Abstract
Viene esaminato il contratto di transazione, disciplinato dagli artt. 1965-1976 c.c. La transazione è quel contratto, a prestazioni corrispettive, attraverso il quale le parti si fanno delle reciproche concessioni per porre fine a una lite già iniziata oppure per prevenire una lite che potrebbe insorgere.
La transazione è quel contratto mediante il quale le parti pongono fine ad una lite già cominciata o prevengono che una lite possa sorgere tra loro, facendosi reciproche concessioni (art. 1965, co. 1, c.c.). Ѐ un contratto a prestazioni corrispettive e non aleatorio, che può concludersi anche se è in atto un procedimento giudiziale o arbitrale per dirimere la controversia.
Il legislatore definisce la funzione svolta dal contratto: risolvere o evitare una lite grazie alle reciproche concessioni delle parti (aliquid dare, aliquid retinere). Tra gli strumenti di cui i privati possono disporre al fine di comporre una controversia la transazione è, probabilmente, quello privilegiato poiché prescinde da ogni “indagine” circa la ragione o il torto di una o dell’altra parte. Difatti, il consenso transattivo rende superflua ogni valutazione in relazione alla fondatezza delle pretese dei contraenti (Alpa, G., Manuale di diritto privato, Padova, 2015, 583; del Prato, E., La transazione, Milano, 1992, 1 s.; Trabucchi, A., Istituzioni di diritto civile, Padova, 2015, 759).
Affinché una transazione sia validamente conclusa è necessario che una res dubia ne fondi il presupposto. Pertanto, a monte vi deve essere un rapporto giuridico avente, almeno nella convinzione delle parti, carattere di incertezza e che, nell’intento di far cessare la situazione di dubbio venutasi a creare, le parti si facciano delle reciproche concessioni. Occorre precisare che la res dubia si concretizza nelle discordi valutazioni delle parti in ordine ad una questione giuridicamente rilevante. Difatti, le contestazioni possono riguardare l’esistenza del fatto giuridico causativo del rapporto o comunque su di esso incidente, oppure la determinazione delle conseguenze giuridiche di tale fatto (Cass., 13.1.1984, n. 288; Cass., 1.4.2010, n. 7999; Valsecchi, E., Il giuoco e la scommessa. La transazione, in Tratt. Cicu-Messineo, XXXVII, Milano, 1954, 2). È necessario evidenziare che la situazione di incertezza perdura fintanto che la sentenza non passa in giudicato. Questo rappresenta il “momento limite” oltre il quale non è più possibile transigere (Cass., 18.11.1997, n. 11471).
Invero, il citato orientamento – in virtù del quale il presupposto della transazione è rappresentato dalla res dubia – è stato contestato da una parte della dottrina secondo la quale lo stato di incertezza non è, necessariamente, prodromico alla situazione di lite. Detta corrente dottrinale, che adotta un’interpretazione particolarmente rigorosa dell’art. 1965 c.c., afferma che è la situazione di lite, ancorché potenziale, insieme alle reciproche concessioni, l’effettivo presupposto della transazione. La situazione, dunque, non si caratterizza per lo stato soggettivo di incertezza dei litiganti in merito alla plausibilità delle proprie ragioni; piuttosto, ciò che la identifica è che una delle parti affermi l’esistenza o l’inesistenza di un diritto che l’altra, di contro, contesta (del Prato, E., op. cit., 22 s.; Moscarini, L.V.-Corbo, N., Transazione: I - diritto civile, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1994, 2; Santoro Passarelli, F., La transazione, II ed., Napoli, 1975, 25 s.).
In dottrina e in giurisprudenza è fortemente dibattuto quale sia l’oggetto e quale sia la causa della transazione.
La giurisprudenza più recente ritiene che l’oggetto sia rappresentato dalla lite cui questa ha dato o potrebbe dar luogo e che le parti stesse intendono eliminare o prevenire. (Cass., 1.4.2010, n. 7999; Cass., 8.7.1994, n. 6444).
