Tradizioni ecclesiastiche, culto e teologie russe
Il Constantinus Orthodoxus in Russia nei secoli X-XV e la ricezione del Constitutum
Questo contributo presenta la storia del mito ortodosso su Costantino il Grande nella letteratura teologica, encomiastica e annalistica russa dalle origini fino a tutto il Quattrocento; nello stesso tempo è offerto un resoconto della ricezione del Constitutum Constantini fino all’inizio del XIX secolo.
La fortuna della figura di Costantino in Russia nell’arco cronologico qui preso in esame comprende due fondamentali periodi, da una parte, quello kieviano (secoli X-XII), dall’altra, quello della dominazione tartaro-mongola e dell’ascesa di Mosca (secoli XIII-XV). L’influenza bizantina è decisiva per la fortuna dei motivi costantiniani nelle terre slave orientali. Analizzando i monumenti degli scrittori russi, prodotti prima del Cinquecento, si evince che Costantino è conosciuto fondamentalmente secondo i tratti canonici dalle narrazioni agiografiche greche. Nella Rus’ egli è noto come il basileus del ciclo silvestriano: si tratta del Constantinus Orthodoxus della tradizione bizantina. La rappresentazione del primo imperatore cristiano come figura agiografica e non storica ha influenzato il pensiero ecclesiastico e politico russo. La diffusione del mito ortodosso su Costantino riguarda non solo la produzione letteraria e le dispute ecclesiastiche (teologiche e giuridiche), ma soprattutto il rapporto tra potere temporale e spirituale (specialmente in relazione al Constitutum Constantini).
Pur se debitrice alla mediazione greca negli aspetti fondativi del mito, la tradizione ecclesiastica russa sviluppa forme di ricezione originali delle vicende costantiniane e del ciclo silvestriano. Nel periodo più antico, la trattazione storiografico-letteraria della figura di Costantino è legata alla cristianizzazione della nazione russa. Nell’immaginario ecclesiastico, letterario e teologico di questo periodo, Vladimir I Svjatoslavič (960-1015 circa), sotto il regno del quale la Rus’ riceve il battesimo dai greci, è paragonato all’imperatore romano. Gli scrittori dell’XI e XII secolo vedono un chiaro parallelismo tipologico con il gran principe di Kiev. Le conseguenze della conversione di Costantino per il mondo tardoantico sono considerate simili a quelle verificatesi nella Rus’ del X secolo all’indomani del battesimo di Vladimir: con la sua scelta il sovrano russo ha salvato il suo popolo dal paganesimo.
Durante la fase storica successiva, corrispondente al periodo del riscatto russo dal giogo tartaro, iniziato con la battaglia di Kulikovo Pole nel 1380, e terminato esattamente cento anni dopo con il confronto presso il fiume Ugra, il riferimento a Costantino è fatto per celebrare la vittoria degli ortodossi sugli infedeli. Il gran principe Dmitrij Ivanovič Donskoj (1350-1389), sconfiggendo Mamaj, si mostra come novello Costantino poiché anch’egli vince affidandosi alla croce e confidando nella fede ortodossa. Stesso paragone è instaurato nei confronti di Ivan III Vasil’evič (1440-1505) che nel 1480 fa recedere il nemico dall’ennesimo tentativo d’invasione, liberando così definitivamente la Rus’ dal pagamento del tributo e dalla dominazione straniera.
La mutata realtà politica ha ripercussioni anche sulla fortuna del tema costantiniano. Il periodo compreso tra la fine del Quattrocento e i primi decenni del Cinquecento è di fondamentale importanza per capire la storia del ciclo silvestriano in Russia, sia in ambito ecclesiastico, sia giuridico, sia letterario. Il complesso, multiforme e originale processo di ricezione del Constitutum, sulla cui autenticità, a differenza di quanto accade in Occidente, non si dubita fino all’inizio del secolo XIX, diventa lo snodo attorno al quale gravita la dialettica tra potere spirituale e temporale.
La fortuna del Constitutum Constantini in Russia si spiega con le particolari circostanze storiche che influenzano la civiltà russa nella seconda metà del XV secolo: l’unione tra la Chiesa ortodossa greca e quella latina, preparata dal concilio di Ferrara-Firenze (1437-1445) e sancita in circostanze tragiche il 12 dicembre 1452, la successiva caduta di Costantinopoli e l’ascesa della Russia a potenza cristiana rappresentano il presupposto storico per l’affermarsi di una nuova ideologia, quella di ‘Mosca Terza Roma’. Nell’immaginario ecclesiastico russo di fine Quattrocento, la fine dell’Impero bizantino è considerata una punizione divina per aver rinnegato la vera fede con la sottoscrizione dell’unione con il papato romano. La disfatta greca ha conseguenze gravissime per la Chiesa: gli ortodossi sono ora privi di un imperatore, condizione prima inconcepibile. Il vuoto lasciato dal potere imperiale bizantino nella coscienza ecclesiastica russa è colmato dall’aspirazione a una missione escatologica della nazione.
In Russia l’esigenza di ridare un impero alla Chiesa trova nel ciclo romano-bizantino di Costantino il pensiero trainante. La polemica antilatina e la crescente consapevolezza di essere l’unica nazione indipendente a essere rimasta custode dell’ortodossia s’intrecciano con il Constitutum Constantini. Dall’inizio del XVI secolo fino a tutto il XVII, il documento è utilizzato come testo di riferimento per impostare i rapporti tra Stato e Chiesa che in Russia sono tradizionalmente influenzati dal principio bizantino della sinfonia tra potere temporale e spirituale.
Dal XVIII secolo il mito agiografico-religioso di Costantino è sottoposto a un graduale processo di laicizzazione, a causa delle mutate condizioni storiche. Pietro il Grande dà inizio a una riforma ecclesiastica che porterà in pochi anni all’abolizione del patriarcato (1721). Il mito costantiniano è svuotato della sua dimensione sacralizzante ed è ora utilizzato a soli fini encomiastici: lo zar è celebrato come novello Costantino per le sue vittorie militari e per aver fondato anch’egli una nuova città, San Pietroburgo, nuova capitale dell’Impero. Le sorti del Constitutum in Russia sono ormai segnate: nel 1805 giunge la condanna definitiva da parte del metropolita di Mosca Platon Levšin che ne denuncia la falsità, definendolo un documento «mostruoso»1.
In uno studio dedicato al mito di Costantino il Grande nella tradizione della Chiesa russa non si può prescindere dall’eredità manoscritta in lingua slava ecclesiastica antica. Le versioni della letteratura costantiniana bizantina nella lingua dotta degli slavi ortodossi, redatte tra il X e il XIV secolo, hanno un peso fondamentale nella formazione di questo mito. Esse rappresentano le fonti primarie sulla base delle quali sono recepite in area slava orientale non solo le tradizioni agiografico-letterarie, ma anche la rappresentazione storica del passato. Anche se la maggior parte di queste traduzioni è di origine slava meridionale, bulgara e serba, il corpus dei testi è tuttavia conservato quasi esclusivamente in manoscritti prodotti in area slava orientale.
Rispetto a quanto trasmesso nelle fonti manoscritte greche e latine, il repertorio ecclesiastico in lingua slava antica su Costantino è limitato: si tratta di una selezione di titoli, corrispondenti al principale materiale agiografico medio bizantino sul primo imperatore cristiano. Fonti puramente storiche, prive di contaminazioni leggendarie, sono sconosciute alla Rus’. La selezione di testi costantiniani tradotti dal greco in slavo antico influenza tutta la successiva storia della ricezione del mito in area slava orientale. L’uomo medievale russo ha una rappresentazione di Costantino che corrisponde fondamentalmente a quanto recepito dalla mediazione bizantina del periodo post iconoclasta.
Alla tradizione slava ecclesiastica e a quella russa è rimasto estraneo il più noto testo della tarda antichità dedicato all’imperatore: la Vita Constantini di Eusebio di Cesarea2. Il motivo di tale omissione non consiste nella presunta assenza nella Rus’ di strumenti culturali idonei ad assimilare un simile testo che, secondo l’opinione diffusa, sarebbe stato troppo complesso per essere recepito3. È più probabile, invece, che l’esclusione della Vita dal repertorio slavo ecclesiastico e di conseguenza russo, sia legata a motivi di ordine confessionale. Eusebio di Cesarea era sospettato di arianesimo: a Bisanzio, come sostenuto dal patriarca Germano di Costantinopoli (715-730), i suoi scritti erano collocati non accanto a quelli degli ortodossi, bensì tra quelli degli eretici4. Conseguentemente, la Vita Constantini ha conosciuto una circolazione limitata in greco e nelle letterature orientali di credo ortodosso5.
Questa circostanza spiega l’assenza del testo in tradizione slava. Pertanto, pur se l’esaltazione dei sovrani presso gli slavi è indubbiamente debitrice al modello costantiniano, è tuttavia priva di fondamento anche un’altra ipotesi, secondo cui la Vita Constantini andrebbe considerata come principale collezione di formule retoriche e di giustificazione dottrinaria a disposizione degli slavi ortodossi per la creazione di opere agiografiche originali6. Le fonti greche del modello costantiniano, utilizzate dagli slavi, vanno in realtà cercate altrove, ossia nel repertorio dei testi del canone agiografico bizantino.
Sin dall’epoca di Girolamo, gli ecclesiastici erano a conoscenza del fatto che a battezzare Costantino fu il vescovo ariano Eusebio di Nicomedia (morto nel 342), anche se questo particolare è taciuto da Eusebio nella Vita Constantini7. Un riferimento al battesimo ariano è rintracciabile nei monumenti degli scrittori della Rus’ solo nei termini di una menzogna, diffusa dagli eretici, secondo quanto affermato nella versione slava8 della Vita Constantini et Helenae9, ampiamente diffusa in area slava orientale10.
La scomoda eredità del battesimo nicomediense è così giunta in Russia unicamente per via indiretta, attraverso la mediazione agiografica greca. Si può quindi dire che nelle terre slave orientali l’intento ortodosso di cancellare la memoria del battesimo conferito dal vescovo di Nicomedia11 sia stato pienamente raggiunto.
