Boccalini, Traiano
Nasce a Loreto, quasi sicuramente nel 1556. Figlio di Giovanni da Carpi, architetto della Santa Casa, si iscrive, pur di malavoglia, alla facoltà di legisti dello Studio di Perugia, e nel 1582 consegue la laurea in utroque iure. Nel 1584 sposa a Roma Ersilia Ghislieri, pronipote di Pio V, da cui avrà i figli Rodolfo, Clemente e Caterina. Per alcuni anni resta impegnato negli uffici della curia, e dagli inizi degli anni Novanta prende avvio l’attività di amministratore della giustizia civile e penale in piccole sedi dei possedimenti pontifici, attività compensata con miseri stipendi. Nel marzo del 1612 decide di abbandonare l’ultimo impiego assegnatogli, il governo di Nocera Umbra, per stabilirsi a Venezia e dedicarsi alla pubblicazione della prima centuria dei Ragguagli di Parnaso. A Venezia muore il 29 novembre 1613, e le sue spoglie vengono sepolte nelle fosse comuni della sala capitolare della chiesa di S. Giorgio Maggiore (Firpo 1969; Marconi 1998). B. si dedicò con fervore alla stesura dei Ragguagli a partire dal 1605; la prima centuria dell’opera venne pubblicata, come accennato sopra, nel 1612 a Venezia, presso Pietro Farri, con dedica al cardinal Borghese, mentre la seconda centuria presso Barezzo Barezzi, sempre a Venezia, nel 1613, con dedica al cardinal Caetani. Altri ragguagli inediti vennero pubblicati nel 1614 ancora a Venezia, senza note tipografiche, nell’opuscolo La cetra d’Italia e ad Amsterdam nel libretto dal titolo Pietra del paragone politico, Cosmopoli, presso Ambros Teler. L’opera diede all’autore immediato e ampio successo con numerose ristampe in Italia, e a fine Seicento il testo era impresso e conosciuto in tutta Europa (Hendrix 1995). La fama ottenuta subito dai Ragguagli resta legata all’invenzione di un genere letterario che esalta le potenzialità di comunicazione dell’arte tipografica:
autore di questi avvisi è il «menante» che – in forma ironica, grazie a una scrittura aforistica e allegorica – offre informazioni reali e suggestioni di pura fantasia a un pubblico sempre più ampio di lettori curiosi e divertiti (il primo titolo che B. aveva assegnato all’opera era stato Avvisi dei menanti di Parnaso). Oltre che al loro valore letterario, i Ragguagli devono il successo alla vena antispagnola, ben accolta da vari ambienti in Europa (Meinecke 1924; De Mas 1982).
La formazione di B., improntata alla tradizione letteraria di fine Cinquecento, risente dell’erudizione e del classicismo rinascimentali. Autori di sicuro riferimento per B. sono Niccolò Franco e Anton Francesco Doni; in modo diverso, egli mostra il proprio fastidio nei confronti di Giovanni Della Casa e della trattatistica della «civil conversazione», che pure avrebbero fatto da battistrada per la formulazione dell’articolato progetto degli scrittori di ragion di Stato (II 28). Ecco allora il gazzettiere dei Ragguagli porsi al servizio della Repubblica letteraria: dal monte Olimpo egli offre informazioni sulle apprensioni di Apollo, reggitore dello Stato di Parnaso, relative alle pessime condizioni in cui versa il mondo degli esseri umani; si tratta della corruzione dei comportamenti e dei costumi che B. descrive con richiami di vicende e aneddoti della vita quotidiana in cui risibilmente risultano coinvolti i grandi protagonisti della cultura dell’antichità e dell’epoca a lui contemporanea.
