Tramonta l’erede di Mao
Dalla nuova rivoluzione culturale alla lotta fra bande. Rapida ascesa e precipitosa caduta del dirigente cinese Bo Xilai, sullo sfondo di suicidi, omicidi, corruzione. Ne esce vincitore il capo della fazione riformista Wen Jiabao.
Chi lo ha seguito in questi anni, chi lo ha visto battersi per instaurare un neomaoismo nella sua Chongqing per poi proiettarlo in tutta la Cina, chi lo ha visto diventare sempre più forte e famoso grazie a una feroce battaglia porta a porta anticorruzione non avrebbe mai pensato che il futuro di Bo Xilai non sarebbe stato quello di un importante leader cinese.
Invece, per ironia della sorte, proprio quella lotta alla corruzione, proprio quell’uomo che con lui e per lui aveva combattuto i mali di Chongqing ne hanno decretato la fine. Andiamo con ordine.
Fino agli inizi di febbraio, Bo Xilai, segretario del Partito comunista della metropoli del Sud, è uno dei più conosciuti leader cinesi, uno dei più apprezzati, con un altissimo tasso di popolarità, tale da portarlo ad autocandidarsi al politburo cinese, l’élite dei governanti del partito. Copertine di giornali, blog ‘rossi’, sms, una popolarità alle stelle grazie a una lunga battaglia contro le triadi, che ha portato a migliaia di arresti e a 20 condanne a morte. Niente sembra scalfire Bo Xilai e il suo braccio destro Wang Lijun, il superpoliziotto braccio armato dell’operazione contro il malaffare di Chongqing. Ma qualcosa succede.
Il 2 febbraio, Wang Lijun viene rimosso dalla carica di capo della polizia di Chongqing per essere mandato in «vacanza dal troppo lavoro». In più lascia la divisa e viene nominato vicesindaco della città più popolosa della Cina. Quella che può sembrare una promozione in Cina ha invece i contorni dell’epurazione.
Il 6 febbraio Wang ha trascorso l’intera giornata nel consolato americano di Chengdu. Nessuno spiega perché ci sia andato, nonostante molti parlino di richiesta d’asilo. Secondo informazioni diffuse sulla Rete, all’esterno del consolato ad attendere l’ex superpoliziotto c’erano investigatori arrivati sia da Pechino sia da Chongqing. Wang avrebbe preferito andare con i primi e sarebbe finito nella capitale, dove è stato messo sotto accusa. Da lì è cominciata la parabola discendente di Bo, che prima ha perso le prime pagine dei giornali, poi ha dovuto spiegare le sue ragioni in una conferenza stampa (tanto che si erano diffuse voci di sue dimissioni), fino alla destituzione da tutte le cariche il 15 marzo, in pieno congresso.
Wang ha raccolto dossier che incastrerebbero Bo Xilai. Entrambi si sarebbero lanciati accuse e sono state diffuse lettere, non si sa quanto attendibili, di Wang su Bo. Di sicuro, i due erano già al centro di diversi scandali. Li Jun, un imprenditore di Chongqing fuggito all’estero nel 2011, ha accusato Bo e Wang di aver usato il terrore per togliere di mezzo non i mafiosi, ma gli imprenditori privati, per aprire la strada alle imprese statali, controllate dai loro alleati.
Un alto funzionario della metropoli si è suicidato in circostanze poco chiare. Un altro imprenditore di Chongqing, Zhang Mingyu, è stato arrestato a Pechino dopo aver accusato di corruzione, attraverso Internet, alcuni alleati di Bo.
Dal 15 marzo, ne è passata di acqua sotto i ponti, soprattutto quelli di Chongqing, e intorno a Bo Xilai le autorità cinesi hanno fatto il vuoto, come uno schiacciasassi che cancella qualsiasi cosa trovi. Dopo di lui è caduta sua moglie, Gu Kailai.
