traffico marittimo, nuove rotte del
tràffico marìttimo, nuòve rótte del. – Il traffico marittimo mondiale soffre di alcune storiche strozzature che impongono alle grandi navi da carico, alle portacontainer, alle superpetroliere lunghe circumnavigazioni continentali. I principali colli di bottiglia sulle lunghe rotte internazionali restano il Canale di Panamá, il Canale di Suez, lo Stretto di Gibilterra, lo Stretto di Malacca. Il primo in particolare, aperto nel 1914, ma inaugurato nel 1920 dopo la fine della Prima guerra mondiale per evitare la circumnavigazione dell’America del Sud, è diventato inadeguato. Le sue caratteristiche lo rendono inagibile alle navi postpanamax, che superano 300 m di lunghezza (i cargo di oltre 75.000 tsl, tonnellate di stazza lorda), costrette ancora oggi a doppiare Capo Horn. Nel 2007, dopo una lunga preparazione, sono stati avviati imponenti lavori di ampliamento che dovrebbero consentire il passaggio a navi fino a 366 m di lunghezza (120.000 tsl) attraverso una terza via di navigazione parallela alle due esistenti. I lavori, con un costo previsto di 5,2 miliardi di dollari, dovrebbero essere conclusi entro il 2014. L’ampliamento consentirà il passaggio dei grandi cargo che fanno la spola tra Cina, Giappone e i porti della costa orientale nordamericana, con un netto incremento dell’interscambio tra due delle aree più dinamiche del pianeta. La necessità di più agevoli collegamenti tra i due oceani ha spinto anche un altro stato dell’America Centrale, il Nicaragua, a progettare la realizzazione di un canale concorrente a Panamá. Sfruttando il grande bacino d’acqua del Lago Cocicolba, al centro del Paese tra le due coste, il Nicaragua intende creare una via abbastanza ampia al fine di consentire il passaggio di navi ancora più grandi, fino a 250.000 tsl. Si tratta di un progetto da 20 miliardi di dollari ancora alle fasi iniziali, ma considerato competitivo a causa della sua posizione geografica e dello sviluppo atteso nel traffico marittimo tra i due oceani. Le possibili rotte tra Atlantico e Pacifico non si esauriscono nei passaggi al centro o al Sud del continente americano. Alternative più estreme sono allo studio al Nord, complice l’innalzamento delle temperature e il parziale scioglimento dei ghiacci nella zona artica. Il passaggio a nord-ovest, una rotta dall’Atlantico al Pacifico attraverso l’arcipelago artico, a nord del Canada e la circumnavigazione dell’Alaska consentirebbe di ridurre di 4000 km l’attuale percorso centrato sul Canale di Panamá. Ad aprire la via fu, nel 1969, la petroliera statunitense Manhattan, dotata di prua rompighiaccio, prima nave mercantile a compiere l’intero percorso est-ovest, dalla Baia di Baffin alla Baia di Prudhoe in Alaska e ritorno. Ma l’iniziativa non ebbe seguito anche per le proteste dei canadesi, che considerano quel tratto di mare acque interne. Ora, con gli effetti del riscaldamento globale sulla permanenza dei ghiacci le prospettive potrebbero mutare. Altra rotta all’estremo nord suscettibile di sviluppi è l’Arctic bridge, cui è molto interessata la Russia per un collegamento, a settentrione, tra il porto di Murmansk e quello canadese di Churchill nella Baia di Hudson, sbocco dell’export di grano del Manitoba. Si tratta di una via diretta dalle notevoli potenzialità per l’interscambio non solo tra Russia e Canada, ma anche tra i mercati nordamericani e quelli euroasiatici. Il porto di Churchill è tuttavia aperto solo cinque mesi l’anno, da luglio a novembre, a causa della presenza di ghiacci (il cambiamento climatico potrebbe favorire l'estensione di tale finestra temporale). La trasformazione avvenuta negli ultimi anni nel commercio internazionale ha anche ridato centralità al Mediterraneo, tornato a un ruolo di primo piano nelle grandi correnti di traffico. Il flusso dei cargo oceanici che fanno la spola tra Asia ed Europa percorrendo la rotta Suez-Gibilterra ha modificato geografia e importanza del sistema portuale europeo. Gli scali maggiori, in Italia, Francia e Spagna, si sono trasformati in hubs, in moderne aree di transhipment, dove il carico viene trasferito dalle grandi portacontainer transoceaniche (navi-madre) a navi più piccole (feeders) verso la destinazione finale, secondo lo schema hub & spoke («mozzo e raggi») ampiamente adottato nei sistemi aeroportuali. A lungo in secondo piano rispetto ai grandi scali dell’Europa settentrionale (Rotterdam in testa), i porti del Mediterraneo hanno recuperato posizioni e generato positivi effetti indotti sulle economie di tutto il bacino. Resta il problema delle infrastrutture di supporto (accessi, collegamenti stradali e ferroviari, piattaforme logistiche), in molti casi ancora inadeguate e lontane dagli standard delle grandi aree portuali dell’Atlantico.