L’altra scrittura che assegna all’autore un posto di assoluto rilievo nella trattatistica politica europea del Seicento è lo straordinario lavoro di commento all’opera di Tacito. In questo testo, stampato postumo solo negli anni Settanta del secolo (ma inediti in più esemplari restano i commenti ai libri XI-XIII degli Annali e al libro IV delle Storie: Tirri 1998), B. impegna le approfondite conoscenze acquisite nello studio degli storici e dei pensatori politici antichi e moderni. Già nei Ragguagli la figura di Tacito acquista una motivata centralità: egli è considerato «padre della prudenza umana e vero inventor della moderna politica» (I 84), per quanto venga pure descritto come «scrittore agli uomini buoni sopra modo odioso» poiché con la sua dottrina politica forma crudeli tiranni, trasformando i sudditi da «pecore mansuete» in «viziosissime volpi» (I 86). Il gazzettiere ci informa che, con disappunto e diniego da parte di Apollo, i maggiori letterati del Parnaso avevano richiesto che Tacito potesse riscrivere le parti andate perse degli Annali e delle Storie (I 84); peraltro, lo storico – sottoposto alla grave accusa di aver costruito con i suoi scritti quegli «occhiali politici» che rendono trasparenti le pratiche delle monarchie rivolte a «gettar la polvere negli occhi ai sudditi loro» – viene graziato dallo stesso Apollo (II 71). L’importanza che B. assegna all’opera tacitiana consiste anzitutto nel riconoscimento del valore dello scrittore che ha ricostruito con lucida intelligenza e acutezza psicologica splendori e decadenza della storia di Roma. Inoltre, il richiamo a Tacito rinvia al tentativo di descrivere gli avvenimenti presenti assumendo il criterio realistico dell’autonomia della politica; è facile dunque riconoscere dietro la figura dello storico pensieri e suggestioni che provengono dalla riflessione sugli scritti di Machiavelli. Per questi decisivi aspetti le scritture di B. costituiscono uno dei percorsi dei cosiddetti tacitismi, un contributo sicuramente differente rispetto alla lettura di Tacito che proviene dagli ambienti cattolici (Toffanin 1921). Con finalità ed esiti pure diversi, gli scrittori tacitisti utilizzano il geniale pensiero del Fiorentino ponendo in atto una precisa strategia espositiva: dapprima, M. viene esplicitamente dichiarato autore empio e ateo; il suo discorso politico viene quindi neutralizzato nella parte che apre alle prospettive innovative del «vivere libero, civile e politico», mentre la precettistica prudenziale contenuta nel Principe – che dà forma alla nozione machiavelliana del «principe nuovo» – viene riferita alla figura di Tiberio e quindi assimilata in una cornice argomentativa di conservazione politica.
Nei Ragguagli lo «scelerato» M. è denunciato affianco all’«empio» Bodino (I 32). In particolare, in un famoso ragguaglio, M. viene raffigurato come il soggetto che, trattando acutamente di cose politiche, spinge i cittadini alla sedizione contro chi governa; imprigionato e condannato dai «giudici criminali» alla pena del fuoco, egli ottiene da Apollo di potersi difendere; cerca di discolparsi dichiarando di avere solamente trascritto precetti e regole di Stato di cui i principi normalmente si avvalgono, e di avere in questo modo contribuito a rivelare l’ipocrisia dei potenti. Nel momento in cui i giudici sembrano quasi convinti a rivedere la loro decisione, l’avvocato fiscale interviene per chiedere un’ulteriore esemplare condanna poiché M. è
di notte stato trovato in una mandra di pecore, alle quali s’ingegnava di accomodare in bocca i denti posticci di cane, con evidente pericolo che si disertasse la razza de’ pecorai, persone tanto necessarie in questo mondo (I 89).
Riconosciuta l’intenzione determinata di M. di voler a ogni costo «porre il mondo tutto in combustione», addirittura stravolgendo «la molta semplicità e l’infinita mansuetudine del gregge», è confermata per lui la tremenda sanzione. Un’interpretazione del ragguaglio, diffusa nel 18° sec. soprattutto presso i pensatori francesi e ripresa in Italia nel periodo risorgimentale, ha voluto leggere in questa rappresentazione di M. la figura del fustigatore dei principi e del pensatore protodemocratico, nonché una coperta adesione al pensiero machiavelliano (Schellhase 1976; Barcia 1998). Ma – a guardar meglio – negli esiti di quel racconto M. viene giudicato suggeritore di innovazioni politiche pericolose e quindi condannato, a differenza di Tacito; l’interesse principale di B. è insomma la polemica denuncia dell’ipocrisia dei potenti svolta in termini satirici (cfr. anche Hendrix 1995, pp. 238-53).
