Tra Monti e Grillo
La stagione del berlusconismo si chiude con la comparsa di due fenomeni opposti e complementari: il professore distaccato e competente, e il comico antipartiti.
Due risposte (‘dall’alto’ e ‘dal basso’) alla crisi della democrazia rappresentativa.
Mario Monti e Beppe Grillo sono gli ‘attori’ politici emergenti – i più rilevanti – della politica italiana nell’ultima fase. Profondamente diversi tra loro. Anzi, opposti e inconciliabili. Tuttavia, anche se si esprimono e si muovono su piani tanto lontani, Monti e Grillo possono venire considerati, per alcuni versi, complementari e simmetrici. Interpretano, infatti, due risposte – le principali – alla crisi della ‘democrazia del pubblico’ (tratteggiata da Bernard Manin) all’italiana. Dove il rapporto con la società è mediato dalla televisione. Fondato sui sondaggi, sulla comunicazione, sulla pubblicità, sulla persona del leader. In Italia, questo modello è stato imposto da Silvio Berlusconi e riassunto, nel linguaggio corrente, nella formula del ‘berlusconismo’.
Una via che è stata imitata dagli altri partiti maggiori, compresi quelli di opposizione, i quali si sono, a loro volta, personalizzati, mediatizzati e, inevitabilmente, allontanati dalla società.
Da qualche tempo, però, il berlusconismo stenta a funzionare. In primo luogo perché la crisi economica ha reso insostenibile la distanza fra la realtà mediale e quella reale. Anche per questo i cittadini si sono stancati di essere rappresentati da figure e soggetti politici distanti dai problemi della vita quotidiana.
Il secondo motivo di declino del berlusconismo è l’inadeguatezza della classe di governo ad affrontare i problemi – sempre più gravi – del nostro tempo.
Il declino del berlusconismo, però, non ha favorito, nella misura prevedibile, l’opposizione. Sono emersi, invece, due soggetti (in parte) nuovi che interpretano due diverse risposte politiche alla crisi della democrazia rappresentativa: la prima ‘dall’alto’, l’altra ‘dal basso’.
La risposta politica dall’alto è espressa da Mario Monti. Interpreta la domanda di competenza e di autorevolezza delle classi dirigenti. È la guida del ‘governo degli esperti’, voluto dal presidente Napolitano e votato dal Parlamento, a causa dell’impotenza dei partiti, incapaci di trovare una maggioranza.
Monti non imita la ‘gente comune’, interpreta la politica senza – in qualche misura ‘contro’ – i partiti. E senza i media.
Non a caso a capo della tv pubblica ha (im)posto tecnici. Con poche esperienze televisive (suscitando il risentimento e la resistenza del PDL, per il quale la tv è tutto), Monti è l’uomo dell’emergenza. Il suo potere origina dalla crisi economica globale, ed è rafforzato dalla fiducia personale presso i mercati e i governi internazionali. Un fattore importante di consenso popolare dopo tanti anni di umiliazioni. Grillo e il Movimento 5 Stelle (M5S), parallelamente, costituiscono la risposta ‘dal basso’ ai problemi della nostra democrazia rappresentativa.
Perché l’M5S veicola la domanda di partecipazione espressa dai movimenti e dai comitati, sorti intorno a rivendicazioni locali e sociali legate ai beni comuni; perché promuove nuovi leader, perlopiù giovani, attivi nella società; perché intercetta la protesta contro ‘l’alto’. Contro le oligarchie dei partiti e contro i partiti ridotti a oligarchie. Grillo e l’M5S sono alternativi al berlusconismo, anche se ne ereditano alcuni tratti.
Anzitutto, la capacità di gestire la comunicazione e la personalizzazione. Grillo è un professionista della scena mediatica e teatrale. Ha abbandonato la televisione, è andato nelle piazze e ha sperimentato la Rete e i social network, che realizzano una comunicazione ‘orizzontale’. Servendosi della consulenza di professionisti della Rete, come Gianroberto Casaleggio. L’M5S si presenta come un nuovo modello di network politico. L’antipartito, oltre che l’antiBerlusconi: alternativo al montismo, a sua volta espressione della politica dall’alto, che risponde ai poteri economici e finanziari interni e internazionali. Monti e Grillo: sono entrambi ‘dentro’ e ‘fuori’ la democrazia rappresentativa.
