trafiggere
Ricorre nell'Inferno, nel Purgatorio e, una volta, nelle Rime, quasi sempre in rima.
In senso proprio è adoperato nel significato di " ferire con un'arma da punta " o anche, semplicemente, di " colpire ", e ha quindi un valore meno puntuale che non nella lingua moderna in quanto non esprime l'idea del trapassare da parte a parte. In Pg XXVIII 65 Venere, trafitta / dal figlio, è riferito all'episodio mitologico di Venere, casualmente ferita da una freccia di Cupido (cfr. Ovidio Met. X 526). In tutti gli altri esempi ricorre nella narrazione delle orripilanti metamorfosi subite dai ladri che, " colpiti " da un serpente, assumono a loro volta aspetto serpentino: If XXIV 98 a un ch'era da nostra proda, / s'avventò un serpente che 'l trafisse / là dove 'l collo a le spalle s'annoda; e così in XXV 86 e 88 (dove compare il participio passato trafitto con valore di sostantivo). Medesima accezione in contesto figurato il verbo ha in Rime CXIII 5 Io che trafitto sono in ogni poro / del prun che con sospir si medicina.
Allorquando è usato in senso figurato, non si discosta dall'uso moderno. È perciò riferito a un dolore fisico lancinante (If XXVII 12 el pareva dal dolor trafitto), a una preoccupazione intensa e pungente (Pg XXV 6 come fa l'uom... / se di bisogno stimolo il trafigge) o alla passione d'amore: ne la vista mi percosse / l'alta virtù che già m'avea trafitto prima ch'io fuor di puerizia fosse (XXX 41). Con queste parole D., allorquando Beatrice gli compare dinanzi nel Paradiso terrestre, rievoca l'amore suscitato in lui dalla gentilissima: " verbo universale, come ‛ ferire '; ma richiama il motivo delle ferite inferte da Cupido " (Mattalia) e, a sostegno, è possibile rifarsi a esempi del lessico virgiliano (Georg. II 476 " ingenti percussus amore ") e biblico (Canti 4, 9 " Vulnerasti cor meum, soror mea sponsa "), citati dal Tommaseo.