Da un punto di vista redazionale, la versione slava della Vita Constantini et Helenae è vicina al testo greco pubblicato da Michelangelo Guidi12. La storia della tradizione manoscritta è stata oggetto solamente di ricerche preliminari13: non è pertanto ancora possibile stabilire con certezza l’epoca e il luogo della traduzione. La storia del testo appare complessa anche perché dal XV secolo la versione circola non solo nelle collezioni agiografiche e nei menologi14, ma anche nei corpora cronachistici originali russi (Letopisec Ellinskij i Rimskij, Russkij Chronograf 1512 goda, Licevoj letopisnyj svod)15. Un’edizione impostata su basi critiche è stata pubblicata solo di recente16.
La versione slava degli Actus Silvestri rappresenta il secondo veicolo di informazioni sulle vicende costantiniane, diffuso nella Rus’. Del testo esiste un’edizione diplomatica17, ma ricerche sulla tradizione manoscritta devono ancora essere prodotte18. È verosimile ipotizzare che esso sia stato tradotto da un modello greco, vicino alla redazione pubblicata da Combefis19.
La traduzione slava ecclesiastica della Cronaca di Giorgo Hamartolos è l’unica opera storica bizantina, contenente notizie su Costantino, a essere attestata in tradizione slava orientale20. Un destino diverso ha avuto la narrazione di un altro celebre cronachista, Giovanni Malalas: in lingua slava non è noto il XIII libro della sua Cronaca, dedicato all’imperatore21. Per quanto riguarda invece la Cronaca di Giovanni Zonara, sembra che la versione slava ecclesiastica non abbia avuto diffusione in Russia, poiché tutti i codici della versione integrale sono di origine slava meridionale (serba)22.
Oltre ai testi sopra elencati, la tradizione russa conosce la versione slava ecclesiastica degli inni liturgici bizantini23 e delle brevi memorie agiografiche del sinassario bizantino su Costantino ed Elena24 (21 maggio25 e 14 settembre26) e su papa Silvestro (2 gennaio27).
Al repertorio agiografico appartengono anche le traduzioni della Visio Constantini28 e della Vita Silvestri di Giovanni Zonara. Quest’ultima è tradotta da Andrej Kurbskij (1528-1583) intorno all’anno 1579 dall’edizione a stampa latina del 1575, dove l’opera è erroneamente attribuita al Metafrasta29. La versione slava ecclesiastica, redatta dal greco e di origine slava meridionale, non sembra invece conoscere diffusione in Russia30.
Il più importante testo costantiniano tradotto in slavo ecclesiastico è il Constitutum Constantini. Un approfondito studio critico, linguistico e paleografico dei testimoni manoscritti, contenenti questa versione, non è stato ancora compiuto. Pur in mancanza di una dettagliata indagine sui prototipi, è possibile affermare che la versione slava ecclesiastica integrale del Constitutum Constantini sia stata prodotta sulla base della traduzione greca, a sua volta realizzata, a quanto pare, da Demetrio Cidone (1324-1398), durante il suo primo viaggio in Italia (1369-1371)31.
La tradizione manoscritta mostra l’esistenza di due redazioni di origine slava meridionale (presumibilmente serba la prima, e bulgara la seconda), entrambe databili alla fine del XIV secolo32, ma conservatesi solo in apografi russi. Il più antico testimone completo della prima33, che rappresenta una traduzione fedele del testo greco34, è il codice giuridico del Museo storico di Stato (Gosudarstvennyj istoričeskij Muzej) di Mosca, coll. Muz. n. 1009 del primo quarto del XV secolo35; per la seconda, che è invece caratterizzata da alcune differenze rispetto all’originale, abbiamo un manoscritto della Biblioteca di Stato russa36, dove il Constitutum Constantini è inserito all’interno di una collezione di libri dell’Antico Testamento37.
Al primo terzo del XVI secolo risalgono invece testimoni manoscritti, contenenti una terza versione che è il risultato della contaminazione delle prime due38. Questa redazione è la più diffusa in Russia ed è inserita nell’edizione a stampa del Nomocanone russo (Kormčaja kniga) del 165339.
Oltre alla versione completa del Constitutum Constantini, in tradizione slava ecclesiastica esistono anche traduzioni della sola donazione all’interno dei Commentari di Teodoro Balsamone (1130/1140-1195 circa) al Nomocanone in XIV titoli e del Syntagma alphabeticum di Matteo Blastares (morto nel 1346), tradotti in Serbia40. La prima tuttavia non è tuttavia giunta in Russia, mentre la seconda è nota solo dalla seconda metà del XVII secolo e ha una circolazione limitata41.
Dopo un breve resoconto sulla diffusione della letteratura costantiniana bizantina nella Rus’, è necessario passare all’analisi delle fonti originali russe di contenuto letterario, storico, encomiastico e teologico. La prima categoria di testi, ossia quelli di traduzione, rappresenta un elemento di continuità con il mondo bizantino, poiché con esso sono condivisi medesimi temi e contenuti. La seconda categoria, quella dei testi originali, permette invece di rivelare le peculiarità della ricezione slava orientale: grazie allo spoglio di queste opere si può cogliere appieno la specificità della rappresentazione del mito costantiniano in Russia e la ricorrenza dei motivi che, nella maggior parte dei casi, tendono a essere ripresentati a distanza di secoli dal loro primo utilizzo.
Di seguito è presentato il materiale della letteratura kieviana dell’XI-XII secolo, dove si rintracciano riferimenti alla figura di Costantino. Si tratta di tre opere fondamentali della letteratura russa: il Discorso sulla legge e sulla grazia (Slovo o zakone i blagodati) di Ilarion di Kiev, la Memoria ed elogio del principe russo Vladimir (Pamjat’ i pochvala knjazju russkomu Volodimiru) del monaco Iakov e il Racconto degli anni passati (Povest’ vremennych let) di Nestor.
Dal punto di vista della presente analisi, in tutti questi testi il motivo costantiniano ricorrente è quello del parallelismo instaurato tra Vladimir I Svjatoslavič e l’imperatore romano. Non si tratta del primo caso d’identificazione di un neoconvertito sovrano slavo con Costantino. Questa tradizione, inaugurata da Fozio, che a suo tempo aveva paragonato Boris I di Bulgaria all’antico basileus42, è immediatamente accolta dalla tradizione cirillo-metodiana. Nel XIV capitolo della Vita di Costantino il Filosofo, a Rastislav di Moravia è riservato il medesimo onore per aver rafforzato la fede cristiana con il sostegno dato alla nascita della letteratura ecclesiastica slava43.
Come nel caso dei suoi predecessori, il merito di Vladimir consiste nell’aver confermato il cristianesimo nel proprio regno e nell’aver compiuto una missione apostolica44. Sua nonna Ol’ga aveva ricevuto da mani greche l’unzione ed era stata battezzata con il nome di Elena in onore della madre di Costantino (957). Solo con Vladimir, tuttavia, l’intera Rus’ riceve il battesimo (987/988). Conseguente è quindi per la tradizione ecclesiastica russa l’instaurazione di un parallelismo tipologico tra Vladimir e Costantino, da una parte, e Ol’ga ed Elena, dall’altra. La più evidente conseguenza di tale accostamento sarà in seguito rappresentata dallo sviluppo dalla fine del XIII secolo del culto di Vladimir e Ol’ga, che saranno considerati, al pari dei loro insigni precursori, santi ed eguali agli apostoli (ravnoapostol’nye), nonostante la tradizione non abbia lasciato tracce di un avvenuto processo di canonizzazione45.
L’emulazione di Costantino da parte di Vladimir e quella di Elena da parte di Ol’ga rappresenta un tema che non viene abbandonato nei secoli successivi. Testimonianza di questo è data non solo dai testi del cosiddetto ‘ciclo di Kulikovo’, analizzati qui nel capitolo successivo, ma anche da tutta la letteratura devozionale, dedicata a Ol’ga. Il dossier agiografico russo antico sulla prima principessa cristiana di Kiev è ricco: esso comprende una Memoria breve nel Sinassario russo (Prolog), nota in tre redazioni differenti (la più antica è testimoniata dal XIII secolo), e una Vita ampia, inserita nel Libro dei gradi (Stepennaja kniga), monumento storico-letterario moscovita del XVI secolo (1560-1563)46. A questi si aggiunga un altro testo, risalente al periodo pre-mongolo, il Canone sulla dormizione della santa principessa Ol’ga (Kanon na uspenie prepodobnya knjagini Ol’gi), opera di Kirill Turovskij (1130-1182 circa)47.
Vladimir novello Costantino nel Discorso di Ilarion di Kiev
Il Discorso sulla legge e sulla grazia è tradizionalmente considerato come il più antico testo originale della letteratura russa. L’autore è identificato con Ilarion, primo metropolita russo di Kiev, consacrato nel 1051 sotto il regno di Jaroslav Vladimirovič il Saggio (978-1054)48. Dall’argomentazione di Ilarion emerge che Vladimir, con il concorso dei vescovi russi, si comporta nei confronti del neoconvertito popolo russo come Costantino il Grande che, con l’aiuto dei padri al concilio di Nicea, aveva stabilito la legge. L’imperatore ha sottomesso a Dio il regno dei greci e dei romani, mentre Vladimir la Rus’. Costantino, con l’aiuto della madre Elena, ha affermato la fede cristiana con la traslazione da Gerusalemme della reliquia della croce, diffondendola in tutta l’ecumene. Simili a costoro si mostrano Vladimir e sua nonna Ol’ga: dalla nuova Gerusalemme, la città di Costantino, la croce è portata a Kiev ed è innalzata su tutta la terra della Rus’. Pertanto, al pari di Costantino, il Signore rende anche Vladimir partecipe della medesima gloria e del medesimo onore, a ricompensa della sua devozione49.
Sempre all’XI secolo è databile un altro testo fondamentale della letteratura kieviana, la Memoria ed elogio del principe russo Vladimir del monaco Iakov, dove pure si ritrova il tema del paragone tra Costantino e Vladimir. Secondo la ricostruzione di Šachmatov, nell’opera sono riconoscibili due sezioni, una costituita dalla memoria, elogio e vita di Vladimir, l’altra dalle lodi di sua nonna Ol’ga50. Non stupisce quindi che il parallelismo tipologico tra Vladimir e Costantino, da una parte, e Ol’ga ed Elena, dall’altra, sia presente anche in questo testo. Nell’opera sono ritracciabili quattro riferimenti precisi alle vicende costantiniane.