Dentro. Monti, ovviamente. Perché occupa ruoli istituzionali importanti, già da molti anni. Prima e dopo l’avvento del berlusconismo. E perché la sua azione, oggi, è legittimata dai partiti e dal Parlamento degli eletti (o, meglio, dei ‘nominati’).
Grillo e l’M5S: perché agiscono sul ‘mercato politico’. Competono alle elezioni – oggi amministrative e domani legislative – per eleggere i loro candidati nelle istituzioni rappresentative. Perché danno visibilità e rappresentanza a domande politiche e a componenti sociali, altrimenti ai margini.
Fuori. Perché entrambi sono emersi ‘fuori’ dai canali tradizionali della democrazia rappresentativa, i partiti e la classe politica. Fuori dai media, gli elementi della ‘democrazia del pubblico all’italiana’.
È il Grillo-montismo.
Diagnosi e denuncia dei mali che oggi affliggono la politica e la ‘democrazia rappresentativa’. Monti ne interpreta il fondamento ‘aristocratico’, la domanda di una rappresentanza ‘migliore’ e più competente. Grillo esprime la domanda di ‘democrazia diretta’, favorita dalla Rete.
Monti e Grillo offrono, dunque, due risposte alternative ai limiti della democrazia rappresentativa. E tuttavia, parziali e instabili. Perché le istanze partecipative espresse da Grillo devono dimostrare di essere in grado di ‘governare’ e di aggregare le varie componenti e i diversi interessi della società.
Perché la ‘democrazia diretta’, veicolata dalla Rete e dai social network, fatica a garantire la regolazione della società.
Perché l’aristocrazia di governo espressa da Monti e dagli esperti deve, comunque, guadagnarsi il consenso dei cittadini, oltre a quello, incerto, dei mercati.
E il consenso dell’opinione pubblica, misurato dai sondaggi, è minacciato da scelte difficili, imposte dall’emergenza.
Mentre il consenso elettorale – l’unico che conti nelle democrazie rappresentative – dipende dalla disponibilità dei tecnici a ‘mettersi in gioco’ alle prossime politiche. In una lista nuova o tradizionale.
Un governo d’emergenza
Quello di Mario Monti non è il primo governo ‘d’emergenza’ della storia recente italiana. In condizioni di analoga, e forse ancora peggiore, crisi economico-finanziaria venne infatti nominato il ‘governo del presidente’ presieduto da Carlo Azeglio Ciampi (1993-94), primo non parlamentare a ricoprire la carica di presidente del Consiglio dei ministri. Anche in quel caso, la scelta cadde su una figura capace di rassicurare investitori e partner internazionali (europei in primis) in una congiuntura in cui lo Stato italiano era prossimo aldefaulta causa degli alti tassi d’interesse sul debito pubblico, e che godeva di ampia fiducia e grande credibilità non solo all’interno ma anche e soprattutto all’esterno del paese, e in particolar modo in Europa. Non è probabilmente un caso che la nomina di Mario Monti a capo del governo sia arrivata proprio quando il differenziale (il famigerato spread) tra i rendimenti dei titoli di Stato italiani e tedeschi era ormai prossimo ai livelli preeuro – una situazione alla lunga incompatibile con la permanenza dell’Italia nella moneta unica europea.
Riprendere il cammino delle riforme
Per certi versi, l’agenda riformatrice perseguita dal governo Monti non fa che continuare quella che Carlo Azeglio Ciampi avviò come presidente del Consiglio (nel solco aperto dal suo predecessore Giuliano Amato) e continuò come ministro dell’Economia di Romano Prodi. Molte delle misure oggi all’ordine del giorno (come la riforma del mercato del lavoro e l’abbattimento del debito pubblico) erano state infatti già prospettate nei mesi successivi all’ingresso dell’Italia nell’euro, salvo poi rimanere inattuate dopo che la cessazione dell’emergenza economico-finanziaria degli anni Novanta le aveva rese meno urgenti. Anche alcune proposte del Movimento 5 Stelle e in particolare di Beppe Grillo possono essere lette in questa chiave, sia pure in senso opposto: sostenere l’uscita dall’euro e/o la ristrutturazione del debito pubblico implica, infatti, implicitamente il rifiuto delle politiche necessarie per tenere l’Italia agganciata al ‘treno’ europeo.