Nel commentario a Tacito – pubblicato parzialmente nei tre volumi della Bilancia politica (1678) – B. persegue l’obiettivo di configurare nel modo migliore virtù e funzioni del principe. Sul modello di Tiberio, questi deve mostrarsi capace di sottrarre lo Stato alle conseguenze distruttive di «contentioni» e rivolte (I 43, 142, 213, 220); deve essere in grado di assegnare alla vita civile una condizione di «dolce quiete» (I 3, 5-6, 142, 362). In tale articolato progetto, B. – distanziandosi da M. – condanna gli Stati che hanno vissuto conflitti permanenti e irrisolvibili (in particolare Roma e Firenze), mentre mostra di aderire con piena convinzione alla felice e perdurante esperienza della serenissima Repubblica di Venezia, «ritratto e scudo d’ogni buon governo» (I 352). Su un altro versante, l’autore riprende da M. argomentazioni e precetti che possano rispondere alle funzioni necessarie di governo da parte di un «prencipe nuovo» – nominato in questo modo lungo l’intero corso della trattazione (I 6, 35, 48, 137, 142, 184, 191, 340, 466) – capace di garantire libertà e benessere ai soggetti grazie a dispositivi di prudenza politica. Molteplici sono i punti in cui, seppure in forma non dichiarata, risalta in modo evidente l’utilizzazione di suggerimenti che provengono dagli scritti machiavelliani (Sterpos 1971); conviene riferire di alcune più significative corrispondenze: il principe colpirà i potenti (I 357) mentre dovrà pure procurarsi l’«affezione dei popoli» (I 466: cfr. Principe ix); il governo di prudenza rende lecito ogni genere di crudeltà (II 157), come in Principe xvii; il principe deve «accomodare i costumi suoi a quei tempi che corrono» (II 80), confrontabile, in qualche modo, con Principe xxv e Discorsi III ix; al principe nuovo risulta necessario l’utilizzo di milizie autonome, non mercenarie (I 218: cfr. Principe xii); per garantire gli aggiornamenti utili al mantenimento del governo, al fine di «ringiovenir le leggi», viene utilizzata l’espressione dei Discorsi (III i) di «ripigliar lo Stato» (I 241).
Il commento degli scritti di Tacito costruisce un discorso sostanzialmente prudenziale, che assume i caratteri dell’utilizzazione appropriata dei saperi storici al fine di mettere capo a un governo di «quiete», di realistica e intelligente conservazione politica. Con questi caratteri, le scritture di B. mostrano affinità con la trattatistica della ‘ragion di Stato’ (aspetto cui dà gran rilievo Meinecke 1924). In realtà, nei Ragguagli, esplicito è il riferimento all’opera di Giovanni Botero (Della ragion di Stato, 1589): in II 87, si riferisce che i politici vogliono canonizzare il trattato boteriano, mentre i letterati richiedono di cambiarne il titolo; la ragion di Stato viene criticata perché è «una legge utile agli Stati, ma in tutto contraria alla legge di Dio e degli uomini». Altrove, la ragion di Stato è descritta come eterno e necessario strumento rivolto al mantenimento del potere: furono infatti «gli antichi romani veri maestri della perfetta ragion di Stato» (I 67); Tacito viene definito «oracolo della vera ragion di Stato» (I 86) e Tiberio la utilizza per «mera necessità politica» (II 33). In un altro importante ragguaglio (I 77), a conclusione del tentativo svolto da Solone rivolto a impegnare i sette savi di Grecia in un’opera di riforma dei mali del mondo, viene richiamato il decisivo giudizio di Tacito secondo cui è impossibile introdurre innovazioni e «conviene lasciar questo mondo come altri l’ha trovato». Nelle Osservationi politiche su Tacito viene ripresa la fondamentale considerazione di Botero secondo cui la ragion di Stato coincide con le ragioni degli «interessi» che legano il principe-pastore ai sudditi-pecore (I 186); anche in questo scritto, come pure negli appunti segnati in modo sistematico quasi sicuramente per la compilazione di un trattato politico (Ragguagli III, pp. 314-25), risulta evidente come il tacitismo boccaliniano costituisca un percorso particolare d’adesione al laboratorio italiano della ragion di Stato, come condivisione di quell’arte prudenziale, razionale più che morale, finalizzata all’esercizio dinamico della politica conservativa (Borrelli 1998).