Il primo è dato da Vladimir che, avendo udito di sua nonna Ol’ga, rinominata Elena nel santo battesimo, ne vuole emulare la vita. Grazie all’intervento dello Spirito santo il suo cuore s’infiamma dal desiderio di ricevere l’unzione. Dio, vedendo questo e prevedendo la sua bontà, illumina il suo cuore, affinché egli riceva il sacramento51.
Il secondo riferimento prevede un paragone diretto tra Vladimir e Costantino, sostanzialmente nei termini già enunciati da Ilarion. Il principe kieviano compie un’opera simile a quella dell’imperatore romano poiché diffonde e afferma la fede su tutta l’ecumene, illumina il mondo e instaura la legge di Dio. Costantino ha distrutto i templi idolatri degli dei dai falsi nomi, ha innalzato chiese su tutta la terra per la gloria di Dio, ha rinvenuto la croce salvifica e ha condotto al battesimo con sua madre Elena una moltitudine di genti. Le medesime opere sono compiute oggi da Vladimir e Ol’ga52.
Nel terzo passaggio dell’opera, Vladimir è paragonato al profeta Davide, al re Ezechia, al tre volte beato Giosia e, in ultimo, a Costantino il Grande, poiché tutti hanno posto al di sopra di ogni cosa la legge divina e hanno servito Dio pienamente. Simile a loro si mostra il principe russo, che con lo stesso zelo si mette a servizio del Signore. Dopo questo solenne confronto, l’estensore precisa che i fedeli non devono preoccuparsi del fatto che Vladimir, dopo la morte, non compie miracoli. Difatti molti giusti non hanno fatto miracoli, pur se santi. Citando le parole di Giovanni Crisostomo, egli spiega che un uomo santo si riconosce non dai miracoli, ma dalle opere53.
L’ultimo riferimento è più generico ed è inserito sullo sfondo di in un confronto biblico. Vladimir porta avanti l’opera di uomini santi e si mostra emulo di Abramo, Giacomo, Mosè e Davide. Più di tutti egli ha voluto tuttavia imitare Costantino, seguendolo nella retta fede54.
Nel più celebre e importante testo cronachistico della letteratura russa, il Racconto degli anni passati, composto verso l’inizio del XII secolo da Nestor presso il Monastero delle Grotte di Kiev, non mancano riferimenti a Ol’ga come nuova Elena e a Vladimir come nuovo Costantino, divenuti tradizionali già nell’XI secolo.
Nestore narra che nell’anno 6463 (cioè nel 995) Olga si reca a Costantinopoli. Ricevuto il battesimo dal patriarca, le è dato il nome cristiano di Elena, come l’antica sovrana madre dell’imperatore Costantino55.
Narrando della morte di Vladimir, avvenuta a Berestovo nell’anno 1015, Nestore definisce il sovrano russo come novello Costantino. Egli, pur essendo stato inizialmente pagano, in seguito si è mostrato zelante nel pentimento, secondo le parole paoline «laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rm 5,20). Il pentimento e la carità hanno permesso di rimettere i peccati, compiuti nei precedenti anni d’ignoranza56.
Il secolo XIII non pare aver lasciato opere originali, nelle quali sia espressamente utilizzato il mito di Costantino57. Per trovare un preciso motivo costantiniano negli encomi dei principi russi nelle epoche successive al periodo kieviano, si deve attendere fino alla fine del XIV secolo e all’inizio del Quattrocento, quando sono composti una serie di testi dedicati all’esaltazione di Dmitrij I Ivanovič, detto Donskoj, e alla decisiva vittoria ottenuta dai russi contro i tartari a Kulikovo Pole nel 1380.
Se si prendono in considerazione i testi ispirati a questo celebre evento storico, composti a cavallo dei secoli XIV e XV e comunemente etichettati come ‘ciclo di Kulikovo’, si vede che Dmitrij Donskoj è esaltato come discendente di Vladimir, che è il nuovo Costantino russo. Il medesimo concetto è espresso in due epistole dal metropolita di Mosca Iona (1448-1461). Anche qui è sempre e solo Vladimir a essere chiamato «nuovo Costantino».
Un cambiamento di registro si ha solo dalla seconda metà del XV secolo quando Boris Aleksandrovič di Tver’ (1398-1461) e Ivan III Vasil’evič sono espressamente identificati con l’imperatore romano. Con l’ascesa di Mosca, il principe Vladimir e, conseguentemente, anche Kiev, sono lasciati sullo sfondo. Il nuovo utilizzo del mito costantiniano getta le basi dell’ideologia di ‘Mosca Terza Roma’.
Del ‘ciclo di Kulikovo’ fanno parte le seguenti tre opere della letteratura russa antica: Discorso sulla vita del gran principe Dmitrij Ivanovič (Slovo o žitii velikogo knjazja Dmitrija Ivanoviča); Racconto annalistico sulla battaglia di Kulikovo (Letopisnaja povest’ o Kulikovskoj bitve); Narrazione della battaglia contro Mamaj (Skazanie o Mamaevom poboišče).
Il primo testo, redatto verso la fine del XIV secolo o al massimo durante i primi anni del XV, è un encomio retorico del gran principe Dmitri Donskoj. Il tema di Vladimir come nuovo Costantino è presente sin dall’incipit, dove è esposta la genealogia del gran principe Dmitrij58. Il motivo costantiniano è ripreso nell’explicit del sermone. Se la terra di Roma elogia i santi Pietro e Paolo, quella di Grecia l’imperatore Costantino, quella di Kiev Vladimir, l’intera terra russa esalta invece il gran Principe Dmitrij59.
Il secondo testo, databile alla metà del XV secolo, è dedicato alla battaglia decisiva tra i russi, guidati da Dmitrij Donskoj, e l’Orda di Mamaj (1380). Nel racconto si narra che, dopo la vittoria, il gran principe di Mosca, elevando una preghiera, ringrazia Dio per aver dato la forza necessaria per affrontare gli infedeli, come un tempo l’aveva concessa a Mosè, a Davide e al nuovo Costantino, cioè Vladimir60.
Il terzo componimento, composto verso il primo quarto del XV secolo, rappresenta il testo più importante del ‘ciclo di Kulikovo’ e contiene la narrazione più esaustiva sulla vittoria di Dmitrij Donskoj su Mamaj. Nella narrazione è presente il tema della croce di Costantino, non semplicemente come simbolo della fede61, bensì anche come immagine del potere terreno del sovrano cristiano e come strumento di vittoria sul nemico62. Il gran principe porta al collo un pettorale contenente un frammento della reliquia del vero legno. Prima di affrontare il nemico, egli dichiara di riporre le sue speranze nella croce che era apparsa a Costantino, miracoloso segno grazie al quale egli aveva ottenuto la vittoria63.
La celebrazione del gran principe nei termini del mito costantiniano è ampiamente praticata anche nel XV secolo: a essa fa ricorso il metropolita di Mosca Iona nei confronti di Vasilij II Vasil’evič (1415-1462).
Nell’Epistola al principe Aleksandr Vladimirovič di Kiev, sull’elezione a metropolita di Mosca e non di Kiev (Poslanie ot mitropolita knjazju Aleksandru Volodimeroviču na Kiev, čto postavlen na mitropoliju na Moskve, a ne na Kieve) il metropolita intende giustificare la legittimità della propria elezione. Nell’argomentazione egli esalta il ruolo ricoperto dal potere temporale nell’elevazione di Mosca a sede metropolitana: il gran principe Vasilij II, nominando Iona, non ha fatto altro che rendersi emulo dei propri antenati, cioè l’imperatore Costantino e il gran principe Vladimir64.
In un’altra lettera, indirizzata ai fedeli lituani (Poslanie v Litvu o Grigor’eve prichoženii), Iona ripresenta il tema di Vladimir come nuovo Costantino con l’intento di dimostrare l’indipendenza di Kiev dalla giurisdizione romana e la sua filiazione diretta da Bisanzio. Nell’impartire la benedizione, egli ricorda che originariamente il popolo aveva ricevuto il battesimo dal santo e isapostolo gran principe Vladimir, nuovo Costantino65.
Un manifesto uso politico del mito di Costantino è rintracciabile in un sermone dedicato al principe di Tver’ Boris Aleksandrovič, il Discorso encomiastico sul pio Gran principe Boris Aleksandrovič (Slovo pochval’noe o blagovernom velikom knjaze Borise Aleksandroviče).
L’elogio fu composto all’anno 1453 da un certo Foma, da identificarsi molto probabilmente con l’omonimo boiaro che fu a capo della delegazione di Tver’ al concilio di Ferrara-Firenze. Il tema costantiniano è sviluppato qui proprio a proposito di questo importante evento confessionale. L’estensore, nel rimarcare le doti del principe, rileva innanzitutto che alcuni lo definiscono come secondo Mosè, che con l’aiuto di Dio guida il Nuovo Israele, mentre altri lo chiamano secondo Costantino, per la sua grande filantropia66.
Il passaggio successivo è tuttavia quello più interessante: come Costantino a suo tempo presiedette il concilio di Nicea, così oggi Boris Aleksandrovič, per il tramite del suo ambasciatore, prende parte a quello di Ferrara-Firenze, pur non essendoci potuto andare personalmente a causa della lontananza del luogo67. Per questo motivo Boris Aleksandrovič è simile a Costantino, Teodosio e Giustiniano, che prima di lui hanno presieduto concili ecumenici68. Boris si mostra infine emulo della virtù di Costantino e della fede di Vladimir69.
Il tema della croce come strumento di vittoria, già presente nel ‘ciclo di Kulikovo’, è utilizzato anche in un altro testo russo, composto cento anni dopo la vittoria di Dimitrj Donskoj. Si tratta dell’Epistola sull’Ugra (Poslanie na Ugru) dell’arcivescovo di Rostov Vassian Rylo (1467-1481), composta nel 1480.
In questa lettera il gran principe di Mosca Ivan III è incitato ad affrontare le schiere nemiche. Il sovrano, disposto l’esercito in riva al fiume Ugra (1480), si appresta a fronteggiare in battaglia i tartari, guidati da Achmat, il quale, sperando in un’alleanza con i polacchi di Casimiro IV, tenta di riportare la Rus’ sotto il giogo tartaro. L’arcivescovo, conoscendo le titubanze del sovrano che, spinto dai consiglieri a evitare lo scontro, cercava un accordo, lo esorta a combattere, confidando nella forza della croce, capace di dare la vittoria, come un tempo avvenne con Costantino70.
