traduzione e lingua
La traduzione può essere intesa come atto del tradurre, cioè letteralmente ed etimologicamente il trasportare un testo da una lingua (detta di origine o di partenza) in un’altra lingua (detta di destinazione o di arrivo), perseguendo l’invarianza del senso. Oggi in italiano traduzione di solito si riferisce ai soli testi scritti; per i testi orali si preferisce il termine interpretazione (simultanea o differita, fatta in cuffia da un interprete che si trova in una cabina, quando se ne prevede l’ascolto da parte di più persone, o direttamente all’orecchio di una sola persona, nel qual caso si parla di chuchotage, in francese «sussurrio»). Nel caso di testi di partenza costituiti da trasmissioni radiofoniche registrate, o di opere filmiche, più che di traduzione si parla di doppiaggio (➔ doppiaggio e lingua).
L’operazione del tradurre da testi scritti può non dare luogo a un testo d’arrivo scritto: può essere fatta mentalmente da chi legge per capire un testo. Tuttavia è soprattutto la produzione di un nuovo testo scritto o recitato che pone problemi e ha dato vita, intorno alla metà del XX secolo, alla cosiddetta traduttologia, studio prevalentemente linguistico del processo traduttivo (Scuola di Lipsia con Otto Kade, Albrecht Neubert, Gert Jäger, Wolfram Wilss; cfr. Mounin 1963; Wilss 1977), e negli anni Settanta al diffondersi dei Translation studies, più attenti al condizionamento culturale del processo traduttivo (cfr. Bassnett-McGuire 1980; Snell-Hornby 1988; Venuti 1995).
La maggiore possibilità di confrontare opere di diverso genere offerta dai corpora testuali (➔ corpora di italiano), l’accresciuta commistione dei generi testuali creata dalla cultura digitale (➔ lingua e media) richiedono una traduttologia che sfrutti tutti gli approcci (Garzone 2005). I manuali di traduttologia usciti nel primo decennio del XXI secolo per formare gli studenti dei corsi di traduzione, universitari ed extrauniversitari, portano tutti a questa conclusione (per l’Italia, si vedano, ad es., Arduini & Stecconi 2007; Morini 2007; Faini 20082).
L’operazione del tradurre punta a mantenere il significato e lo stile del testo, ricorrendo anche a processi di adattamento, perifrasi, note esplicative. Dall’insistenza sulla fedeltà della traduzione si è passati tuttavia negli ultimi decenni a privilegiare l’efficacia pragmatica del testo, sicché scopo del traduttore sarebbe arrivare a un testo tradotto che provochi nel destinatario gli stessi effetti del testo di partenza coi suoi destinatari originari.
È ovvio che più distanti sociologicamente o diacronicamente sono i pubblici, più l’adattamento richiede efficacia. Non tutti i generi testuali peraltro ammettono adattamento: testi con valore legale (leggi, brevetti, istruzioni tecniche) hanno minimi margini di adattamento rispetto alla traduzione di testi letterari o di saggistica. L’intertestualità è una delle maggiori cause di adattamento: se un testo contiene riferimenti culturali che risultano incomprensibili al destinatario della traduzione perché poco noti o ignoti nella sua cultura, il processo traduttivo o adatta sostituendo quei riferimenti con altri che si ritengono noti al destinatario, oppure spiega i riferimenti in una NDT (= nota del traduttore, cfr. Steiner 1975; Eco 2003).
Quando l’adattamento è applicato a testi informativi o pubblicitari che accompagnano prodotti commerciali si parla di localizzazione (dall’ingl. localization; ad es., adattamento dell’interfaccia utente in software, alfabeti, direzione della scrittura; sistemi diversi di numerazione; valuta, pesi, misure, simboli, metodi di ordinamento degli elenchi, ecc.), per affermare i prodotti in mercati cosiddetti locali. Tale procedimento è reso talvolta indispensabile dalla globalizzazione che, volendo promuovere tendenze e prodotti al di fuori del mercato in cui sono stati progettati, favorisce traduzioni di traduzioni, da lingue più diffuse di quella originale, dette anche lingue pivot o lingue ponte.
La traduzione di traduzioni è situazione resa più frequente anche dai programmi di TAC (traduzione assistita da computer; ingl. CAT, computer assisted translation). Mentre la traduzione automatica, iniziata negli anni Cinquanta del XX secolo e basata su regole di traduzione (che si servivano di lessici bilingui e di una sintassi), non portò a risultati soddisfacenti, la TAC immagazzina per il traduttore umano la soluzione nelle memorie di traduzione, per un contesto simile o almeno formalmente uguale a quello che si trova a dover tradurre in quel momento. I vantaggi in ambito tecnico (rapidità, uniformità) della traduzione assistita da computer sono indubbi; non mancano però le critiche alle degenerazioni che ne derivano (perpetuazione di formule, indebita attribuzione di una traduzione solo superficialmente simile, ma inadatta al nuovo contesto). Gli studiosi sono soprattutto allarmati per lo snaturamento della sintassi che ciascuna lingua usa per un certo genere testuale; per favorire il cosiddetto matching automatico viene infatti richiesto ai traduttori dalle organizzazioni che adottano la TAC il rigido mantenimento della struttura del capoverso e della sua organizzazione interna. Tosi (2007) sintetizza tali effetti con etichette come inglese internazionale, italiano europeizzato.