Il Wall Street Journal l’aveva definita «la Jackie Kennedy della Cina». Ma Gu Kailai, 53 anni, è andata molto più in là. Dopo sospetti, voci e l’arresto avvenuto il 20 agosto (dopo otto ore di processo senza appello) la moglie di Bo Xilai è stata condannata alla pena di morte con sospensione per due anni (di fatto il carcere a vita) per omicidio intenzionale dell’uomo d’affari britannico Neil Heywood, trovato morto in novembre nella sua stanza d’albergo di Chongqing. La causa della morte di Heywood era stata attribuita dalla polizia all’«eccessivo consumo di alcol» e il suo corpo non fu sottoposto ad autopsia ma cremato in tutta fretta. Ma qui il giallo diventa noir.
Wang Lijun fece in tempo a sottrarre un pezzo di cuore e altri tessuti dal corpo di Heywood, che hanno poi permesso la condanna di Gu per averlo avvelenato.
Il 13 novembre del 2011, secondo quanto è stato ricostruito, Gu si era recata nella stanza d’albergo dell’inglese accompagnata da un assistente del marito, Zhang Xiaojun (condannato a nove anni), che aveva con sé il cianuro preparato da Gu. Dopo che Gu e Heywood ebbero bevuto molto, l’inglese si sentì male e fu aiutato da Gu e Zhang a salire sul letto. Heywood chiese poi dell’acqua nella quale Gu mise il cianuro. La donna avrebbe agito a seguito di alcune mail di minaccia che Heywood le avrebbe inviato nella seconda metà del 2011 per motivi economici (pare si occupasse lui di portare all’estero il denaro della ‘coppia reale’) e nelle quali avrebbe minacciato il figlio di lei, Bo Guagua. Per proteggere suo figlio, la decisione di uccidere Heywood, uomo che si muoveva in territori molto scivolosi che qualcuno dice vicini anche ai servizi segreti. Dopo Gu, giudiziariamente è caduto anche Wang Lijun, il cui processo si è celebrato a Chengdu il 24 settembre 2012 e si è concluso con la condanna a 15 anni di prigionia. Il superpoliziotto è stato accusato di abuso di potere, diserzione, corruzione e di aver usato strumentalmente la legge per fini personali. Wang non ha contestato le accuse e, secondo un portavoce del tribunale, ha sì commesso i crimini che gli sono stati contestati ma ha anche dato, in un secondo momento, «un meritorio contributo» alle indagini su reati «commessi da altre persone», con chiaro riferimento al caso Gu Kailai-Bo Xilai. Il danno d’immagine per il Partito comunista cinese è comunque devastante.
La vicenda di cappa e spada che ha come protagonisti Bo, Gu, la loro famiglia, i loro alleati e avversari politici è degna di un pezzo di teatro ottocentesco e fornisce uno spaccato su una realtà nella quale a regnare sono la forza bruta, gli interessi economici e l’arbitrio del potere. Ma il giallo si è poi arricchito di altre storie e personaggi. Bo Xilai secondo il New York Times sarebbe caduto in disgrazia non tanto per l’affare Heywood, ma perché insieme a Wang Lijun avrebbe teso una rete di spionaggio con la quale controllava anche il presidente e segretario del partito Hu Jintao e altri vertici di Pechino. Qualsiasi sia la verità, la vicenda ha messo a nudo le divisioni e la mancanza di fiducia reciproca esistenti tra i dirigenti cinesi, che hanno posto grande attenzione nel presentarsi al pubblico come un gruppo saldamente unito nel perseguimento dei suoi obiettivi di modernizzazione guidata del paese. Sulla faccenda, la Cina ha reagito come suo solito: la stampa ha unificato tutti gli editoriali; i vertici militari e del partito hanno inviato lettere nelle quali richiamano all’unità contro la corruzione; alti funzionari come il potente capo della sicurezza interna (ritenuto amico di Bo Xilai), Zhou Yongkang, sono stati passati ai raggi X. Non solo: a Chongqing si è verificata una serie di arresti fra i sostenitori e a metà giugno il successore di Bo Xilai ammette che la vicenda ha creato un danno di immagine. Ma nella storia continuano a risultare coinvolte altre persone. In primis il figlio dell’ex leader, Bo Guagua.