Secondo autorevole dottrina, l’oggetto della transazione è costituito dalla situazione giuridica controversa; più precisamente: «la cosa o il comportamento su cui vertono la pretesa e la contestazione delle parti o in modo più circoscritto la situazione giuridica esistente» (Santoro Passarelli, F., op. cit., 115 s.). Secondo altra autorevole dottrina l’oggetto sarebbe rappresentato dalla lite: «oggetto della transazione non è il rapporto litigioso, sibbene la pretesa e la contestazione delle parti, rispetto alle quali il rapporto, che dà materia alla lite, costituisce l’oggetto» (Carresi, F., La transazione, in Tratt. Vassalli, IX, Torino, 1966, 87). Secondo altra illustre e più recente dottrina, invece, la lite non può rappresentare l'oggetto della transazione, poiché «ad essa non possono riferirsi i requisiti che l’art. 1346 c.c. detta per l’oggetto del contratto; né le reciproche concessioni, le quali, a prescindere dal loro contenuto, sono elementi che concorrono ad individuare la funzione della transazione». Secondo l’autore potrebbe essere più corretto affermare che l’oggetto della transazione, sia essa pura o mista, è integrato dalle «prestazioni in cui consistono le reciproche concessioni», ossia dai diritti di cui le parti possono legittimamente disporre (del Prato, E., op. cit., 75 s.).
La causa del contratto di transazione è costituita, secondo costante orientamento giurisprudenziale, dallo scopo di porre fine a una controversia (attuale o potenziale) e, dunque, dall’esigenza di dirimerla per il tramite di reciproche concessioni. Inoltre, occorre precisare che la volontà di prevenire una lite può rappresentare, validamente, l’elemento causale del contratto anche indipendentemente dalla preesistenza, o meglio dall’effettiva esistenz,a del diritto (Cass., 17.11.1978, n. 623; Cass., 22.3.1999, n. 2526). Autorevole dottrina ha, invece, elevato a requisito essenziale del negozio transattivo proprio le reciproche concessioni (Santoro Passarelli, F., op. cit., 13). Secondo altra autorevole dottrina, la causa del contratto di transazione è ravvisabile nella lite, poiché la controversia è una «sufficiente ragione giustificatrice degli spostamenti patrimoniali» (del Prato, E., Fuori dal processo. Studi sulle risoluzioni negoziali delle controversie, Torino, 2016, 154 s.).
Secondo autorevole dottrina, il regime della forma e della prova della transazione è uno dei «principali simboli della natura spesso compromissoria del codice del 1942, costretto a mediare fra le differenti tradizioni e le regole del diritto civile e del diritto commerciale». Difatti, l’art. 1314, n. 7, c.c. del 1865 prescriveva la forma scritta per il contratto di transazione, pena la nullità dello stesso. Al contrario, nel codice del commercio la forma della transazione era libera (Moscarini, L.V.-Corbo, N., op. cit., 7 s.). Il legislatore moderno ha adottato nell’art. 1967 c.c. una soluzione “mediana”, affermando la vigenza del principio di libertà della forma della transazione. Detta regola subisce una deroga nel caso in cui si tratti di atti che hanno ad oggetto beni immobili, diritti su beni immobili o altri rapporti assimilati; negli altri casi la modalità di esternazione è rimessa alla scelta delle parti e la forma documentale occorre solo per far valere in giudizio i diritti derivanti dal contratto. Il rapporto transattivo deve, dunque, essere provato per iscritto. Pertanto, devono assumere la forma scritta, e dunque risultare documentalmente, tutti gli elementi essenziali del negozio, ivi compreso quello della reciprocità delle concessioni. Difatti, la giurisprudenza afferma che non può essere attribuito valore di negozio transattivo alla scrittura privata attestante l’avvenuta consegna di una somma di danaro, qualora dal documento non risulti su quali contrapposte pretese e su quali diritti si riverberi l’effetto abdicativo del negozio (Cass., 1.4.2010, n. 7999). Non è necessaria una meticolosa indicazione delle antitetiche pretese, a patto che sia possibile desumere con certezza il contenuto del nuovo regolamento di interessi (Cass., 21.9.2005, n. 18616). Il “problema” della forma della transazione assume, dunque, una dimensione processuale e consiste nell’escludere che la prova avvenga per mezzo di presunzioni semplice o tramite testimoni (Moscarini, L.V.-Corbo, N., op. cit., 7 s.; del Prato, E., La transazione, cit., 54 s.; Cass., 28.4.2005, n. 8875).