In un altro testo della fine del Quattrocento, Ivan III è nuovamente paragonato all’imperatore: si tratta delle Tavole pasquali di Zosima del 1492. Per comprendere l’uso del tema costantiniano prodotto in quest’opera, di forte contenuto escatologico, bisogna considerare l’atmosfera generale di quegli anni. Il calendario russo si avvicina all’inizio dell’ottavo millennio e molti attendono la fine dei tempi. Costantinopoli è caduta da pochi decenni e questo tragico evento è considerato in Russia come un castigo, voluto da Dio a causa del tradimento consumato al concilio di Firenze e della sottoscrizione dell’unione con Roma del 1425. Mosca è l’ultimo baluardo dell’ortodossia, ma il suo sovrano non è ancora uno zar unto dal Signore, come prima sono stati gli imperatori bizantini. Sullo sfondo di queste preoccupazioni incomincia a formarsi un’ideologia, ispirata al tema costantiniano, tendente a caricare di responsabilità universali il ruolo politico religioso del principato di Mosca. Questa concezione, nota come ‘Mosca Terza Roma’, conosce un successivo sviluppo nel XVI secolo, con la consacrazione a zar di Ivan IV il Terribile (il 16 gennaio del 1547) per mano del metropolita Makarij di Mosca (1542-1563) e culmina con l’istituzione del patriarcato di Mosca nel 1589.
Nelle Tavole pasquali di Zosima del 1492 si colgono i motivi costitutivi di questa ideologia con l’instaurazione di un preciso triplice parallelismo tra Costantino il Grande, Vladimir e Ivan III. Vladimir ha ricevuto dai greci la fede ortodossa, come uno scudo invincibile nel suo cuore. Egli si è fatto battezzare distruggendo gli idoli, volgendo alla vera fede gli infedeli e sottomettendo i nemici ai suoi piedi: per questo motivo è chiamato nuovo Costantino. E ora in questi ultimi anni, come fu nei primi, Dio ha glorificato il suo discendente Ivan III, signore e autocrate di tutta la Rus’, novello Costantino nella nuova città di Costantino, Mosca71.
Il più antico riferimento al Constitutum Constantini in Russia risale all’inizio del XV secolo. Esso tuttavia non può essere considerato autoctono, poiché è riferibile non a un ecclesiastico di origine russa, bensì a Fozio, metropolita greco di Kiev. Questi, consacrato il 1° settembre del 1408 dal patriarca Matteo di Costantinopoli (1397-1410), giunge a Mosca solo due anni dopo la nomina. Qui scopre che nel frattempo alcune proprietà ecclesiastiche sono state espropriate dai boiari, i quali, durante l’interregno di due anni, hanno approfittato della sua assenza per impossessarsi di considerevoli proprietà.
Nel tentativo di ottenere una pronta restituzione di quanto sottratto, Fozio invia al gran principe Vasilij I Dmitrievič (1389-1425) due epistole sull’inalienabilità delle proprietà ecclesiastiche. In una di queste egli giustifica la propria posizione facendo esplicito riferimento al fatto che l’imperatore Costantino aveva venerato e glorificato la Chiesa di Cristo. Anche se la Donazione non è qui evocata in maniera esplicita, nelle parole del metropolita di Kiev è tuttavia percettibile un chiaro riferimento al ciclo silvestriano.
Prima di analizzare la multiforme fenomenologia della ricezione del Constitutum Constantini in Russia bisogna considerare quanto segue. L’uso e la fortuna del Constitutum Constantini in area slava orientale sono il risultato della combinazione di elementi di ordine diverso: non si tratta di una semplice questione di penetrazione letteraria del testo, fruito tramite la mediazione bizantina e slava meridionale, bensì della confluenza di tradizioni liturgiche, storiche, letterarie, giuridiche e politiche che si intersecano l’una con l’altra a cavallo dei secoli XV e XVI. In questo intreccio di elementi di diversa origine, un impulso decisivo è dato dal trasferimento a Mosca della ricca tradizione ecclesiastica di Novgorod, in seguito alle vittoriose campagne militari di Ivan III, che tra il 1471 e il 1478 piega a sé e annette definitivamente la città.
La fine dell’indipendenza di Novgorod, dove il culto di Costantino ed Elena era particolarmente vivo72, rappresenta una circostanza storica decisiva per il successo del Constitutum Constantini: il cambiamento politico ha forti ripercussioni su questo grande centro russo che ora deve far fronte all’ingerenza del potere moscovita. La Novgorod di fine Cinquecento vanta una tradizione ecclesiastica più antica di quella di Mosca: l’aspetto principale è rappresentato dell’alto grado di autonomia, di cui ha goduto la diocesi nei secoli precedenti. Nel XII secolo Nifont (morto nel 1156) aveva ottenuto dal patriarca di Costantinopoli il titolo di arcivescovo, divenendo con questa nomina, di fatto, indipendente dal metropolita di Kiev73. Tra fine Quattrocento e inizio Cinquecento, la politica di accentramento perseguita da Mosca non prevede la possibilità per Novgorod di mantenere gli antichi privilegi. Nel 1480 Ivan III depone Feofil, ultimo arcivescovo eletto di Novgorod74, e lo rinchiude nel monastero Čudov di Mosca75. Suo successore è nominato nel 1484 l’archimandrita dello stesso monastero moscovita, Gennadij Gonzov (morto nel 1505) che ha il compito di perseguire la politica di accentramento voluta dal gran principe76.
L’arcivescovo si mostra attivo sul piano letterario: attorno a sé organizza una cerchia di traduttori e copisti che si dedicano principalmente alla stesura della prima traduzione completa in slavo delle Sacre Scritture, la cosiddetta Bibbia gennadiana, dove confluiscono vecchie e nuove traduzioni dei libri, le ultime prodotte non dal greco, bensì dalla Vulgata latina77. Proprio allo scriptorium di Gennadij si deve la prima citazione scritta del Constitutum Constantini in Russia, contenuta nel Discorso breve (Slovo kratko) e, molto probabilmente, anche la prima rielaborazione letteraria slava orientale del ciclo silvestriano, nota come Racconto sul copricapo bianco (Povest’ o belom klobuke).
Il Discorso breve (Slovo kratko) è un anonimo trattato contro l’alienazione dei beni ecclesiastici, scritto a Novgorod negli ultimi anni del Quattrocento78. Come già sopra notato, le vicende storiche legate all’annessione della città da parte di Mosca hanno un’importanza fondamentale per comprendere la ricezione giuridica del Constitutum Constantini. Il Discorso rappresenta la risposta della Chiesa di Novgorod alle ingerenze del potere moscovita che, dopo la conquista della città, avanza pretese sui latifondi ecclesiastici e sulle proprietà monastiche79.
L’aspetto più interessante ai fini della presente trattazione è che la citazione russa del Constitutum non è basata né sulle versioni slave meridionali del testo, né su quella greca, bensì sull’originale latino. L’utilizzo delle fonti occidentali suggerisce che l’autore vada identificato con Veniamin, un traduttore domenicano di origini croate, attivo a Novgorod sul finire del XV secolo. Il Discorso breve è stato quindi composto inizialmente in latino e poi tradotto in slavo. Elementi interni al testo confermano l’attribuzione dell’opera che, commissionata da Gennadij, sarebbe stata portata a termine verso l’anno 1497 (1505 secondo la cronologia russa)80.
La disputa sui beni ecclesiastici, sorta a fine XV secolo, culmina con il concilio del 1503, dove si fronteggiano le due principali fazioni ecclesiastiche russe dell’epoca, quella dei possidenti (stjažateli), guidati da Iosif Volockij (1439-1515), detti per questo anche iosifljane (seguaci di Iosif), e quella dei non possidenti (nestjažateli), capeggiata da Nil Sorskij (1433-1508). I due hanno concezioni completamente differenti dei rapporti tra santità e regalità81. I seguaci di Nil Sorskij, ispirati dalla tradizione esicasta bizantina, propongono una Chiesa disinteressata alla politica, più mistica ed evangelica che miri al perfezionamento dell’ascesi e alla preghiera. Gli iosiflijane, al contrario, sono promotori dell’impegno politico e sono di fatto veri e propri sostenitori dell’assolutismo del sovrano.
Nel responso del concilio del 1503, il Constitutum Constantini è invocato in difesa dei beni ecclesiastici, diventando d’ora in poi uno strumento fondamentale per la Chiesa russa nella determinazione dei suoi rapporti con il potere temporale82.
Echi del Constitutum Constantini sono percettibili anche in un altro testo di inizio Cinquecento, generalmente considerato centrale nel processo di formazione dell’idea di ‘Mosca Terza Roma’. Si tratta dell’Epistola al Gran principe Vasilij, nella quale si tratta della correzione del segno della croce e del peccato di Sodoma (Poslanie k Velikomu knjazju Vasiliju, v nemže o ispravlenii krestnago znamenija i o sodomskom blude) di Filofej, monaco del Monastero Eleazarov di Pskov, vissuto nella prima metà del XVI secolo.
Rivolgendosi al gran principe Vasilij III Ivanovič (1479-1533), Filofej lo esorta a riempire le chiese di vescovi, a non rendere vedova la Chiesa, a non tradire il testamento degli avi, Costantino e Vladimir, e a non offendere le chiese e i monasteri83.
Il Racconto sul copricapo bianco (Povest’ o belom klobuke)84 rappresenta l’espressione più originale del complesso processo di ricezione del Constitutum Constantini in Russia. In questo testo l’immaginario agiografico del ciclo silvestriano si fonde con le tradizioni ecclesiastiche di Novgorod, dove l’arcivescovo, almeno dalla metà del XIV secolo (epoca di Vasilij Kalika, 1330-1352), indossava un copricapo bianco. Tale uso, in seguito adottato da Mosca (dal XVI secolo in poi), è di origine bizantina: il patriarca di Costantinopoli, se eletto dalle file del clero secolare, indossava un copricapo bianco; se scelto invece tra i monaci, riceveva un copricapo nero.
Il Racconto è una fusione letteraria tra il Constitutum Constantini e la tradizione ecclesiastica novgorodiana. Il cappello bianco dell’arcivescovo è identificato con la tiara papale che, per volere divino, è stata trasferita in Russia, successivamente alla diffusione dell’eresia latina presso i greci, colpevoli di aver sottoscritto l’unione con Roma. Il viaggio del camelaucum da Roma a Costantinopoli, e da qui a Novgorod, è interpretato come una manifestazione del mito escatologico della ‘Terza Roma’, che prevede la translatio imperii ad Russos85.
