TRABEAZIONE
Generalmente è il complesso orizzontale di travi che getta un ponte sugli spazi racchiusi fra gli elementi portanti- sostegni e muri- di una costruzione, e che sorregge i soffitti e i tetti. Qui va inteso però soltanto quel complesso di travi configurato architettonicamente secondo una maniera determinata e caratteristica. Un tale complesso è di decisiva importanza per l'architettura, quale chiusura superiore. Esso viene eseguito il più delle volte nella stessa forma, come t. in vista su sostegni liberi- pilastri o colonne- o come t. su pareti chiuse, benché la loro funzione costruttiva sia, nei due casi, fondamentalmente differente. In ogni architettura evoluta la composizione e l'aspetto esterno della t. hanno poco o niente a che fare con la struttura compositiva; se nondimeno questa struttura e le forme corrispondenti vengono, conservate senza eccezione, per un lungo lasso di tempo, su estesi territorî in una determinata maniera architettonica, o soltanto in minima parte modificate, ciò indica che la loro adozione non scaturisce da un impulso, né persiste per una convenzione. Tali forme, così tramandate, derivano anzi da costruzioni appartenenti a quella autentica maniera architettonica originaria, donde l'architettura in questione si è sviluppata. Una t. configurata architettonicamente in questo senso terminerà, nella maggior parte dei casi, in alto con un cornicione, e eventualmente al disopra di questo sarà visibile inoltre, il bordo del tetto. Ambedue queste parti, cornicione e bordo del tetto, appartengono sia al tetto che alla t. e vanno considerate in entrambi gli argomenti (vedi anche ordini architettonici; soffitto; tetto).
1. Egitto. - La maggior parte delle t. della grande architettura egizia consiste in travi di pietra lisce, alte, a sezione quadrata o quadrangolare (architravi), che nel loro lato esterno sono coronate in alto da un profilo caratteristico e sempre simile, consistente in un solido bastoncello cilindrico su cui si erge una gola alta e ripida sormontata a sua volta da una lastra spessa. Quando pareti chiuse sono circondate da un cornicione, questo ha la medesima forma che sulle trabeazioni. In singoli casi esso serve anche come chiusura superiore di uno zoccolo parietale. All'interno, cioè al disotto di soffitti, muri e t. sono generalmente lisci e raggiungono i soffitti senza profilo. Si riscontrano però alcune eccezioni: logicamente dove la t. nell'interno di un vano ha funzione di t. esterna di un altro vano, come, ad esempio, nell'ipostila del grande tempio di Amon, a Karnak o nel Ramesseum a Tebe. Qui la parte centrale più alta ha tre navate, mentre le laterali più basse ne hanno rispettivamente sette e tre. Il soffitto orizzontale della parte mediana poggia all'interno su due ordini di alte colonne e all'esterno su di un muro provvisto di finestre, elevato sulla t. dell'ordine più interno delle colonne più basse delle parti laterali. E su questa t. poggia, nella parte mediana, il cornicione a gola concava. L'ornamentazione di queste gole e dei bastoncelli cilindrici fa pensare, per la interpretazione del significato originario che è alla sua base, ad una derivazione dalle costruzioni primitive con paglia intrecciata. La moderna indagine ha dimostrato però come anche tali forme siano sorte in maniera più complessa, poiché il bastoncello cilindrico sarebbe stato in origine un intreccio protettivo per i fragili bordi delle pareti di argilla: per questo motivo esso non corre soltanto lungo i bordi orizzontali sotto le gole concave, ma accompagna anche verso il basso i bordi esterni. La gola concava richiama alla memoria la trave di legno che circondava la gettata di argilla del tetto a terrazza, spesso con un ordine di nervature verticali a foglie di palma sul bordo superiore dei muri.