Vi è almeno un’altra ipotesi in cui occorre adottare la forma scritta, detta circostanza è contemplata dall’art. 1968 c.c. La rubrica dell’articolo, Transazione sulla falsità dei documenti, rischierebbe di trarre in inganno il lettore. Occorre, pertanto, precisare che oggetto della disposizione non è la falsità del documento (in sé), ma «la situazione esistente tra le parti, con l’inclusione fra le reciproche concessioni del non uso e dell’uso del documento e la costituzione di un vincolo che va al di là della di una semplice obbligazione» (Santoro Passarelli, F., op. cit., 253 ss.). Una volta redatto l’accordo concernente gli effetti patrimoniali del documento falso, la transazione potrà validamente dispiegare la sua efficacia solo a seguito dell’omologazione da parte del tribunale (del Prato, E., op. ult. cit., 57; Pugliatti, S., Della transazione, in Comm. D’Amelio-Finzi, Libro delle obbligazioni, II, Firenze, 1949, 448).
Le parti che si accingono a transigere debbono essere munite della capacità di agire e della cd. “legittimazione al contratto di transazione”, quest’ultima è stata definita dalla dottrina come una “sottospecie della capacità di agire” (ex multis: Messineo, E., Dottrina generale del contratto, III ed., Milano, 1958, 55 s.; Pugliatti, S., Gli istituti del diritto civile, Milano, 1943, 145; Betti, E., Teoria generale del negozio giuridico, in Tratt. Vassalli, XV, Torino, 1960, 225).
L’esegesi dei due commi dell’art. 1966 c.c. è stata oggetto di un lungo dibattito. La tesi accolta da gran parte della dottrina è quella secondo la quale il co. 1 dell’articolo – il quale dispone che: «per transigere le parti devono avere la capacità di disporre dei diritti che formano oggetto della lite» – si riferisce sia alla capacità di agire che alla citata legittimazione al negozio. Mentre nel co. 2 il legislatore si riferisce all’oggetto del contratto: «la transazione è nulla se tali diritti, per loro natura o per espressa disposizione di legge, sono sottratti alla disponibilità delle parti» (Santoro Passarelli, F., op. cit., 351 ss.).
Il citato co. 2 dell’art. 1966 c.c. riguarda le situazioni soggettive che possono essere accertate, se controverse, esclusivamente dall’autorità giudiziaria come ad esempio: gli status personali, i diritti della personalità, le obbligazioni di prestare alimenti, le obbligazioni naturali. Gli status personali non hanno rilevanza patrimoniale e, pertanto, non potrebbero divenire oggetto di un contratto. Al contrario, tale requisito è posseduto dalle situazioni soggettive patrimoniali che da questi derivano. Idem dicasi con riguardo ai diritti della personalità: non vi si può rinunciare ma è indiscussa la facoltà di sfruttamento patrimoniale degli stessi (del Prato, E., La transazione, cit., 71 s.).
Pertanto, se transige un soggetto che è privo di legittimazione, il negozio è annullabile; mentre la transazione che ha ad oggetto un diritto indisponibile è nulla (Moscarini, L.V.-Corbo, N., op. cit., 6 s.).
La capacità di agire spetta alle persone fisiche e a quelle giuridiche; talvolta il potere di transigere non è accordato all’interessato ma può essere attribuito, legalmente o convenzionalmente, a un soggetto diverso.