La tradizione manoscritta del Racconto è costituita da più di trecento testimoni, databili al XVI-XIX secolo. Sono note due redazioni, una breve e una lunga. La differenza più evidente tra le due versioni, consiste nel fatto che in quella ampia il Racconto è preceduto da una prefazione, l’Epistola del dragomanno Dmitrij il greco (Posyl’naja gramota Dmitrija greka Tolmača), ed è seguito da un epilogo, lo Scritto del vescovo Gennadij (Napisanie episkopa Gennadija). Il più antico codice della prima risale all’inizio del XVI secolo o a qualche decennio più tardi; la redazione lunga è testimoniata invece solo dal XVII secolo86.
È probabile che l’intreccio fra la tradizione ecclesiastica del copricapo bianco e la narrazione agiografica del Constitutum Constantini sia avvenuto a Novgorod verso la fine del Quattrocento, ossia ai tempi di Gennadij. Tuttavia, il problema della datazione del Racconto appare molto complesso, altrettanto quanto i problemi filologici che sorgono nel volerlo analizzare da un punto di vista critico, dato il numero dei testimoni manoscritti. È convinzione diffusa che la versione breve sia quella originale, mentre quella lunga sia di origine tarda: quest’ultima difficilmente sarebbe stata redatta prima della fine del XVI secolo, vista la presenza di riferimenti all’ideologia di ‘Mosca Terza Roma’ (in particolare si veda la ‘profezia’ sull’istituzione di un patriarcato russo, avvenuta nel 158987). Secondo una diversa opinione88, la redazione lunga sarebbe invece quella originale. Prodotta nella cerchia del circolo letterario di Gennadij, essa sarebbe stata scritta con l’obiettivo di difendere l’autonomia, l’autorità e la posizione privilegiata del vescovo di Novgorod in funzione anti moscovita89.
In ogni caso, si noti che durante tutto il XVI secolo, l’opera non è menzionata dalla storiografia e dalla letteratura ecclesiastica russa ufficiale: nell’atto del concilio di Mosca del 1564, dedicato all’origine dell’uso del copricapo bianco, non si fa alcun riferimento al Racconto90.
Nel 1526 Makarij, esponente della fazione degli iosifljane e futuro metropolita di Mosca, è consacrato arcivescovo di Novgorod91. Il suo soggiorno nella città russa è un elemento importante per un’attenta valutazione della ricezione del Constitutum Constantini in Russia nel XVI secolo, giacché questa esperienza pastorale gli permette di importare a Mosca due tradizioni, quella del copricapo bianco e quella della processione sull’asino della Domenica delle palme92.
Quest’ultima è attestata al Cremlino almeno dal 1558. Il metropolita, seduto sull’asino, è condotto dallo zar, la cui partecipazione alla processione va verosimilmente spiegata alla luce dell’importanza conferita in Russia al Constitutum Constantini, dove Costantino presta a Silvestro l’officium stratoris (a Bisanzio, dove pure quest’uso era diffuso, l’imperatore non prendeva invece parte alla cerimonia)93. Come notato da Boris Andreevič Uspenskij, mentre in Occidente l’ufficio dello scudiero serve a mostrare la sottomissione del monarca al papa, in Russia il sovrano si sottomette al metropolita o al patriarca non per la sua funzione di capo della Chiesa, ma per il suo essere immagine di Cristo. Secondo l’ideologia autocratica moscovita, lo zar russo non si sottomette al potere spirituale, ma risponde direttamente a Dio94.
L’uso di indossare il copricapo bianco era sconosciuto a Mosca prima del ritorno di Makarij da Novgorod. Dopo la sua morte, il concilio del 1564 stabilisce che i metropoliti russi devono indossare il copricapo bianco e la decisione è motivata dall’idea di un primato moscovita sulle altre diocesi95 (in seguito, questo diventerà attributo dei patriarchi russi, sin dall’incoronazione di Iov nel 1589)96.
Negli scritti di Makarij è rintracciabile una citazione esplicita del Constitutum Constantini. In una lettera indirizzata allo zar Ivan IV sull’inviolabilità delle proprietà ecclesiastiche, il metropolita menziona l’episodio del rifiuto di papa Silvestro della corona offerta da Costantino, del successivo dono fatto dall’imperatore del copricapo bianco e dell’officium stratoris (cfr. Constitutum Constantini, capitolo XI). Questa citazione è in seguito confluita negli atti del concilio dei cento capitoli (Stoglav) del 155197.
Il patriarca Nikon (1652-1666; morto nel 1681) trova nel Constitutum Constantini un sostegno giuridico nel suo scontro con lo zar Aleksej Michajlovič (1645-1676). Anche in questo caso il ciclo silvestriano è strumento di difesa per la Chiesa russa contro l’ingerenza dello Stato. La raccolta di leggi del 1649, nota come Sobornoe Uloženie, vieta alla Chiesa di acquisire nuove proprietà98; lo zar sottomette inoltre i monasteri al Monastyrskij prikaz, un organo di controllo statale che limita l’autonomia ecclesiastica99. La risposta di Nikon non si fa attendere. Il patriarca, appena insediatosi, ordina di modificare l’edizione del Nomocanone russo (Kormčaja kniga), poco prima stampato dal suo predecessore Iosif, facendovi aggiungere in appendice la versione slava ecclesiastica del Constitutum Constantini e un elenco delle apostasie occidentali100. Con questo atto, Nikon intende sottolineare la superiorità del potere spirituale su quello temporale e nello stesso tempo mostrare che il patriarca russo è l’erede dei privilegi, un tempo concessi da Costantino al papa. Sempre negli stessi termini, il Constitutum Constantini è da lui citato anche nella replica alle accuse mosse dal boiaro Strešnev e dal greco Paisios Ligaridis101.
Nonostante l’avvenuta deposizione di Nikon (5 dicembre 1666), il Constitutum Constantini continua a essere considerato come un documento canonico a tutti gli effetti anche negli anni a venire. Il patriarca Adrian (1690-1700) lo menziona in un suo scritto sulla giurisdizione dei tribunali ecclesiastici102, mentre Dmitrij Rostovskij (1651-1709) lo utilizza a proposito dell’inalienabilità dei beni della Chiesa103. Diversa sorte tocca invece al Racconto sul copricapo bianco che è condannato dalla Chiesa russa come testo fantasioso104.
Dal secolo XVIII si registra un cambiamento radicale nei confronti del Constitutum Constantini, in conseguenza delle mutate circostanze storiche. Dopo la morte di Adrian (dicembre del 1700), Pietro il Grande interrompe la consuetudine di convocare un concilio per l’elezione del nuovo patriarca. I poteri giurisdizionali in materia ecclesiastica sono conferiti a una nuova istituzione, la Cancelleria patriarcale. La massima autorità spirituale ed ecclesiastica è ora un prelato di origine ucraina, Stefan Javorskij (1658-1722) che assume l’incarico di luogotenente del patriarca fino all’abolizione del patriarcato stesso (1721). Il passo successivo della riforma zarista è rappresentato dall’istituzione di un Collegio ecclesiastico, nuovo organo amministrativo della Chiesa105. Nel 1718 a Feofan Prokopovič (1681-1736), arcivescovo di Pskov, è affidato il compito di stendere il Regolamento ecclesiastico (Duchovnyj reglament), che costituisce la base giuridica della secolarizzazione106. In quest’opera non è menzionato il Constitutum Constantini, che ormai non trova più spazio nelle discussioni di tipo giuridico, anche se l’autore ne conosceva bene il contenuto, come testimoniato dalla citazione fatta nella tragicommedia Vladimir del 1705107.
Il mito costantiniano non cessa tuttavia di vivere nella Russia di Pietro. Un diretto confronto tra Costantino e lo zar è istaurato nel panegirico di Gavriil Bužinskij Sulla progettazione e costruzione della città imperiale di San Pietroburgo (O začatii i zdanii carstvujuščego grada Sankt-Peterburga), dedicato alla fondazione della nuova capitale108. L’episodio dell’aquila, che il giorno della fondazione della città (il 16 maggio 1703) si posa sulle porte della fortezza di Pietro e Paolo, rievoca la leggenda costantiniana sulla fondazione di Bisanzio, narrata da Nestore Iskander nel Racconto sulla conquista della città imperiale da parte dei Turchi nel 1453 (Povest’ o vzjatii car’grada Turkami v 1453 g109). Feofan Prokopovič nel Discorso funebre per Pietro il Grande (Slovo na pogrebenie Petra Velikogo) definisce lo zar come il Costantino della Chiesa russa110. Lo stesso zar in vita aveva fatto propria la simbologia costantiniana, soprattutto riguardo all’ambito militare (il 25 febbraio 1711 nella Cattedrale della Dormizione del Cremlino all’annuncio dell’avvio della campagna militare contro i turchi sono esposti stendardi raffiguranti il labarum di Costantino con la scritta «Sim znameniem pobediši», cioè in hoc signo vinces)111.
La lunga storia della ricezione del Constitutum Constantini in Russia termina nel 1805, quando il metropolita di Mosca Platon Levšin (1787-1812) pubblica la sua Breve storia ecclesiastica della Russia112. Il Constitutum Constantini, considerato punto saldo nel diritto canonico russo fino a tutto il secolo XVII, è ora condannato come apocrifo, con un significativo ritardo rispetto all’area rutenica, soggetta all’influenza culturale polacca, dove già all’inizio del XVII secolo era stato espresso un netto rifiuto del documento113.
Platon Levšin è informato del fatto che non fu Silvestro a battezzare Costantino, bensì Eusebio di Nicomedia, come sostenuto dagli storici contemporanei e da Eusebio di Cesarea. Egli non pare essere tuttavia a conoscenza del fatto che il vescovo di Nicomedia fosse ariano: su questo punto nulla è proferito. La condanna del metropolita di Mosca è categorica e severa: il Constitutum Constantini non solo è considerato un falso, ma è addirittura definito un documento «mostruoso», inserito in appendice al Nomocanone senza fondamento alcuno114.