2. Medio Oriente, Anatolia, Siria. - Nelle suddette regioni la colonna ha avuto nell'architettura esterna una importanza minima o addirittura nulla. Per conseguenza non è valida qui la definizione espressa più sopra nei riguardi della trabeazione. Non si può pensare l'architettura achemènide in Persia, senza l'architettura ionica arcaica dei Greci in Oriente. Ma poichè quest'ultima è la più chiara, la più logica, la più ricca e anche la più importante, limitiamo ad essa questo commento, e altri se ne troveranno sotto la voce soffitto.
3. Creta e Micene. - Benché le raffigurazioni delle facciate di costruzioni cretesi e il rilievo della Porta dei Leoni a Micene ci mostrano sulla colonna raffigurata le basi di travi di legno disposte a distanza molto ravvicinata (v. soffitto), non si ritrova nulla della t. formalmente strutturata secondo il nostro concetto. Per quanto sicura sia l'affinità della posteriore colonna dorica dei Greci con le colonne dell'architettura micenea, la t. dorica non si può far risalire a forme micenee.
4. Grecia. - Durante il VII sec. a. C. i Greci, pur conservando la loro maniera architettonica originaria, impiegano un materiale nuovo- la pietra- almeno per le esigenze della costruzione monumentale dei templi. La forma classica raggiunta attraverso un secolo e mezzo o due di evoluzione, e in cui tutte le parti erano disposte in armonica successione era così compiuta e convincente, da esercitare una influenza universale e duratura e diventare fino ai nostri giorni un concetto permanente. Questa forma architettonica appare in due differenti forme, la dorica e la ionica; ognuna ha la sua propria genesi e le sue proprie forme, ma penetrano in periodi differenti e in differenti circostanze. Benchè il concetto non sia particolarmente felice, per ragioni di brevità si parlerà in seguito in maniera comune dello stile dorico e dello stile ionico. Il campo di espansione di ognuno di questi stili non corrisponde precisamente ai luoghi dove dimoravano i popoli di cui essi portano il nome, ma fu determinato piuttosto in maniera regionale. Così prevalse lo stile dorico nella madre patria e nel territorio delle colonie occidentali, mentre si costruì piuttosto in stile ionico in Oriente, nelle isole dell'Egeo e nell'Asia Minore. Ambedue gli stili derivano dalla maniera architettonica usata originariamente nel proprio territorio. Essi erano naturalmente legati, nella loro evoluzione, alle influenze ivi esistenti di più antiche civiltà e ne traevano qualche elemento riconoscibile, ma trasformato in maniera indipendente e caratteristicamente greca. Accanto a questi due stili equivalenti e, potrebbe dirsi, nati in maniera naturale, ne apparve un terzo, il cosiddetto corinzio. Altra è la genesi di quest'ultimo: esso deve la sua origine alla intenzione artistica di arricchire e di accentuare l'architettura in alcuni punti in maniera particolare. Esso non è, per conseguenza, un sistema architettonico compiuto, ma anzitutto una nuova forma di colonna congiunta alla t. ionica.
Poiché il tipo del tempio greco è lo stesso nel campo dell'architettura dorica e in quello della ionica, esso deve risalire ad una radice comune alle diverse popolazioni prima che esse, attraverso le migrazioni, prendessero altrove stabile dimora. Il perfezionamento formale delle diverse parti avvenne in maniera diversa soltanto nelle nuove regioni.
