CREMONA, Tranquillo
Nacque il 10 apr. 1837 a Pavia dal novarese Gaudenzio, impiegato dell'I.R. Delegazione, e da Teresa Andreoli, sposata in seconde nozze nel 1829. Fu l'ultimo di quattro figli, tra i quali Luigi, illustre matematico. Nel 1842 gli morì il padre e nel 1849 la madre, di tisi. Manifestò fin da giovanissimo una spiccata attitudine per la pittura, tanto che già nell'anno scolastico 1848-49 risulta iscritto alla civica scuola di pittura di Pavia diretta da G. Trecourt che alla fine dell'anno scolastico 1851-52 firmò un giudizio assai lusinghiero sul Cremona. Qui ebbe modo di conoscere uno dei maggiori pittori lombardi dell'Ottocento, G. Carnovali detto il Piccio, intimo amico del Trécourt, ed ebbe come compagno di studi l'inquieto I. Faruffini: nel primo trovò il punto di partenza per le sue ricerche di dissolvenze cromatiche e di variazioni luministiche, mentre nel secondo è da ricercare la matrice della sua poetica tardoromantica. Per un anno (1848-49) fu anche iscritto alla scuola di disegno, nudo ed incisione diretta da Cesare Ferreri (cfr. Zaffignani, 1983).
Nel 1852, invitato dal fratellastro Giuseppe Cremona, si trasferì a Venezia, dove nello stesso anno s'iscrisse all'Accademia di belle arti. Qui, più che l'insegnamento dei suoi maestri, mediocri pittori tradizionalisti, lo colpirono gli illustri esempi della pittura veneta soprattutto del Quattrocento e del Cinquecento, che ebbe modo di studiare da vicino: in particolare fu affascinato dalla ricchezza della gamma cromatica e dalla tendenza a dissolvere la linea di contorno che caratterizza certi dipinti del tardo Tiziano. A Venezia il C. ottenne numerosi riconoscimenti nei concorsi scolastici e perfino uno stipendio triennale da parte del governo austriaco.
Nel 1859 tuttavia, per evitare la coscrizione militare austriaca, abbandonò la città e si recò presso la sorellastra Giovanna nello Stato sabaudo, a Gropello Lomellina (oggi Cairoli), dove, divenuto amico della famiglia Cairoli, ricevette alcune commissioni da Adelaide (lettera del C. ad Adelaide Cairali, del 20 giugno 1860, in Zaffignani, 1982). Nel corso di quello stesso anno si trasferì nella Milano liberata, dove espose alla mostra annuale dell'Accademia di Brera, ancora come allievo dell'Accademia di Venezia, il dipinto Un falconiere nel XVIsecolo (Milano, Civica Gall. d'arte moderna) e si iscrisse alla scuola di pittura della stessa Accademia, diretta allora da G. Bertini. Qui continuò lo studio degli antichi e cominciò ad esercitarsi nel ritratto, mentre affrontava, sulle orme di Hayez, docente di pittura a Brera come il Bertini, tematiche di storia medievale.
Proprio di questo periodo, fra il 1859 e il '63, sono i suoi più tipici quadri storico-romantici, come Una visita alla tomba di Giulietta e Romeo del 1862 (Milano, Civica Galleria d'arte moderna), eseguito su commissione del ricco collezionista G. Puricelli Guerra, e Marco Polo alla corte del Gran Kan del 1863(Roma, Gall. naz. d'arte moderna). Dello stesso anno è anche la seconda, più spigliata versione del Falconiere (Milano, Civica Galleria d'arte moderna) che piacque alla critica del tempo per l'esattezza del costume e per la "spontaneità" della composizione (cfr. G. Rovani, in Gazz. di Milano, 5 sett. 1863): si tratta comunque ancora di pitture ligie ai dettami dell'insegnamento accademico, un po' stentate e fiacche, pervase da una luce opaca e giallastra mutuata da Hayez, anche se vi traspare qualche reminiscenza del colore veneto.