1 Per una bibliografia essenziale si vedano: N.I. Petrov, O sud’be Vena Konstantina Velikogo v Russkoj Cerkvi (Sul destino della Donazione di Costantino il Grande nella Chiesa Russa), in Trudy Kievskoj Duchovnoj Akademii, 3 (1865), pp. 471-498; A.S. Pavlov, Podložnaja darstvennaja gramota Konstantina Velikogo pape Sil’vestru v polnom grečeskom i slavjanskom perevode (La falsa donazione di Costantino il Grande a papa Silvestro nella traduzione integrale greca e slava), in Vizantijskij vremennik, 3 (1896) pp. 18-82; J.L. Wieczynski, The Donation of Constantine in Medieval Russia, in The Catholic Historical Review, 55 (1969), pp. 159-172; D. Stremoukhoff, La Tiare de Saint Sylvestre et le Klobuk blanc, in Revue des études slaves, 34 (1957), pp. 123-128; Russkij feodal’nyj archiv XIV - pervoj treti XVI veka, sostavitel’ A.I. Pliguzov (Archivio feudale russo del XIV - primo terzo del XVI sec., compilatore A.I. Pliguzov), IV, Moskva 1988, pp. 784-794, 814-836; F.J. Thomson, The intellectual difference between Muscovy and Ruthenia in the Seventeenth century. The case of the Slavonic translations and the reception of the Pseudo-Constantinian Constitutum (Donatio Constantini), in Slavica Gandensia, 22 (1995), pp. 63-107; M. Pljuchanova, Sjužety i simvoly Moskovskogo carstva (Temi e simboli dello carstvo di Mosca), Sankt-Peterburg 1995; V. Vavřínek, Slovanský panovník jako “Nový Konstantin“. Boris Bulharský – Rastislav Moravský – Vladimír Kyjevský (Il sovrano slavo come ‘Nuovo Costantino’. Boris di Bulgaria – Rastislav di Moravia – Vladimir di Kiev), in Slavia, 70 (2001), pp. 507-516; M. Pliuchanova, Il culto di Costantino il Grande nella Russia antica, in Bizantinistica. Rivista di Studi Bizantini e Slavi, 6 (2004), pp. 191-215; Id., La Donazione di Costantino in Russia tra XV e XVI secolo, in Costantino il Grande tra medioevo ed età moderna, Atti del convegno (Trento 22-24 aprile 2004), a cura di G. Bonamente, G. Cracco, K. Rosen, Bologna 2008, pp. 209-235; O.V. Tvorogov, K izučeniju drevnerusskogo perevoda Žitija Konstantina i Eleny (Per lo studio della traduzione russa antica della ‘Vita di Costantino ed Elena’), in Russkaja agiografija. Materialy. Publikacii, II, Sankt-Peterburg 2011, pp. 326-365.
2 Si fa qui riferimento alla seguente edizione: Eusebius Werke, I/1, Über das Leben des Kaisers Konstantin, hrsg. von F. Winkelmann (= Die griechischen christlichen Schriftsteller der ersten Jahrhunderte), Berlin 19912.
3 M. Pliuchanova, Il culto di Costantino il Grande, cit., p. 191.
4 M. Amerise, Il battesimo di Costantino il Grande. Storia di una scomoda eredità, Stuttgart 2005, pp. 19-22.
5 Ivi, p. 23.
6 Tale opinione è stata espressa da Riccardo Picchio, in un saggio dedicato ai modelli e agli stereotipi letterari nella tradizione slava ortodossa: R. Picchio, Models and Patterns in the Literary Tradition of Medieval Orthodox Slavdom, in American Contributions to the Seventh International Congress of Slavists (Warsaw August 21-27 1973), II, Literature and Folklore, The Hague 1973, pp. 439-467, in partic. 451-452.
7 M. Amerise, Il battesimo di Costantino, cit., p. 74.
8 O.V. Tvorogov, K izučeniju, cit., pp. 345-346.
9 BHG 364.
10 O.V. Tvorogov, Perevodnye žitija v russkoj knižnosti XI-XV vekov. Katalog (Vite [agiografiche] in traduzione nella letteratura russa dei secoli XI-XV. Catalogo), Moskva-Sankt-Peterburg, 2008, pp. 76-77.
11 M. Amerise, Il battesimo di Costantino, cit., pp. 99-100, 117-119.
12 M. Guidi, Un Bios di Costantino, in Atti della Accademia dei Lincei, 16 (1907), Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Rendiconti, s. 5, vol. XVI, pp. 304-340, 637-655; O.V. Tvorogov, K izučeniju, cit., p. 326.
13 M. Krašeninnikov, Prodromus sylloges vitarum laudationumque sanctorum Constantini M. et Helenae matris eius, graece atque slavice mox edendarum, Iur´ev 1915.
14 Die grossen Lesemenäen des Metropoliten Makarij. Uspenskij spisok, hrsg. von E. Weiher, S.O. Šmidt, A.I. Škurko et al., II, Freiburg 2009, pp. 1177-1210.
15 Letopisec Ellinskij i Rimskij, 2 voll., pod red. O.V. Tvorogova, S.A. Davydova (Il ‘Letopisec Ellinskij i Rimskij’), Sankt-Peterburg 1999-2001, pp. 271-279; M. Pliuchanova, Il culto di Costantino il Grande, cit., p. 194.
16 O.V. Tvorogov, K izučeniju, cit., pp. 333-360.
17 Actus Sylvestri = BHG 1628. Velikie Minei Čet’i. Janvar’. Dni 1-6 (I ‘Velikie Minei Čet’i. Gennaio. Giorni 1-6), Moskva 1910, pp. 76-132.
18 Negli studi dedicati alla tradizione manoscritta di BHG 1628 non si è finora tenuto conto dell’esistenza di una versione slava. Cfr. W. Levison, Konstantinische Schenkung und Silvesterlegende, in Miscellanea Francesco Ehrle, II, Città del Vaticano 1924, pp. 169-247; W. Pohlkamp, Textfassungen, literarische Formen und geschichtliche Funktionen der Römischen Silvester-Akten, in Francia, 19,1 (1992), pp. 115-196; T. Canella, Gli Actus Silvestri: genesi di una leggenda su Costantino Imperatore, Spoleto 2006.
19 François Combefis, Illustrium Christi martyrum lecti triumphi vetustis Graecorum monumentis consegnati, Paris 1660, pp. 258-336.
20 V.M. Istrin, Knigi vremennye i obraznye Georgija Mnicha. Chronika Georgija Amartola v drevnem slavjanorusskom perevode (I ‘Knigi vremennye i obraznye’ di Giorgio Monaco. La Cronaca di Giorgio Amartolo nella traduzione slavo-russa), I, Petrograd 1920, pp. 333-357.
21 Id., Chronika Ioanna Malaly v slavjanskom perevode. Reprintnoe izdanie materialov V.M. Istrina. Podgotovka izdanija, vstupitel’naja stat’ja i priloženija M.I. Černyševoj (La Cronaca di Giovanni Malala nella traduzione slava. Edizione a ristampa dei materiali di V.A. Istrin. Preparazione dell’edizione, saggio introduttivo e appendici di M.I. Černyševa), Moskva 1994.
22 A. Jacobs, Zōnarâs-Zonara: die byzantinische Geschichte bei Joannes Zonaras in slavischer Übersetzung, München 1970.
23 Cfr. Svodnyj katalog slavjano-russkich rukopisnych knig, chranjaščichsja v SSSR XI-XIII vv. (Catalogo generale dei libri manoscritti slavo-russi conservati in URSS dei secoli XI-XIII), Moskva 1984, p. 275.
24 Cfr. A. Luzzi, Il dies festus di Costantino il Grande e di sua madre Elena nei libri liturgici della chiesa greca, in Costantino il Grande dall’Antichità all’Umanesimo, Colloquio sul cristianesimo nel mondo antico (Macerata 18-20 dicembre 1990), a cura di G. Bonamente, F. Fusco, II, Macerata 2003, pp. 585-644.
25 Die grossen Lesemenäen, cit., pp. 1174-1177.
26 Velikie Minei Čet’i. Sentjabr’. Dni 14-24 (I ‘Velikie Minei Čet’i. Settembre. Giorni 14-24), Sankt-Peterburg 1869, p. 673; Slavjano-russkij prolog po drevnejšim spiskam. Sinaksar’ (žitijnaja čast’ Prologa kratkoj redakcii) za sentjabr’-fevral’, I, Tekst i kommentarij, Izdanie podgotovili L.V. Prokopenko, V. Železjakova, V.B. Krys’ko, O.P. Ševčuk, I.M. Ladyženskij, pod red. V.B. Krys’ko (Il ‘Prolog’ slavo-russo secondo le più antiche copie manoscritte. Il Sinassario (sezione delle ‘Vite’ del ‘Prolog’ della redazione breve) per settembre-febbraio, I, Testo e commento, edizione preparata da L.V. Prokopenko, V. Železjakova, V.B. Krys’ko, O.P. Ševčuk, I.M. Ladyženskij, a cura di V.B. Krys’ko), Moskva 2010, pp. 68-69.
27 Velikie Minei Čet’i. Janvar’, cit., p. 67.
28 BHG 396. Velikie Minei Čet’i. Sentjabr’, cit., pp. 749-756; Ch. Hannick, Maximos Holobolos in der kirchenslavischen homiletischen Literatur, Wien 1981, pp. 94-95.
29 BHG 1633-1634. Žitie Sil’vestra, papy rimskogo v agiografičeskom svode Andreja Kurbskogo, Sostavlenie, predislovie, kommentarii V.V. Kalugina. Podgotovka tekstov V.V. Kalugina pri učastii O.A. Timofeevoj (La ‘Vita di Silvestro papa di Roma’ nel corpus agiografico di Andrej Kurbskij, Compilazione, premessa, commento di V.V. Kalugin. Preparazione dei testi di V.V. Kalugin con la partecipazione di O.A. Timofeeva), Moskva 2003.
30 K. Ivanova, Bibliotheca Hagiographica Balcano-Slavica, Sofija 2008, p. 419.
31 E. Petrucci, I rapporti tra le redazioni latine e greche del Costituto di Costantino, in Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano, 74 (1962), pp. 45-160.