La costruzione lignea originaria si riconosce più agevolmente nella forma in pietra della t. ionica che in quella dorica. Nella t. ionica originaria si seguono regolarmente tre parti, dal basso verso l'alto: l'architrave, come una trave che getta un ponte sui vani intermedî fra le colonne, la dentellatura, in cui indubbiamente si perpetua il ricordo dei leggeri travicelli del soffitto collocati a breve distanza l'uno dall'altro, e il gèison, in forma di cornicione aggettante. Al disopra si trova la sima, che appartiene al tetto. Sull'architrave e fra la dentellatura e il gèison, è inserito un kymàtion ionico, generalmente scolpito in forma di ovuli, e spesso anche la fronte del gèison è analogamente decorata in alto, sotto la sima. Il tetto che ricopriva tale t. era originariamente piatto, e si identificava col soffitto. I templi dorici hanno adottato il tetto inclinato (v. tetto). Similmente alle colonne, anche gli elementi della t. ionica sono sottili e derivano dai travicelli di legno altrettanto leggeri. Poichè per sostenere la terrazza del tetto l'architrave doveva essere più robusto, esso veniva composto da un fascio di travi leggere, e ciò si osserva ancora nella sua struttura nella costruzione in pietra: sul lato esterno due o tre fasce lisce alquanto aggettanti l'una sull'altra, e tre fasce anche sul lato inferiore; due scanalature esterne, lisce e, fra queste, un poco infossato, il soffitto.
Lo sviluppo dello stile ionico fu interrotto dalla repressione della insurrezione ionica nel 495 a. C. e la conseguente distruzione delle città principali da parte dei Persiani, e ostacolata poi al massimo fino alla liberazione dei Greci orientali, operata nel IV sec. da Alessandro il Grande. Esistono perciò soltanto avanzi molto frammentarî dell'architettura ionica arcaica del territorio originario, mentre solo del tardo periodo classico si hanno più compiute nozioni. Il successivo sviluppo, si ricollega, in sostanza, al punto dove era stato interrotto, e l'esempio classico del tempio di Atena a Priene può venirne considerato il prototipo. L'impiego dell'arte ionica nella madre patria non soffrì di una analoga interruzione. Troviamo in questo caso, a seconda dei luoghi e dei tempi, una speciale trasformazione della t. ionica: sull'architrave venne adottato, forse sotto l'influenza dorica, un fregio avente circa la medesima altezza di esso, mentre per conseguenza la dentellatura veniva soppressa. La divisione della t. in tre parti viene mantenuta, ma l'ordine è il seguente: architrave- fregio- gèison. Poiché prevale questa disposizione nelle costruzioni ioniche del V sec. ad Atene, essa viene per lo più indicata come attica. Ma proprio ad Atene, nell'Eretteo dell'Acropoli, si riscontra nella t. della Loggetta delle Cariatidi la disposizione ionica dell'Asia Minore, con la dentellatura e senza fregio, mentre le t. maggiori della costruzione principale e della loggia settentrionale sono composte alla maniera attica. Coll'andare del tempo e forse sotto l'influenza attica, anche in Asia Minore penetra il fregio nella trabeazione ionica, ma la dentellatura viene qui conservata.
Ne troviamo una forma indipendente primitiva con un fregio basso a fascia, fra il 280 e il 260 a. C., nella t. del naìskos, nel grande tempio di Apollo a Didyma. Circa un secolo più tardi appare il fregio sviluppato in tutta la sua altezza nella t. del tempio di Magnesia sul Meandro. Questa è la costruzione dell'ellenismo evoluto, che penetra nell'architettura romana e che, descritta anche da Vitruvio, serve da modello per le t. di stile ionico conservate nel tempo moderno.