Dagli Stati Uniti dove studia ha inviato una lettera al giornale dell’Università di Harvard, affermando che le sue spese scolastiche sono pagate da borse di studio e dalla ‘generosità’ di sua madre, che ha finanziato i suoi studi con i guadagni derivanti dalla professione di avvocato, smentendo anche la notizia che sarebbe proprietario di una Ferrari con la quale, quando era a Pechino, fu visto andare a prendere anche la figlia dell’allora ambasciatore statunitense John Hunstman.
Nella spy story è entrata anche una bella attrice, Zhang Ziyi, interprete tra gli altri de La tigre e il dragone che, secondo quanto ha scritto la stampa di Hong Kong (da lei denunciata), avrebbe avuto rapporti sessuali a pagamento con l’ex leader del Partito comunista di Chongqing. Intanto, nell’attesa del 18° Congresso, che cambierà i vertici del partito e dello Stato al potere da dieci anni, l’esempio di Bo ha fatto scuola e si è fatta terra bruciata nei confronti di quei funzionari che hanno mostrato atteggiamenti «troppo occidentali». Come Ling Jihua, uno dei principali collaboratori del presidente Hu Jintao, il cui figlio si è scoperto essere il giovane morto a marzo mentre era alla guida di una Ferrari: la notizia ha bloccato l’ascesa di Ling, nominato a settembre a capo del Dipartimento del Fronte unito – una carica onorifica ma priva di un reale potere –, così da indebolire Hu e permettere invece al vecchio Jiang Zemin di sparare ancora cartucce. Bella vita, ricchezza e stili di vita non sobri non si confanno ai vertici e ai funzionari del Partito comunista cinese. E lo ha scoperto a sue spese anche Bo Xilai, per il quale è arrivata la prima menzione ufficiale sulla stampa di partito come persona incriminata, cosa che potrebbe portarlo a essere giudicato da un tribunale civile e non solo politico come accaduto nei mesi scorsi, quando era accusato solo di violazioni contro la disciplina del partito. Processo che probabilmente si svolgerà in silenzio prima del 18° Congresso del partito.
La politica oltre gli scandali
Quando è ormai imminente un profondo cambiamento ai vertici dello Stato e del Partito unico, la contemporaneità tra la caduta in disgrazia di Bo Xilai e le prese di posizione ‘riformiste’ di Wen Jiabao indicano quello che, almeno per gli standard cinesi, potrebbe essere un vero e proprio terremoto politico. I due sono infatti i più visibili esponenti dell’ufficio politico in scadenza a ottobre, e probabilmente i capi di due fazioni tra loro contrapposte. Bo Xilai, fautore dell’industria statale, si riallaccia all’eredità maoista, ritornata in auge nella zona di Chongqing (dove ha costruito la sua popolarità con campagne contro la criminalità e la corruzione), Wen Jiabao è invece considerato un sostenitore del cosiddetto ‘modello del Guangdong’, la provincia dove maggiore è il peso dell’iniziativa economica privata che ha cambiato il volto del paese negli ultimi tre decenni. La caduta di Bo segnalerebbe dunque una vittoria dell’ala ‘riformista’ del partito, aperta a riforme non solo economiche ma anche politiche, come mostra il fatto che Wen è arrivato ad accusare il suo rivale, ormai in disgrazia, di voler riportare il paese all’epoca della ‘rivoluzione culturale’ di fine anni Sessanta, un periodo tragico della storia cinese recente.
Una ‘faida’ decennale
Gli eventi del 2012 hanno, per certi versi, chiuso una ‘faida’ politica e personale iniziata negli anni Ottanta. Nel 1987 Bo Yibo, leader comunista e padre di Bo Xilai, fu infatti tra i più veementi critici di Hu Yaobang, il leader riformista ai cui funerali ebbe inizio il movimento studentesco per la democrazia, represso nel sangue nel giugno 1989. Hu, a sua volta, è stato il mentore politico di Wen Jiabao, che è stato il segretario di Zhao Ziyang – il leader che nel 1989 si oppose alla legge marziale e alla repressione degli studenti – e per questo venne preso di mira, senza successo, dallo stesso Bo Yibo.