Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La medicina del XV secolo, e in particolare quella italiana, è stata in molti sensi una nuova e diversa “esperienza del passato” (Giovanna Ferrari). La filologia umanistica, con i suoi metodi e i suoi strumenti, si estende a ogni ambito del sapere, realizzando un cambiamento di prospettiva che ci appare oggi del tutto contraddittorio, essendo basato su una restituzione e rilettura di testi antichi che i secoli precedenti – pur ricchi di riferimenti al passato – non avevano conosciuto.
La “rinascita” scientifica, le nuove forme testuali e l’impatto della stampa
La medicina è stata nel corso del Medioevo un sapere per molti versi dominato dalla dimensione testuale, nel quale mutamenti profondi della pratica e riorganizzazioni delle conoscenze si sono legati spesso, oltre che ai mutamenti geopolitici di lungo periodo, anche alla ripresa di testi del passato, e in particolare dell’Antichità.
Ciò che caratterizza il XV secolo è però la nuova consapevolezza che leggere e tradurre testi, e rintracciarne il senso profondo, non è un’operazione meccanica o semplice; che i fatti elencati, illustrati e descritti nei testi antichi o di età passate vanno confrontati non solo con altri testi, ma anche con fatti e dati di esperienza. Per molti secoli i medici sono stati i filosofi naturali più esposti ai dati di esperienza: la medicina e la cura erano saperi e pratiche nei quali l’esperienza della complessità del reale è stata una pietra di paragone inevitabile su cui articolare il sapere canonico. Tuttavia i medici del periodo umanistico sono i primi a possedere la consapevolezza di vivere in un’epoca di novità, anche se questa novità consiste soprattutto in un recupero di testi antichi e delle loro “verità”. Uno dei massimi rappresentanti di questo atteggiamento nuovo è il medico vicentino Nicolò Leoniceno, un ottimo grecista e il protagonista italiano della “rinascita” di Galeno. Leoniceno insegna per 60 anni a Ferrara, contribuendo a fare di questa università, per un periodo relativamente breve, uno dei centri italiani dell’umanesimo medico e scientifico. Egli aveva però studiato a Padova.
Lo Studium patavino diviene nel Quattrocento forse il più importante dell’Europa intera per gli studi medici, anche grazie all’accorta politica veneziana, sotto la cui giurisdizione l’istituzione passa all’inizio del secolo. Padova accoglie studiosi di gran valore: nei secoli XV e XVI la mobilità dei professori è altissima, e le università fanno a gara nel disputarsi i migliori, che consentono di conseguenza di attirare le popolazioni studentesche provenienti dalle diverse parti d’Europa.
Leoniceno insiste soprattutto su un recupero accurato e critico delle fonti greche della medicina, a suo parere già fraintese dalla cultura latina. Autore di opere di embriologia e di critica testuale, Leoniceno è in grado di interpretare le opere galeniche sullo sfondo della tradizione aristotelica, avvalendosi anche dello studio dei commentatori più tardi, quali Temistio e Simplicio.
La vastità della sua cultura, ma anche la specializzazione dei suoi interessi, sono dimostrati dalla sua biblioteca, ricca di opere della cultura umanistica italiana (Daniela Mugnai Carrara). Tuttavia la sua personalità non può essere compresa se non sullo sfondo del riavvicinamento tra il mondo latino e quello bizantino, che ha il suo culmine, a metà secolo, nell’effimera riconciliazione tra le Chiese d’Oriente e d’Occidente, nella caduta di Costantinopoli e nell’arrivo, soprattutto in Italia, dei dotti di lingua e di cultura greca.
La retorica della “rinascita” che percorre i testi scientifici e medici di questo periodo, e il loro ostentato classicismo, si concretizzano così in un attacco violento contro la cultura dell’immediato passato, la scolastica medica del Duecento-Trecento, e più ancora contro la cultura araba. Il mutamento di clima non viene registrato se non molto lentamente dai curricula universitari, nei quali il Canon di Avicenna e i testi dell’Articella non perdono la posizione di privilegio di cui godevano. Nonostante ciò, la cultura medica araba e quella latina che l’aveva tradotta in Occidente sono considerate dagli autori più aggiornati di questo periodo come barbare e decadenti; lo sforzo di scrivere in un buon latino, e di andare direttamente alle fonti mediche greche, è leggibile fin nei titoli dei lavori e nella terminologia utilizzata.
Alla fine del secolo la rivoluzione comunicativa e materiale della stampa a caratteri mobili, inventata in area renana e rapidamente diffusa nel continente, e in particolare in Italia, ridefinisce le possibilità di trasmissione della cultura medicoscientifica. La discussione sul ruolo della stampa nel movimento che è stato definito della “rivoluzione scientifica” è ancora aperta, e anche se sembra poco persuasiva la tesi secondo la quale la prima sarebbe stata la causa diretta della seconda (Elisabeth Eisenstein), è indubbio che la stampa incoraggia, sul lungo periodo, una stabilità e una ripetibilità testuale, nonché una diffusione capillare delle opere scritte, cui neppure l’altissima capacità artigianale della produzione di manoscritti del Tre-Quattrocento potevano tenere testa. Tra i primi testi medici pubblicati, non sorprendentemente, vi è l’Articella, la cui diffusione nelle università garantisce agli stampatori un affare sicuro.