Le parti che compongono la t. dorica sono più possenti e si adattano alle colonne più robuste. L'architrave è una trave alta e liscia, formata, per le dimensioni maggiori, di due o tre file di pietre, ma sempre in un unico strato. Nel suo bordo superiore, all'esterno, esso porta la tenia, una fascia liscia e aggettante, alla quale spesso corrisponde, all'interno, una fascia meno sporgente. Segue, al disopra, un fregio di altezza pressapoco eguale, formato di elementi verticali, i triglifi, inframmezzati di parti alquanto rientranti, le metope. Secondo una rigida regola, vi è sempre un triglifo sulle colonne, e uno fra ciascuna di esse, sì che nell'angolo della t. si trova sempre un triglifo. Se questo, come in alcune t. antiche; corrisponde nella larghezza (t) allo spessore dell'architrave (a) la ripartizione del fregio sarà regolare per l'equidistanza delle colonne fra loro. Ma se, come si riscontra nella massima parte delle t. del periodo arcaico, e in tutte quelle del periodo classico, i triglifi sono più sottili dello spessore dell'architrave, ne deriva un conflitto nella forma. Per mantenere l'ultimo triglifo all'angolo del fregio e l'intervallo simmetrico fra le colonne, l'ultima metopa deve essere più grande e precisamente nel rapporto di a-t 2???. Il fregio diventa dunque irregolare. Nel periodo arcaico vi sono state effettivamente delle t. simili, ma l'effetto era in verità poco soddisfacente. La ripartizione del fregio era molto appariscente, e ancora più accentuata e visibile per la forte colorazione data alle singole parti; ad esempio, i triglifi erano neri o azzurro cupo e le metope chiare. Si cercò quindi di raggiungere una regolare ripartizione del fregio, che si poteva ottenere mediante una contrazione nella disposizione delle colonne agli angoli, proprio nel rapporto a-t 2???. Se mediante questo metodo, l'armonia dell'intero edificio in tutte le costruzioni classiche, in alcune circostanze, attraverso una leggera differenziazione e variazione che raddolcisce le distanze dei triglifi fra loro, viene raggiunta, non va trascurato che, secondo la nostra moderna conoscenza, la contrazione angolare della disposizione delle colonne si sviluppò indipendentemente dal suo effetto sulla ripartizione del fregio.
Sopra il fregio è collocato il gèison, fortemente aggettante. Esso è tagliato a sghembo nel suo lato inferiore e ha per lo più sul fronte un gocciolatoio molto evidente. La sua parte inferiore è composta in maniera corrispondente alla ripartizione del fregio: sono in essa delle lastre lavorate larghe e piane, i mutuli, separati fra loro mediante spazi sottili, le viae. Sopra ogni triglifo e ogni metopa si trova regolarmente un mutulus. I mutuli portano nella loro parte inferiore lavorate o, se si tratta di pietra più scadente, inserite, le cosiddette gocce (guttae), di forma cilindrica o leggermente conica, disposte secondo il canone classico in tre ordini di sei ciascuno, paralleli ai bordi del cornicione. A questa ripartizione del cornicione ne corrispondeva una simile sull'architrave. Qui, sotto la tenia vi è, sotto ogni triglifo, ma non sotto le metope, una breve fascia, la regula, che porta anch'essa, sul lato inferiore, sei gocce della specie più sopra descritta. Queste regulae hanno, come tutti i mutuli, la medesima larghezza dei triglifi, e poiché mutuli, triglifi e regulae hanno anche il medesimo colore, il loro effetto è chiaramente armonico. Grazie al dimezzare degli intervalli, il ritmo viene raddoppiato: dalla base delle colonne al fregio e dal fregio al geison. La t. dorica che abbiamo descritto corre regolarmente nel tempio periptero lungo i quattro làti, e quindi anche sotto il frontone. Il gèison del frontone sul timpano si interseca agli angoli col gèison orizzontale e nel suo lato inferiore è liscio.
Questo tipo normale di t. dorica descritto può presentare parecchie varianti. Nell'Italia meridionale e in Sicilia esse avvengono da un lato, perché nel periodo arcaico la parte superiore era rivestita di lastre di terracotta colorata, ciò che non soltanto aumentava la ricchezza delle forme, ma anche, in particolare, cambiava l'ordine delle parti nel cornicione. Dall'altro lato penetravano nella t. vera e propria delle forme ionichè, come si riscontra in maniera caratteristica nei templi arcaici di Paestum e nell'Heraion alla foce del Sele. Qui le tenie dell'architrave e le loro regulae vengono sostituite da kymàtia ionici che si ripetono sopra il fregio. Conseguentemente anche il gèison viene trattato in maniera differente. Non si conosce quello della cosiddetta Basilica di Paestum, ma nel cosiddetto tempio di Cerere, attribuito ora ad Atena, esso è formato, invece che di mutuli e di viae, di cassettoni regolarmente disposti; nel tempio di Hera al Sele l'intero geison è sostituito da kymàtia ionici, cui sovrasta immediatamente la sima.
