'espressività delle sue fonti direttamente dal latino in italiano, conferendo loro spesso uno speciale rilievo in rima " (H. Gmelin, Die dichterische Bedeutung der Latinismen in Dantes Paradiso, in " Germanisch-Romanische Monatsschrift " n.s., VIII [1958] 37). Così l'aggettivo t. sarebbe un diretto riecheggiamento di s. Anselmo che nel suo scritto Cur Deus homo, seguito da D. per la dottrina della redenzione, ne fece un uso particolare. Ma oltre la stessa eventuale allusività pensiamo che in questi e in simili casi sia da sottolineare la violenza verbale rappresentata dalla trasposizione del crudo termine latino in un contesto volgare: non a caso l'aggettivo t. è in rima, ossia nella sede naturale di tali violenze verbali (ed è indicativo che il concetto espresso da t. nel secondo passo sia stato significato nello stesso canto dalla forma normale dell'aggettivo in corpo di verso: Adamo dannando sé, dannò tutta sua prole, v. 27), e nel primo passo in posizione di terza rima, ossia nella posizione più propizia all'invenzione verbale dantesca, secondo la nota osservazione del Parodi. È perciò che non riterremmo opportuno l'uso del corsivo adottato dall'edizione Petrocchi nella grafia del vocabolo, considerato senz'altro un termine latino al pari di altri termini del poema e specialmente della terza cantica: tra i quali (per lo più avverbi o locuzioni avverbiali, congiunzioni, infiniti sostantivati) l'unico altro esempio di aggettivo verrebbe a essere l'indeclinabile necesse di Pd III 77, XIII 98 e 99, la cui presenza si giustifica però per il suo valore di locuzione tecnica. Si può ricordare che all'esempio dantesco s'ispireranno Fazio degli Uberti e Federico Frezzi nell'uso dell'aggettivo in rima, rispettivamente in Dittamondo I 23, e in Quadriregio II 3.