In definitiva, le scritture di B. costituiscono un tratto, tra i più considerevoli, della ‘fortuna segreta’ di M. (Sterpos 1971, p. 283); peraltro, la sensibilità straordinaria di letterato – che consente a B. un’invenzione stilistica originalissima – non apre a indirizzi di radicale novità sul versante del pensiero politico.
Di certo, resta indelebile l’impronta segnata nella cultura italiana da parte di uno scrittore ‘malinconico’ e ‘triste’ – secondo l’unanime considerazione di Giuseppe Toffanin, Paolo Treves e Luigi Firpo – che racconta con amara ironia una storia di decadenza civile.
Bibliografia: Ragguagli di Parnaso e scritti minori, a cura di L. Firpo, 1° e 3° voll., Bari 1948; Comentarii di Traiano Boccalini romano sopra Cornelio Tacito, Cosmopoli 1677; La bilancia politica di tutte le opere di Traiano Boccalini. Parte prima, dove si tratta delle osservationi politiche sopra i sei libri degli Annali di Cornelio Tacito. Parte seconda, nella quale si comprendono le osservationi [...] sopra il primo libro delle Storie [...] e sopra la Vita di Agricola. Parte terza, contenente alcune lettere politiche, et historiche [...] ricourate, ristabilite, e raccomodate dalla diligenza e cura di Gregorio Leti, Castellana 1678.
Per l’introduzione alla vita e agli scritti di B si vedano: L. Firpo, Storia malinconica di uno scrittore lieto, «Nuova antologia», 1944, 1724, pp. 99-106; T. Bozza, Scrittori politici italiani dal 1550 al 1650, Roma 1949, pp. 15, 117-20, 123-25, 198; L. Firpo, Boccalini Traiano, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 11° vol., Roma 1969, ad vocem; R. Savelli, Su una lettera inedita di Traiano Boccalini e alcuni manoscritti di Giulio Pallavicino, «Il pensiero politico», 1983, 16, pp. 403-09; H. Hendrix, Traiano Boccalini fra erudizione e polemica. Ricerche sulla fortuna e bibliografia critica, Firenze 1995; L. Marconi, Traiano Boccalini studente a Perugia (1578-1582). Documenti inediti sulla permanenza e laurea nello Studium perugino, «Il pensiero politico», 1998, 31, pp. 73-87; A. Tirri, Materiali per un’edizione critica delle Osservazioni a Cornelio Tacito di Traiano Boccalini, «Il pensiero politico», 1998, 31, pp. 455-85.
Per la letteratura critica su B., M. e tacitismo: G. Toffanin, Machiavelli e il «Tacitismo», Padova 1921, rist. Napoli 1972, pp. 191-209; F. Meinecke, Die Idee der Staatsräson in der neuren Geschichte, München-Berlin 1924, pp. 88-112; P. Treves, Sul pensiero politico di Traiano Boccalini, «Nuova rivista storica», 1931, 15, pp. 434-43; B. Croce, Traiano Boccalini, ‘il nemico degli Spagnuoli’, in Id., Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, 3° vol., Bari 1952, pp. 285-97; C. Varese, Traiano Boccalini, Padova 1958; M. Sterpos, Boccalini tacitista di fronte a Machiavelli, «Studi secenteschi», 1971, 12, pp. 255-83; K.C. Schellhase, Tacitus in Renaissance political thought, Chicago-London 1976, pp. 145-49; E. De Mas, L’attesa del secolo aureo (1603-1625), Firenze 1982, pp. 127-29; F. Barcia, Boccalini tra Machiavelli e Tacito, «Il pensiero politico», 1998, 31, pp. 307-11; G. Borrelli, Boccalini e la ragion di Stato, «Il pensiero politico», 1998, 31, pp. 303-07; H. Hendrix, Un letterato politico: ambizioni e disinganni di Traiano Boccalini, «Il pensiero politico», 1998, 31, pp. 316-20; P. Guaragnella, Retorica e ragion di Stato in Traiano Boccalini, in Id., Tra antichi e moderni. Morale e retorica nel Seicento italiano, Lecce 2003, pp. 127-56.