32 F.J. Thomson, The Intellectual Difference, cit., pp. 67-69.
33 Cfr. A.D. Sedel’nikov, K izučeniju «Slova kratka» i dejatel’nosti dominikanca Veniamina (Per lo studio dello ‘Slovo kratko’ e dell’attività del domenicano Veniamin), in Izvestija Otdelenija russkogo jazyka i slovesnosti Akademii nauk SSSR, 30 (1925-1926), pp. 205-225, in partic. 207 nota 1.
34 A.S. Pavlov, Podložnaja darstvennaja gramota, cit., p. 39.
35 Cfr. l’edizione in: Russkij feodal’nyj archiv, cit., pp. 814-824.
36 Cfr. Rossijskaja Gosudarstvennaja Biblioteka (RGB) coll. Und. 1 (fine del XV secolo), cfr. V.M. Undol’skij, Slavjano-russkie rukopisi V.M. Undol’skogo (I manoscritti slavo-russi di V.M. Undol’skij), Moskva 1870.
37 Si veda l’edizione in A.S. Pavlov, Podložnaja darstvennaja gramota, cit., pp. 59-82.
38 Cfr. il codice RGB, coll. TSL 783 e l’edizione in: Russkij feodal’nyj archiv, cit., pp. 825-836; Cfr. anche: F. Ternovskij, Izučenie vizantijskoj istorii i ee tendencioznoe priloženie v Drevnej Rusi (Lo studio della storia bizantina e la sua applicazione tendenziosa nella Rus’ antica), Kiev 1876, fasc. 2, pp. 134-145.
39 F.J. Thomson, The Intellectual Difference, cit., p. 70.
40 V.N. Beneševič, Dva spiska slavjanskogo perevoda Sintagmy Matfeja Vlastarja, chranjaščiesja v Spb. Sinodal’noj Biblioteke (Due copie manoscritte della traduzione slava del Syntagma di Matteo Blastares, conservate nella Biblioteca Sinodale di San Pietroburgo), in Izvestija Otdelenija russkogo jazyka i slovesnosti Imperatorskoj Akademii nauk, 6,4 (1901), pp. 150-227.
41 Cfr. A.S. Pavlov, Podložnaja darstvennaja gramota, cit., p. 38 nota 4; F.J. Thomson, The Intellectual Difference, cit., p. 71.
42 Poslanieto na carigradskija Patriarch Fotija do bălgarskija knjaz Borisa (L’epistola del Patriarca di Costantinopoli Fozio al Principe bulgaro Boris) (= Bălgarski starini, V), Sofija 1917, pp. 58-59; Photii Patriarchae Constantinopolitani Epistulae et Amphilochia, ed. B. Laourdas, L.G. Westerink, I, Leipzig 1983, pp. 1-39; D. Stratoudaki White, J.R. Berrigan jr., The Patriarch and the Prince. The Letter of Patriarch Photios of Constantinople to Khan Boris of Bulgaria, Brookline (MA) 1982; A. Kazhdan, ‘Constantin Imaginaire’: Byzantine Legends of the Ninth Century about Constantine the Great, in Byzantion, 57 (1987), pp. 196-250; New Constantines. The Rhythm of Imperial Renewal in Byzantium, 4th-13th Centuries, Papers from the Twenty-Sixth Spring Symposium of Byzantine Studies (St. Andrews March 1992), ed. by P. Magdalino, Aldershot 1994; D. Češmedžiev, Imperator Konstantin I Veliki i knjaz Boris I Michail: pobedata nad ezičnicite (L’imperatore Costantino I il Grande e il principe Boris I Michele: la vittoria sui pagani), in Niš i Vizantija. Zbornik radova, VI, Niš 2008, pp. 357-368.
43 V. Vavřínek, Slovanský panovník, cit., p. 512.
44 M. Pljuchanova, Sjužety, cit., pp. 120-123.
45 E. Golubinskij, Istorija kanonizacii svjatych v russkoj Cerkvi (Storia della canonizzazione dei santi nella Chiesa Russa), Moskva 1903, pp. 56-57; V. Vodoff, Pourquoi le prince Volodimer Svjatoslavič n’a-t-il pas été canonisé?, in Harvard Ukrainian Studies, 12-13 (1988-1989), pp. 446-466; G.P. Fedotov, Kanonizacija sv. Vladimira (La canonizzazione di S. Vladimir), in Simvol, 19 (1988), pp. 159-168.
46 N.I. Serebrjanskij, Drevnerusskie knjažeskie žitija. Obzor redakcij i teksty (Le Vite dei principi russe antiche. Rassegna delle redazioni e testi), Moskva 1915, pp. 7-8; A.I. Sobolevskij, Pamjatniki drevnerusskoj literatury, posvjaščennye Vladimiru svjatomu (I monumenti della letteratura russa antica, dedicati a Vladimir il santo), in Čtenija v Istoričeskom obščestve Nestora Letopisca, II, Kiev 1888, pp. 7-68; A.Ju. Karpov, Žitie knjagini Ol’gi v redakcii pskovskogo knižnika Vasilija (v inočestve Varlaama) [La ‘Vita’ della principessa Ol’ga nella redazione del letterato di Pskov Vasilij (Varlaam nella vita monastica)], in Očerki feodal’noj Rossii, 7, Moskva 2003, pp. 84-88.
47 N.K. Nikol’skij, Materialy dlja istorii drevnerusskoj duchovnoj pis’mennosti (Materiali per la storia della letteratura religiosa russa antica). Sankt-Peterburg 1907, pp. 88-94; I.P. Eremin, Literaturnoe nasledie Kirilla Turovskogo (L’eredità letteraria di Cirillo di Turov), in Trudy Otdela Drevnerusskoj literatury, 11 (1955), pp. 342-367.
48 A.M. Moldovan, Slovo o zakone i blagodati Ilariona (Il ‘Discorso sulla legge e sulla grazia’ di Ilarion), Kiev 1984.
49 Biblioteka literatury Drevnej Rusi, (Biblioteca della letteratura della Rus’ antica), I, pod red. D.S. Lichačeva, L.A. Dmitrieva, A.A. Alekseeva et al., Sankt-Peterburg 1997, pp. 48-50.
50 A.A. Šachmatov, Razyskanija o drevnejšich russkich letopisnych svodach (Ricerche sui più antichi corpora annalistici russi), Sankt-Peterburg 1908, pp. 13-28.
51 Biblioteka, I, cit., p. 318.
52 Ivi, p. 320.
53 Ibidem.
54 Ivi, p. 322.
55 Ivi, p. 110.
56 Ivi, p. 174.
57 Sulla scia di Picchio (R. Picchio, Models and Patterns, cit.), Michele Colucci ha visto nella Vita Constantini di Eusebio di Cesarea il modello ultimo, cui risalirebbe, grazie all’intermediazione slava meridionale delle vite dei principi (Serbia, XII-XIII secolo), uno dei principali testi di questo periodo, il Racconto sulla vita di Aleksandr Nevskij (Povest’ o žitii Aleksandra Nevskogo), composto verso la fine del XIII secolo da un anonimo scrittore, attivo nella città di Vladimir (cfr. M. Colucci, La vita di Aleksandr Nevskij, in Storia della civiltà letteraria russa, a cura di M. Colucci, R. Picchio, I, Torino 1997, pp. 86-90). Nell’opera, nonostante il carattere agiografico-cavalleresco (grande rilievo nella narrazione è dato alla descrizione delle celebri vittorie militari ottenute dal principe sul fiume Nevà, nel 1240, e sul lago dei Čud’, nel 1242), non si rileva tuttavia un uso né manifesto né implicito del mito bizantino ortodosso di Costantino, tantomeno un modello eusebiano. Questo è dimostrato non solo dal silenzio dell’estensore del Racconto nei riguardi del basileus (l’unico imperatore romano nominato è Vespasiano), ma anche dall’analisi dei motivi costantiniani, presenti nei testi qui analizzati: nella letteratura e nella tradizione ecclesiastica russa fino alla seconda metà del XV secolo il ‘nuovo Costantino’ è solo Vladimir Svjatoslavič.
58 Biblioteka, cit., VI, pod red. D.S. Lichačeva, L.A. Dmitrieva, A.A. Alekseeva et al., Sankt-Peterburg 1999, p. 206).
59 Ivi, p. 206.
60 Ivi, p. 134.
61 Cfr. M. Pljuchanova, Sjužety, cit., pp. 132-133.
62 Cfr. S. Bogatyrev, The Sovereign and his Counsellors. Ritualised Consultations in Muscovite Political Culture, 1350s-1570s, Helsinki 2000, pp. 46-47.
63 Biblioteka, VI, cit., p. 174.
64 O.A. Abelenceva, Mitropolit Iona i ustanovlenie avtokefalii russkoj Cerkvi (Il metropolita Iona e l’istaurazione dell’autocefalia della Chiesa Russa), Moskva 2009, p. 352.
65 Ivi, p. 418.
66 Biblioteka, cit., VII, pod red. D.S. Lichačeva, L.A. Dmitrieva, A.A. Alekseeva et al., Sankt-Peterburg 1999, pp. 72-74).
67 Ivi, p. 80.
68 Ivi, p. 84.
69 Ivi, p. 88.
70 Ivi, p. 386.
71 Russkaja istoričeskaja biblioteka (Biblioteca storica russa), VI, Sankt-Peterburg 1880, pp. 795-802.
72 Cfr. M. Pljuchanova, Cerkovnoe predanie o Konstantine, Elene i o vozdviženii kresta v cerkovnoj žizni i v slovesnosti drevnego Novgoroda (La tradizione ecclesiastica su Costantino, Elena e sull’esaltazione della croce nella vita ecclesiastica e nella letteratura dell’antica Novgorod), in Contributi italiani al XII congresso internazionale degli slavisti (Cracovia 26 agosto-3 settembre 1998), a cura di F. Esvan, Napoli 1998, pp. 61-86.
73 P.I. Tichomirov, Kafedra novgorodskich svjatitelej so vremen vvedenija christianstva v Novgorode do pokorenija ego Moskovskoj deržave (La cattedra episcopale di Novgorod dall’epoca dell’introduzione del cristianesimo a Novgorod fino alla sua sottomissione allo Stato moscovita), I, Novgorod, 1891, pp. 49-69.
74 Fino all’annessione a Mosca, a Novgorod i vescovi erano eletti tramite sorteggio. Cfr. Makarij (Mitropolit Moskovskij i Kolomenskij), Istorija Russkoj Cerkvi (Storia della Chiesa Russa), III, Istorija Russkoj Cerkvi v period postepennogo perechoda ee k samostojatel’nosti (1240-1589) (Storia della Chiesa Russa nel periodo della sua graduale transizione verso l’autonomia), Moskva 1995, p. 145.