In questi primi anni milanesi, mentre completava il suo tirocinio accademico, spinto dalle ristrettezze economiche, il C. si dedicò anche alla caricatura politica, collaborando a varie testate umoristiche, come l'Uomo di pietra (359), la Cicala politica (1862) e, dal 1863 al 1870, allo Spirito folletto edito da E. Sonzogno. Del resto, il pittore fu per tutta la vita costretto dalle circostanze a eseguire lavori di ogni genere: disegni per litografie e figurini di moda, miniature su avorio, alcuni frontespizi per le edizioni Ricordi, testate di giornali fra cui quella per la famosa Farfalla di Sommaruga.
Dal 1863 cominciò a frequentare quel gruppo di artisti, letterati e musicisti "scapigliati" che, oltre al pittore D. Ranzoni e allo scultore G. Grandi, che il C. aveva conosciuto a Brera, annoverava, fra gli altri, i letterati E. Praga, G. Rovani, C. Righetti e il musicista A. Boito.
Delle loro imprese sono piene le cronache milanesi del tempo, e il C. in particolare era ricordato come uno dei più bizzarri e scatenati personaggi del gruppo. Nonostante questi fecondi rapporti culturali, le poche opere del periodo dal 1863 al 1869non presentano grosse novità né di contenuto né di stile. Si tratta di alcune teste eseguite su commissione dell'industriale U. Borzino (1865), che spesso acquistava opere del C. per trarne delle litografie, e di pochi altri pezzi che rivelano un sentimentalismo abbastanza superficiale di tipo tardoromantico, come la Tradita del 1866 (Milano, coll. Crespi) o Idillio, esposto a Brera nello stesso anno (del dipinto esiste anche una seconda versione, eseguita nel 1868; Milano, coll. Crespi Morbio). Fa eccezione un piccolo gruppo di ritratti - quelli di Carlo e Guido Pisani Dossi (1867;Corbetta, proprietà don F. Pisani Dossi), di Nicola Massa (1867; Pavia, Pinacoteca Malaspina), di Luigi Perelli (1867 C.; Milano, Civica Galleria d'arte moderna) e dell'avvocato Emilio Marozzi (1869; Milano, coll. Marozzi) - che si distinguono per la solida impostazione delle figure nello spazio e una certa animazione della luce.
Tuttavia solo con Il bacio o I due cugini, del 1870 (Roma, Galleria naz. d'arte moderna), il C. approdò a quella nuova maniera che caratterizza le sue opere mature, criticatissima dagli scrittori d'arte accademici, ma nel complesso apprezzata dal pubblico colto.
Il suo metodo consiste nell'eliminazione dei contorni netti delle figure e nello sfaldare le forme fino a renderle quasi trasparenti immergendole in una luce crepuscolare: con grandissima abilità tecnica il C. si esibiva in complicati giochi chiaroscurali, accostando con disinvoltura macchie di colore puro, sfregato spesso a secco sulla tela. Risultato dell'operazione sono chiazze di colore difficilmente leggibili da vicino, ma che da lontano costituiscono un insieme armonioso di colori e di toni sapientemente sfumati, paragonabili alle note di una composizione musicale. Era senza dubbio un tentativo di realizzare, attraverso l'esaltazione delle qualità musicali della pittura, la poetica scapigliata dell'unità delle arti, teorizzata dal Rovani nel volume Le tre arti (Milano 1874) e di cui, non a caso, il C. curò la parte illustrativa. Una scelta quindi non istintiva, ma elaborazione letteraria prodotta da un ben preciso ambiente culturale. Al raggiungimento dei nuovi risultati contribuì senza dubbio in misura notevole, come dichiarò esplicitamente lo stesso C., la vicinanza di Daniele Ranzoni, lo sfortunato pittore che il C. aveva ospitato per un certo periodo nel suo studio di Porta Nuova. È difficile stabilire chi dei due per primo realizzò quelle forme sfarfallanti che costituiscono l'espressione più tipica della scapigliatura pittorica: certo è che, mentre il Ranzoni non perse mai di vista la solidità dell'impianto figurativo, il C. cadde più spesso nel gioco virtuosistico, rinunciando ad affrontare con fermezza i problemi della luce e del colore.