Questo tipo di t. costruita senza gèison deve, alle prime, apparire come inattesa ed arbitraria. Si può dimostrare però, sia pure presentemente mercé una semplice congettura, che si deve soltanto ad una fortuita conservazione dei monumenti se tale t. sia isolata per noi (v. tetto).
Anche la t. dorica si è sviluppata dalla onginaria costruzione in legno. In contrapposto alla t. ionica, le forme compiute dell'architettura in pietra non si possono però riportare in maniera inequivocabile al loro significato primitivo. Non si è raggiunta ancora quindi fra gli studiosi una identità di vedute. Già nell'antichità sorsero a questo proposito due teorie: Vitruvio (iv, 2) a ragione ne respinge una. Questa, secondo cui i triglifi dovrebbero essere considerati come imitazioni di finestre fra le metope, è infatti inammissibile, benché abbia trovato fino ad oggi sempre dei sostenitori. L'altra teoria, ammessa da Vitruvio, viene ancora oggi generalmente accettata, ed è stata recentemente patrocinata con validi argomenti. Secondo questa, i triglifi sarebbero le testate delle travi pesanti del soffitto, rivestite nella loro superficie esterna di speciali tavolette. (Una variante di questi offre motivo di supporre che queste grosse travi siano costituite da tre panconi collocati con i bordi in alto verticalmente l'uno accanto all'altro, le cui fronti fornivano la forma assunta dai triglifi). Un'altra teoria oggi ammessa vede nel fregio dorico la riproduzione di una sorta di travatura che, composta come un alto sostegno, funziona da ponte sui vani intermedi fra le colonne. Tale concetto ha trovato la sua conferma nella t. dell'antichissimo thesauròs dell'Heraion al Sele, in cui la struttura portante era realmente costituita, all'altezza del fregio, da una travatura lignea che, mediante lastre di arenaria all'esterno, assumeva l'aspetto di un fregio dorico. Poiché non è possibile commentare tali teorie, che esigerebbero una critica più approfondita, sarà necessario consultare la bibliografia annessa.
Già dall'inizio, la t. ionica conteneva nei suoi kymàtia elementi ornamentali dotati di una legittima possibilità evolutiva propria, e che serbavano a questa forma di t. un carattere di adattabilità e di eventuale trasformazione nel mutare delle esigenze. Il fregio adottato più tardi nella t. ionica giunta ad uno stadio di compiutezza, può considerarsi esso stesso come parte ornamentale e viene particolarmente prescelto quale sede di decorazioni figurative o ornamentali. La t. dorica è sempre aderente al suo rigore tettonico. Nella t. quindi potrebbe venir eseguita una più ricca decorazione soltanto sulle metope, su quelle parti cioè che non hanno una funzione tettonica. Se si riscontrano dei rilievi nell'architrave dell'unico tempio dorico arcaico che si conosca, in Asia Minore, quello di Assos, questo caso mostra vieppiù chiaramente, nella sua singolarità, quanto non sia dorica una tale decorazione.
Nel periodo arcaico l'unione di elementi dorici e ionici in una stessa t. avviene attraverso la fusione di influenze autentiche. La sua presenza- esistente quasi esclusivamente per indizî- nell'Atene classica del V sec., è dovuta al cosciente riassunto dell'intero patrimonio spirituale dei Greci. Dal II sec. a. C. in poi, nel passaggio dell'architettura durante l'ellenismo, a temi profani, la fusione avviene sempre più spesso. Essa significa semplicemente un arricchimento e una possibilità di variazioni nei portici e nei portali, che sempre più numerosi dominavano sulle piazze e sulle strade, nel panorama delle città.
