Touki bouki
(Senegal 1973, Il viaggio della iena, colore, 115m); regia: Djibril Diop-Mambéty; produzione: Cinégrit; sceneggiatura: Djibril Diop-Mambéty; fotografia: Pap Samba Sow, Georges Bracher; montaggio: Siro Asteni; scenografia e costumi: Asiz Diop-Mambéty.
Mory e Anta sono due giovani senegalesi che si incontrano a Dakar e decidono di partire per Parigi. Mory fa il pastore e, dopo che la sua mandria è stata condotta al macello, erra per le strade della capitale guidando una vecchia moto sul cui manubrio ha fissato un paio di corna di zebù. Anta studia all'università, dove all'ingresso alcuni ragazzi su una jeep la importunano, e si pone in contrasto con la concezione e l'immagine tradizionale della donna africana. La vita nei quartieri di Dakar procede frenetica e ripetitiva: le donne cucinano e lavano i panni, il postino e il poliziotto compiono stancamente le loro mansioni, un gruppo di lottatori tradizionali si affronta in un'arena. Su una scogliera, Mory e Anta fanno l'amore, accanto alla moto che il giovane non abbandona mai. Il desiderio di imbarcarsi sulla nave che porta in Europa è difficile da realizzare per la mancanza di denaro. In un hotel di lusso, Mory è abbordato da un facoltoso omosessuale che lo invita nella sua camera; mentre l'uomo fa la doccia, Mory gli sottrae vestiti e soldi, poi fugge in auto con Anta per raggiungere il porto. Nel frattempo, la sua moto è stata rubata da un giovane. Sul ponte della nave, Mory è colto dai dubbi e scende dall'imbarcazione per andare alla ricerca della motocicletta. Anta, che non abbandona mai il suo baule, parte senza il compagno. Mory, solo per strada, ripensa ai momenti d'amore passati con la ragazza e al suo lavoro di pastore.
Con Touki bouki il regista senegalese Djibril Diop- Mambéty esordisce nel lungometraggio, portando nella storia del cinema del suo Paese e dell'Africa una libertà espressiva inedita, la necessità di affrontare questioni cruciali (a cominciare dall'attrazione per l'Occidente, già esposta da Ousmane Sembène in La noire de...), sfuggendo agli stereotipi, inventando una poetica assolutamente originale. Touki bouki rimane il testo filmico più alto e inimitabile dell'Africa sub-sahariana, nonché ‒ nella filmografia di Diop-Mambéty ‒ l'opera nella quale confluisce la ricerca semantica avviata nei suoi primi due lavori (i cortometraggi Contras City, 1968, e Badou Boy, 1969) e si dispongono elementi che ritorneranno fedelmente nei film successivi (il secondo lungometraggio Hyènes, 1992, i due mediometraggi Le franc, 1994, e La petite vendeuse de soleil, 1999, e il cortometraggio Parlons grand-mère, 1989). L'ironia feroce, le situazioni surreali, la decostruzione di una narrazione tradizionale si manifestano in ogni inquadratura di Touki bouki. Significativamente, il film è aperto e chiuso da un bambino che guida una mandria al macello, sulla musica di un flauto; una scena che contiene il movimento e l'immobilità, per dare l'idea di un tempo sospeso, di uno spazio dal quale non si può fuggire. Tra quelle due scene, infatti, prende forma l'utopia di due giovani di diversa estrazione sociale. Si amano e la loro meta è Parigi, così insistentemente evocata dalla canzone di Joséphine Baker, dove il nome della città è parola ripetuta fino all'ossessione, ironica e tragica, che spinge appunto al movimento per poi interromperlo.
Touki bouki è fatto di continue false partenze, è un girotondo che i due amanti vivono per le strade di Dakar (città amata e indagata da Diop-Mambéty in tutto il suo cinema, set nel quale immergersi per scoprirne sempre nuove risorse; qui bastano la panoramica sulle baracche da un ponte e il transito affollato e quotidiano delle persone per restituire la verità di un luogo) e nei suoi dintorni (la spiaggia e il mare, la piscina di un hotel di lusso, il porto, la nave in partenza). Sono spazi labirintici che non liberano, che fanno ripetere a Mory e Anta (soprattutto al ragazzo) gesti che li riportano al punto d'inizio (o, nel caso di lei, verso una nuova avventura lasciata immaginare). Se Anta è la studentessa che si ribella a un destino di sottomissione, che indossa abiti maschili (tranne nel finale) e porta i capelli corti, Mory è il pastore che rimane, mentalmente oltreché fisicamente, imprigionato nel suo labirinto. Per Diop-Mambéty i corpi sono già espressione di una mutazione cyborg: Anta ha un fisico androgino, Mory una motocicletta con la quale vive in simbiosi totale; per essa il giovane è disposto a tutto, la tratta come un animale da parcheggiare prendendola al laccio (proprio come fanno alcuni ragazzi imbrigliando lui con una corda), le sta accanto nel momento in cui viene distrutta in un incidente stradale. La moto è fin da subito un corpo speciale, sul quale Mory ha innescato delle corna di zebù, fondendo carne, ossa, metallo.
Diop-Mambéty lavora sui dettagli, sulle distorsioni sonore, isola nelle inquadrature degli elementi (le corna dell'animale, una mano, il baule e gli oggetti contenuti al suo interno, le insegne della viabilità al porto...) per dare loro un valore extra-diegetico, senza mai dimenticare il contesto nel quale sono inseriti, crea una straordinaria unità attraverso la continua frammentazione visiva e narrativa. È un percorso rigoroso che conduce verso l'ultimo set, la lunga scena al porto, costruita come un noir allucinato tra posti di blocco, strutture metalliche, passaggio di automobili, elaborata come una partitura che presenta, lascia, ritrova vecchi e nuovi oggetti e personaggi. C'è un pedinamento costante in Touki bouki, e il piacere di Diop-Mambéty di soffermarsi su inquadrature apparentemente marginali (quelle dove si esprime con intensità il rapporto fra la terra e il cielo, e fra essi e la persona umana) che invece rivelano l'essenza più intima del suo cinema, come una firma decifrabile sottovoce nel tempo.
Il montaggio e la sonorizzazione di Touki bouki furono fatti a Roma, dove il regista venne arrestato per oltre un mese dopo avere partecipato a una manifestazione antirazzista. Tra le persone che lavorarono alla realizzazione del film, da ricordare Momar Thiam (assistente alla regia, poi autore, nel 1974, del lungometraggio Baks ‒ Spinelli) e Aminata Fall, cantante jazz che, oltre a prestare la sua magnifica voce, compare anche come attrice, riversando nelle scene da lei interpretate la sua enorme carica di energia (come farà in seguito in Le franc, nel ruolo della padrona di casa che dà filo da torcere al protagonista senza soldi). Diop-Mambéty ha reinventato, più di chiunque altro, l'Africa e il suo cinema, facendo coesistere comicità e sperimentazione, surrealismo e tragedia, documentario e finzione.
Interpreti e personaggi: Magaye Niang (Mory), Mareme Niang (Anta), Ousseynou Diop (Charlie), Christophe Colomb, Moustapha Touré, Aminata Fall, Fernand Dalfin, Omar Seck.
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