Dal Figlio dell'amore del 1873 (Milano, coll. Dino Cardarelli), in cui non riusciva ancora a liberarsi da un certo schematismo accademico, si passa alla serie dei "duetti" dell'ultimo periodo, nei quali non è più traccia di disegno e i colori si accavallano e si fondono in una delicata armonia. In opere come Silenzio amoroso (1873; Roma, Galleria nazionale d'arte moderna) e Attrazione (1874; Milano, Civica Galleria d'arte moderna), entrambe in costume seicentesco, e in altre come Amor materno (1873; ibid.), Melodia e In ascolto (1874; Milano, coll. Valdata), il C. non si stanca di riproporre i suoi temi prediletti: la giovinezza un po' acerba e i turbamenti d'amore. E proprio nel delicato sensualismo delle sue figure, oltre che nella vaporosità e leggerezza del tocco, sta il fascino di queste tele e di quelle degli anni successivi: da Giovinetta ammalata (1877; Roma, Galleria nazionale d'arte moderna) a Sorriso (1878; Milano, coll. Jucker) fino all'ultimo dipinto, L'edera (1878; Torino, Civica Galleria d'arte moderna), eseguito su commissione del musicista torinese Benedetto Junck. Di questi stessi anni sono anche i ritratti più belli e intensi, come quelli di Maria Marozzi (1873; Milano, Civica galleria d'arte moderna) di Dario Papa (1874; ibid.), della Signora Deschamps (1875; ibid.), di Vittorio Grubicy (1877; Milano, coll. Remo Malinverni), di Cletto Arrighi (Corbetta; propr. don F. Pisani Dossi) e della Signora Curti (Milano, racc. Grassi), che, pur nel persistere delle regole accademiche, presentano tutti sicurezza di impianto, vivacità di luce e studiati rapporti di toni e di colori.
Un discorso a parte meritano i dipinti all'acquerello, tecnica molto amata dal C. per la sua immediatezza e vivacità, che rappresentano forse la parte più interessante e riuscita della sua opera proprio perché in essi il pittore poteva spingere il suo affascinante gioco luministico fino a "lasciare incerta la forma e aperta l'ambiguità fra la macchia e l'immagine" (Maltese, 1960, p. 233); fu probabilmente la pratica dell'acquerello, inoltre, a indurlo a schiarire le ombre anche nei dipinti a olio, realizzando la sua caratteristica maniera morbida e sfumata.
Questi fogli, dal titolo spesso esotico (Page Boudeur, Silhouette, Derniers jours de Pompei, ecc.), che danno un quadro assai vivace e spiritoso della vita borghese del tempo, sono dispersi in raccolte pubbliche (per esempio il famosissimo High Life [1877] e Tenerezze di Ada della Civ. Gall. d'arte moderna di Milano, o I cuginetti della Gall. naz. d'arte mod. di Roma, sei fogli col Tecoppa nel Museo del teatro alla Scala, ill. 228 del catal., I, Milano 1976), ma soprattutto private (fra gli altri Signora al piano, Milano, coll. Bestagini; Le curiose e Ripassando la lezione, Codogno, propr. Opera pia Fondazione Lamberti; Contrasti, Bergamo, coll. eredi Arturo Tosi; ecc.).
Nel 1877 l'eredità lasciata dal fratellastro Giuseppe dette finalmente al C. la tranquillità economica. La nomina a socio onorario dell'Accademia di Brera, che aveva ottenuto fin dal 1874, e quella a direttore della scuola d'arte di Pavia segnavano ormai il riconoscimento ufficiale delle sue doti.
Ma il C. non poté cogliere i frutti di questi sia pur tardivi successi perché il 10 giugno del 1878, a Milano, moriva a causa di una intossicazione dovuta alla sua abitudine di impastare i colori direttamente sulla mano e sul braccio. Nello stesso anno veniva organizzata nel ridotto del teatro alla Scala una mostra postuma con la quale si avviava la definitiva consacrazione della sua fama (cfr. il catal.; recens. di L. Chirtani in Il Corriere della Sera, 28 ott. 1878).
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