CREMONA, Tranquillo
Pittore, nato a Pavia il 10 aprile 1837, morto a Milano il 10 giugno 1878. Orfano fin da bambino, fu iniziato al disegno da Giacomo Trecourt (1812-1882), un pittore bergamasco che era amicissimo del conterraneo Giovanni Carnevali, detto "il Piccio". Al difuori delle aule e delle lezioni, il fanciullo venne in contatto con la pittura del Massacra e del Cornienti, i più noti artisti pavesi in quegli anni. Si sarebbe forse impigrito nello stretto cerchio di un'ispirazione timida e di una vita provinciale se, quindicenne, non avesse avvicinato, studiato e approfondito il glorioso passato della pittura veneta. A Venezia fu chiamato dal fratellastro Giuseppe. È da quel 1852 che data veramente la vita artistica del C. Egli s'iscrisse all'Accademia di belle arti e vi ebbe maestri il Molmenti, il Grigoletti, lo Zona, il Lipparini. Il C. ha lasciato un testamento delle fatiche e degli entusiasmi che accompagnarono il suo primo soggiorno veneziano: un piccolo libro di disegni acquerellati, posseduto da Luca Beltrami e da lui illustrato in Un maestro: T. Cremona (Milano 1929). Accanto a minuziose e appassionate trascrizioni di particolari e di ritmi delle opere del Crivelli, di Gaudenzio Ferrari, del Cerano, sono i primi pensieri plastici de La Presentazione di Marco Polo e degli Amanti alla tomba di Giulietta e Romeo, i quadri del suo esordio, dipinti intorno al 1860. Nel '59 aveva lasciato Venezia per sfuggire agli obblighi della coscrizione austriaca; l'anno dopo frequentava l'accademia di Brera a Milano e aveva compagni alla scuola il Bertini, Ranzoni e Mosè Bianchi. Ancora la pittura cosiddetta "storica" lo attraeva verso la maniera dell'Hayez. La sua indipendenza artistica si svela più tardi e compiutamente quando nel 1867 espone a Torino I cugini. Qui il tema storico è abbandonato, il patetico medievaleggiante è sostituito da un'emozione più umana e vitale. Soprattutto è mutata la tecnica. Gl'insegnamenti del Bertini e le influenze dell'Hayez ancora visibili nel Marco Polo giovanetto presentato al Gran Kan dei Tartari, sono qui rinnegati. Il C. si esprime in una maniera sua: i contorni non più rilevati e decisi, le masse vive, fluide nella luce, i movimenti non fissati e rigidi, ma continuanti nella vibrazione del colore, la sensibilità preziosa e delicata come la tavolozza. Il pubblico, prima della critica, applaudì alla nuova pittura. Il C. fu da quel giorno famoso. Le discussioni sull'origine della pittura cremoniana sono di molti anni dopo: taluni vollero attribuirla all'influenza del Ranzoni che sarebbe stato il vero innovatore. Si può dire che il C. fu dei suoi tempi, riassunse per virtù fatale del suo genio le aspirazioni degli altri, rappresentò accanto ai macchiaioli toscani il solo movimento artistico italiano degno di tal nome. Se la denominazione di "impressionista" non richiamasse, per equivoco, la famosa scuola innovatrice francese, il C. dovrebbe essere definito per eccellenza "impressionista"; egli rappresenta una tendenza che si diparte dal lontano Carnevali e si conclude con la scultura del Grandi, del Bazzaro, del Troubetzkoy e di Medardo Rosso.
Nel decennio della sua fioritura l'arte cremoniana non subì incertezze né arresti. A I cugini seguirono L'amor materno, il Figlio dell'amore, il Silenzio amoroso, Melodia, In ascolto. Alla minore attività del C. si devono attribuire stupendi acquerelli, miniature e disegni, alcuni dei quali per illustrare opere del Rovani; non ultima prova questa della reciproca stima che unì lo scrittore lombardo e il pittore. Fino all'Edera, dipinta negli ultimi mesi dal pittore lentamente avvelenatosi stemperando i colori sul braccio e sulla mano ignudi, egli fu fedele a sé stesso. L'Edera riassume bene lo spirito di una società e di un'epoca, in cui, accanto al pittore, A. Catalani neoromantico vestiva di note i poemi di Wally e di Loreley e A. Boito gli amori di Margherita e di Faust, Rovani rintracciava la poesia e l'anima della vecchia Milano nelle cronache dei Cento anni, Emilio Praga intonava l'elogio funebre alle pie costumanze e alle timide fedi d'un secolo ammalato di noia. Sfondo di quest'arte era la vita della "scapigliatura", una specie di bohème lombarda, ricca d'ideali, di genio e di destino. (V. tav. a colori).
Bibl.: G. Pisa, T. C., Milano 1899; L. Perelli e P. Levi, T. C.: L'uomo e l'artista, Milano 1913; Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, VIII, s. 2ª, 1913 (con bibl.); U. Ojetti, T.C., Bergamo 1912; id., T. C., in Ritratti di artisti italiani, II, Milano 1923; S. N., L'opera di T. C., Roma 1925; E. Somarè, Storia dei pittori italiani dell'800, Milano 1928, pp. 186-95 (con bibl. a p. 275-76); G. Nicodemi, La vita e le opere di T. C., in Rivista del comune di Milano, aprile 1929; L. Beltrami, Un maestro: T. C., Milano 1929.