5. Roma ed Etruria. - Nell'architettura romana gli elementi italico-etruschi vengono man mano trasformati mediante l'influenza greca, che nel corso dell'evoluzione li eliminò largamente. Non si possono immaginare le colonne e le trabeazioni, nelle loro configurazioni senza riandare a quelle greche. Anche qui si trovano chiaramente, l'uno accanto all'altro, i tre ordini di colonne. Mentre però nell'architettura greca la colonna corinzia viene usata con parsimonia e non sorse per essa una t. propria, nell'architettura romana il suo uso prevalse ben presto sulle altre, a causa del suo effetto spiccatamente ornamentale; la t. dové necessariamente uguagliarne il carattere, e ciò avvenne con una più ricca decorazione e soprattutto con l'aggiunta di mensole al cornicione soprastante. La parte inferiore del gèison veniva arricchita, fra le mensole, di cassettoni, e i contorni scolpiti delle mensole trovavano il loro completamento nella cornice lavorata dei cassettoni. Anche nelle parti inferiori degli architravi i cosiddetti soffitti stretti si ampliano spesso in rettangoli a formare cassettoni con decorazione più o meno ricca, con un uso che è particolarmente caratteristico dell'architettura flavia. Il bisogno di creare, nelle composizioni, accostamenti e contrasti, condusse alla trovata del capitello composito, che rassomiglia al corinzio, e pertanto se ne discosta soprattutto a causa della sua massa più compatta. La t. relativa corrisponde, nel suo principio, a quella corinzia. In facciate composte di diversi elementi, di cui un esempio particolarmente significativo è offerto dagli archi trionfali, la t. poggia spesso su semicolonne, o, con effetto anche più ricco, sopra colonne distaccate poste dinanzi alla parete, aggettando come testate di travi. Simili testate della t. hanno una larghezza proporzionata alle dimensioni delle colonne, sono completamente provviste di tutta la cornice e sostengono generalmente figure dinanzi alla parete retrostante distanziata.
Per mezzo della ricca decorazione le membrature superiori della t. vengono ad acquistare maggior peso rispetto all'architrave, per cui si cercò di scaricarlo. Questo scopo fu raggiunto di frequente per mezzo di una giuntura a cuneo dei blocchi del fregio che perciò veniva a costituire sopra all'architrave un arco piano.
Permangono, accanto a questo, gli ordini ionico e dorico. Lo ionico conserva il fregio derivante dall'ellenismo orientale, il dorico corrisponde generalmente al greco. Ciò vale però soltanto secondo un criterio generale: ad una indagine più approfondita, le singole parti nonché l'intero complesso della t. mostrano chiaramente il loro impiego soltanto esteriore, che ha perduto nella sua espressione ogni nesso con l'origine di questi elementi, più sopra descritta. Nell'ellenismo greco le forme plastiche vive originarie si irrigidiscono in figure geometricamente astratte; rimane sempre però qualche traccia della loro antica potenza espressiva. In Italia, accanto alla disposizione dorica vi fu ancora una variante, la cosiddetta tuscanica. Malgrado ogni differenza, essa è legata, nella colonna, a quella dorica, né si potrebbe immaginare senza di questa. La t. è dorica, ma può venir collocata anche la t. ionica sulle colonne tuscaniche. Nell'architettura etrusca non si può parlare di forme caratteristiche di trabeazione. Gli architravi lignei originarî sembrano essere stati semplicemente lisci, forse rivestiti di lastre di terracotta e collegati da fregi, di terracotta anch'essi. Il tutto è sovrastato dalla ricca struttura del tetto (v. tetto). Se pure la colonna tuscanica ha trovato una corrispondenza nelle colonne lignee etrusche, i monumenti mostrano nelle colonne, nei fusti, nei pilastri, anche una molteplice influenza greca. Alcune parti dei sarcofagi indicano come questa influenza abbia agito anche sulle trabeazioni. Quando, nel corso della storia, tutta l'Italia si trovò sotto l'influenza di Roma, nell'architettura difficilmente vi saranno stati dei contrasti notevoli.
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