Di solito una traduzione non presenta il testo originale a fianco. Se c’è il testo originale questo può essere a fronte (su due colonne o su una pagina a fronte dell’altra) o interlineare. La traduzione interlineare, usata dai filologi e dai linguisti per commentare esempi, è costituita da una prima riga in cui sotto ciascuna parola dell’enunciato è messa, rispettando l’ordine della lingua all’origine, una parola in un’altra lingua naturale che funge in quel caso da metalinguaggio (e infatti si alternano parole ed etichette per caratteristiche formali o funzionali di morfemi; ad es., Acc per «accusativo», Hon per «onorifico») e da una seconda riga che contiene la traduzione vera e propria dell’enunciato.
Fra gli aspetti più studiati dei prodotti dell’attività traduttiva ci sono i ➔ prestiti e i ➔ calchi che investono il livello morfosintattico e sintattico (cfr. Corino 2007); molta attenzione è prestata in lessicografia alla loro registrazione nei dizionari bilingui (San Vicente 2006).
Particolare interesse per lo studio della variazione delle lingue rivestono gli studi precedenti la linguistica dei corpora (vedi Arcaini 1986), e soprattutto quelli basati su corpora (vedi la raccolta Cardinaletti & Garzone 2005; ➔ corpora di italiano), che non mirano tanto a stigmatizzare errori, ma a mettere in luce l’eventuale precoce emergenza o la maggior presenza di fenomeni di variazione nelle traduzioni e la loro potenziale successiva influenza sulla lingua non tradotta. Fra i fenomeni evidenziati sono l’uso degli allocutivi (➔ allocutivi, pronomi), la sintassi del ➔ soggetto, la referenza pronominale (➔ pronomi). Ad es., analizzando l’uso degli allocutivi nelle detective stories degli ultimi 50 anni, si è notato un frequente uso del pronome voi al posto del lei, forse a causa dell’interferenza del pronome you inglese. A proposito dei pronomi personali soggetto in traduzioni dall’inglese all’italiano, si è rilevato un uso improprio dei pronomi personali anche in frasi dove sarebbe possibile ometterli. Quanto alla posizione del soggetto dei verbi inaccusativi (➔ inaccusativi, verbi) nelle traduzioni dall’inglese e dal tedesco in italiano, si osserva una forte presenza di soggetti preverbali dove l’italiano avrebbe una posizione postverbale.
È diffusa l’ipotesi che l’aumento dell’uso della perifrasi progressiva (➔ perifrastiche, strutture) e la sua specializzazione per indicare l’➔aspetto progressivo in italiano sia dovuta all’influsso dell’inglese. Confrontando testi giornalistici italiani tradotti dall’inglese e testi spontanei si è notato come il numero di perifrasi progressive sia più elevato nelle traduzioni dall’inglese che nei testi originali italiani.
Quanto agli ➔ avverbi, si è notato l’aumento di frasi italiane che iniziano con sfortunatamente (invece di purtroppo), possibilmente e sperabilmente, rispettivamente per influsso degli inglesi unfortunately, possibly e hopefully, anziché affidare l’espressione della modalità a verbi come dovere o potere + infinito o al modo condizionale.
Arcaini, Enrico (1986), Analisi linguistica e traduzione, Bologna, Pàtron.
Arduini, Stefano & Stecconi, Ubaldo (2007), Manuale di traduzione. Teorie e figure professionali, Roma, Carocci.
Bassnett-McGuire, Susan (1980) Translation studies, London - New York, Methuen.
Cardinaletti, Anna & Garzone, Giulia (a cura di) (2005), L’italiano delle traduzioni, Milano, Franco Angeli.
Corino, Elisa (2007), Didattica della traduzione e lessico. Uno studio sui metodi di correzione degli errori lessicali nelle traduzioni di apprendenti germanofoni di italiano, in Prospettive nello studio del lessico italiano. Atti del IX congresso della Società Internazionale di Linguistica e Filologia Italiana (Firenze, 14-17 giugno 2006), a cura di E. Cresti, Firenze, Firenze University Press, 2 voll., vol. 2°, pp. 653-660.
Eco, Umberto (2003), Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Milano, Bompiani.
Faini, Paola (20082) Tradurre. Manuale teorico e pratico, Roma, Carocci (1a ed. Tradurre. Dalla teoria alla pratica, Roma, Carocci, 2004).
Garzone, Giuliana (a cura di) (2005), Esperienze del tradurre. Aspetti teorici e applicativi, Milano, Franco Angeli.
Morini, Massimiliano (2007), La traduzione. Teorie, strumenti, pratiche, Milano, Sironi.
Mounin, Georges (1963), Les problèmes théoriques de la traduction, Paris, Gallimard.
San Vicente, Felix (a cura di) (2006), Lessicografia bilingue e traduzione. Metodi, strumenti, approcci attuali, Monza, Polimetrica.
Snell-Hornby, Mary (1988), Translation studies. An integrated approach, Amsterdam - Philadelphia, John Benjamins.
Steiner, George (1975), After Babel. Aspects of language and translation, Oxford University Press (trad. it. Dopo Babele. Aspetti del linguaggio e della traduzione, Milano, Garzanti, 1994).
Tosi, Arturo (2007), Un italiano per l’Europa. La traduzione come prova di vitalità, Roma, Carocci.
Venuti, Lawrence (1995), The translator’s invisibility. A history of translation, London - New York, Routledge (trad. it. L’invisibilità del traduttore. Una storia della traduzione, Roma, Armando, 1999).
Wilss, Wolfram (1977), Übersetzungswissenschaft. Probleme und Methoden, Stuttgart, Klett.