75 A.V. Èkzempljarskij, Velikie i udel’nye knjaz’ja severnoj Rusi v tatarskij period s 1238 po 1505 g. (I gran Principi e i Principi di udel nella Rus’ settentrionale nel periodo tartaro dal 1238 al 1505), I, Sankt-Peterburg 1889, pp. 240-241.
76 V.A. Romodanovskaja, Gennadij, in Pravoslavnaja ènciklopedija, X, Moskva 2005, pp. 588-598.
77 A.A. Alekseev, Tekstologija slavjanskoj Biblii (La tradizione testuale della Bibbia slava), Sankt-Peterburg 1999, pp. 195-201.
78 Slovo kratko, presentazione, traduzione e commento di G. Giraudo, Brescia 1976.
79 J.L. Wieczynski, The Donation of Constantine, cit., p. 162.
80 A.D. Sedel’nikov, K izučeniju «Slova kratka», cit., pp. 205-225.
81 A.I. Pliguzov, La dottrina dei primi “nestjažateli” in una prospettiva storica: dall’insegnamento di Nil Sorskij al programma di secolarizzazione di Ivan IV, in Nil Sorskij e l’esicasmo, a cura di A. Mainardi, Magnano 1995, pp. 123-142; G. Codevilla, Chiesa e impero in Russia. Dalla Rus’ di Kiev alla Federazione Russa, prefazione di S. Graciotti, Milano 2011, pp. 29-36.
82 Cfr. N.V. Kalačov, O značenii Kormčej v sisteme drevnego russkogo prava (Sull’importanza della ‘Kormčaja’ nel sistema del diritto russo antico), Moskva 1850, p. 41; A.S. Pavlov, Podložnaja darstvennaja gramota, cit., p. 42; Russkij feodal’nyj archiv, cit., pp. 791-794.
83 Biblioteka, cit., IX, pod red. D.S. Lichačeva, L.A. Dmitrieva, A.A. Alekseeva et al., Sankt-Peterburg 2000, p. 305.
84 La traduzione italiana del testo si trova in Storia della tiara bianca, a cura di A. Giambelluca Kossova, Palermo 2000.
85 D. Stremoukhoff, La Tiare, cit., pp. 123-128.
86 N.N. Rozov, Povest’ o novgorodskom belom klobuke kak pamjatnik obščerusskoj publicistiki XV veka (Il ‘Racconto sul copricapo bianco di Novgorod’ come monumento della pubblicistica russa-comune del secolo XV), in Trudy Otdela drevnerusskoj literatury, 9 (1953), pp. 178-219; I.L. Žučkova, Drevnejšij spisok Povesti o belom klobuke (La più antica copia manoscritta del ‘Racconto sul copricapo bianco’), in Slavjane i ich sosedi, (Gli slavi e i loro vicini), fasc. 11, Slavjanskij mir meždu Rimom i Konstantinopolem (Il mondo slavo tra Roma e Costantinopoli), Moskva 2004, pp. 263-269; V.M. Kirillin, Grafiko-orfografičeskij analiz rukopisnogo istočnika: k voprosu o datirovke kratkoj redakcii “Povesti o novgorodskom belom klobuke” (L’analisi grafico-ortografica della fonte manoscritta: per la questione della datazione della redazione breve del ‘Racconto sul copricapo bianco di Novgorod’), in Drevnjaja Rus’. Voprosy medievistiki, 17,3 (2004), pp. 29-38.
87 N.V. Sinicyna, Tretij Rim. Istoki i èvoljucija russkoj srednevekovoj koncepcii (XV-XVI vv.) (La Terza Roma. Origini ed evoluzione della concezione medievale russa, sec. XV-XVI), Moskva 1998.
88 M. Labunka, The Legend of the Novgorodian White Cowl. The Study of its “Prologue” and “Epilogue”, München 1998.
89 L’idea della rivendicazione dell’autorità di Novgorod, del suo diretto rapporto con il patriarcato di Costantinopoli, la convinzione espressa nel testo che l’autorità ecclesiastica deve essere protetta dalle ingerenze dello Stato non poteva incontrare il favore del gran principe di Mosca, che intendeva limitare l’autonomia dell’antico arcivescovato russo.
90 Akty istoričeskie, sobrannye i izdannye Archeografičeskoju kommissieju (Atti storici, raccolti e editi dalla Commissione Archeografica), I (1334-1598), Sankt-Peterburg 1841, pp. 331-333, nota 173.
91 S.O. Šmidt, Die Regierungstätigkeit des Metropoliten Makarij, in Forschungen zur osteuropäischen Geschichte, 7. Internationale Konferenz zur Geschichte des Kiever und des Moskauer Reiches (Berlin 20. – 24. september 1992), Wiesbaden 1995, pp. 329-336.
92 B.A. Uspenskij, Car’ i patriarch. Charizma vlasti v Rossii. Vizantijskaja model’ i ee russkoe pereosmyslenie (Lo zar e il patriarca. Il carisma del potere in Russia. Il modello bizantino e la sua reinterpretazione russa), Moskva 1998, pp. 429-461.
93 G. Ostrogorsky, Zum Stratordienst des Herrschers in der Byzantinisch-slawischen Welt, in Seminarium Kondakovianum, 7 (1935), pp. 187-204; M.S. Flier, The Iconography of Royal Procession: Ivan the Terrible and the Muscovite Palm Sunday Ritual, in European Monarchy. Its Evolution and Practice from Roman Antiquity to Modern Times, ed. by H. Duchardt, R.A. Jackson, D. Sturdy, Stuttgart 1992, pp. 109-125.
94 B.A. Uspenskij, Car’ i patriarch, cit., pp. 444-457.
95 Akty istoričeskie, cit., p. 333.
96 B.A. Uspenskij, Car’ i patriarch, cit., pp. 429-430.
97 A.S. Pavlov, Podložnaja darstvennaja gramota, cit., p. 43; J.L. Wieczynski, The Donation of Constantine, cit., p. 169. F.J. Thomson, The Intellectual Difference, cit., p. 76.
98 Pamjatniki russkogo prava (Monumenti del diritto russo), ed. S.V. Juškov, VI, Moskva 1957, pp. 256-258.
99 M. Gorčakov, Monastyrskij prikaz (1649-1725). Opyt istoriko-juridičeskogo issledovanija (Il ‘Monastyrskij prikaz’ 1649-1725. Saggio di studio storico giuridico), Sankt-Peterburg 1868.
100 A.S. Pavlov, Podložnaja darstvennaja gramota, cit., pp. 43-44; N.F. Kapterev, Patriarch Nikon i ego protivniki v dele ispravlenija cerkovnych obrjadov. Vremja patriaršestva Iosifa (Il Patriarca Nikon e i suoi oppositori nell’opera di correzione dei riti ecclesiastici. L’epoca del patriarcato di Iosif), Moskva 2003, pp. 179-180.
101 Patriarch Nikon on Church and State: Nikon’s “Refutation”, ed. by V.A. Tumins, G. Vernadsky, Berlin-New York-Amsterdam 1982, pp. 639-640.
102 N.V. Kalačov, O značenii Kormčej, cit., pp. 18-19.
103 A.S. Pavlov, Podložnaja darstvennaja gramota, cit., pp. 47-48.
104 Dopolnenija k Aktam istoričeskim, sobrannyja i izdannyja Archeografičeskoju Kommissieju (Supplementi agli Atti storici, raccolti e editi dalla Commissione Archeografica), V, Sankt-Peterburg 1853, p. 472, n. 102. Paradossalmente, il Racconto conosce invece una larga diffusione nella tradizione ecclesiastica dei più strenui oppositori di Nikon, i Vecchi credenti, che si erano opposti fermamente alle riforme del patriarca. I toni polemici nei confronti dei bizantini, espressi nel testo, sono interpretati come motivo di discredito nei confronti della Chiesa greca, alla quale Nikon si era rivolto per correggere i libri liturgici russi (cfr. F.J. Thomson, The intellectual difference, cit., pp. 87-88).
105 G. Codevilla, Chiesa e impero in Russia, cit., pp. 117-121.
106 V.N. Beneševič, Sbornik pamjatnikov po istorii cerkovnogo prava, preimuščestvenno russkoj Cerkvi do èpochi Petra Velikogo (Raccolta di monumenti sulla storia del diritto ecclesiastico, prevalentemente della Chiesa Russa fino all’epoca di Pietro il Grande), II, Sankt-Peterburg, 1915, pp. 94-155; Feofan Prokopovič, Duchovnyj reglament Petra Pervogo, (Il ‘Regolamento ecclesiastico’ di Pietro Primo), Moskva 2012.
107 Cfr. N.I. Petrov, O sud’be Vena Konstantina, cit., p. 482.
108 Ju.N. Bespjatych, Peterburg Petra I v inostrannych opisanijach (La Pietroburgo di Pietro I nelle descrizioni straniere), Leningrad 1991, pp. 258-259.
109 A.Ju. Dvorničenko, Ju.V. Krivošeev, Drevnerusskie istočniki o načale Peterburga (Le fonti russe antiche sull’origine di Pietroburgo), in Peterburgskie čtenija. Tezisy dokladov konferencii, Sankt-Peterburg 1992, p. 51.
110 Feofan Prokopovič, Sočinenija (Opere), Moskva-Leningrad 1961, pp. 55, 127; Petr I v russkoj literature XVIII veka. Teksty i kommentarii (Pietro I nella letteratura russa del XVIII secolo. Testi e commenti), ed. S.I. Nikolaev, Sankt-Peterburg 2006, p. 63.
111 Pochodnye i putevye žurnaly imp. Petra I: Pochodnyj žurnal 1711 g. (I giornali delle campagne e dei viaggi dell’imperatore Pietro I. Il giornale delle campagne del 1711), Sankt-Peterburg 1854, pp. 3-4.
112 P. Levšin, Kratkaja cerkovnaja rossijskaja istorija (Breve storia ecclesiastica della Russia), II, Moskva 1805.
113 Cfr. il caso di Melecjusz Smotrycki (F.J. Thomson, The Intellectual Difference, cit., pp. 94-96).
114 P. Levšin, Kratkaja, cit., pp. 97-98.