Non è mancato, in dottrina come in giurisprudenza, l’accostamento della transazione al contratto o all’atto di accertamento. «La sentenza del giudice, che è essenzialmente un atto di accertamento, di dichiarazione (juris dictio ) della situazione giuridica preesistente, nella quale il comando che il giudice pone alle parti presuppone il giudizio, e cioè appunto l’attività logico ricognitiva di ciò che è già nel fatto e secondo diritto. La somiglianza del risultato prodotto dalla transazione con quello della sentenza, individuati entrambi nel superamento della incertezza, assunta come tratto caratterizzante della lite, ha indotto tralatiziamente gli studiosi meno recenti ad estendere la similitudine sino ad avvisare nella transazione un atto di accertamento, che supera la lite proprio in quanto accerta la situazione preesistente» (Moscarini, L.V.-Corbo, N., op. cit., 1 s.). È prevalsa la tesi negativa: quella che ravvisa nell’accostamento della transazione all’accertamento un’incompatibilità ineludibile. I transigenti “dispongono”, e nel farlo sono liberi di prescindere «dall’attuare una puntuale e fedele determinazione della realtà giuridica ... Lungi dal volere l’accertamento i soggetti, con la transazione, intendono invece evitare l’accertamento, attraverso una soluzione pratica che, operando unicamente sul piano delle pretese, prescinde dalla effettiva portata della realtà giuridica su cui muove la contestazione» (Falzea, A., Accertamento - teoria generale, in Enc. dir., I, Milano, 1958, 205 s.).
I transigenti non ricercano la verità. La transazione non richiede una fase di preludio durante la quale operare una ricognizione prossima al vero della realtà storico-fattuale. I privati intendono, semplicemente, avvicinare le opposte pretese e limarle perché si giunga a una soluzione di compromesso, evitando ogni indagine circa la ragione o il torto di una o dell’altra parte.
Le reciproche concessioni possono consistere anche in una bilaterale e congrua riduzione delle opposte pretese, così da realizzare un (nuovo) regolamento di interessi che si concretizza in un quid medium rispetto alle prospettazioni iniziali (Cass., 1.4.2010, n. 7999; Cass., 8.7.1994, n. 6444). Le reciproche concessioni sono un elemento distintivo del negozio transattivo: «il difetto di un avanzamento rispetto alle posizioni di lite non consente di ravvisare una transazione, ma piuttosto un atto rinnovativo» (del Prato, E., La transazione, cit., 25 s.).
Si potrebbe altresì proseguire affermando che la “funzione accertativa” è appannaggio del potere pubblico, amministrativo e giurisdizionale, la cui attività è naturalmente tesa a “certificare” la realtà preesistente. Inoltre, la transazione compone un nuovo ordine, realizza quello specifico assetto di interessi che è il frutto, come detto, di un “compromesso” tra le parti e, pertanto, il suo sarà un “effetto costitutivo”. Al contrario, l’atto di accertamento è diretto ad operare un’esatta ricognizione della realtà preesistente ed il suo sarà un effetto dichiarativo (Radoccia, I., Transazione e accertamento, in Giur. mer., 2005, 1259).
L’art. 1965, co. 2, c.c. affianca alla transazione “semplice” o “conservativa” quella “mista”, in virtù della quale con le reciproche concessioni «si possono creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti». Detta disposizione, secondo la quale un negozio transattivo può incidere su rapporti non litigiosi e, pertanto, il contenuto delle concessioni travalica i confini del rapporto controverso, costituisce una tra le innovazioni introdotte dal codice del 1942.
La transazione mista ha alimentato non pochi dubbi in relazione alla qualificazione della fattispecie. La dottrina si è interrogata sulla possibilità che la transazione mista possa essere ricondotta al contratto misto; quest’ultimo è costituito da elementi di tipi contrattuali diversi e da una causa unica ed inscindibile, che è la combinazione degli elementi dei diversi tipi che lo compongono. In tal caso, in virtù dell’applicazione della teoria dell’assorbimento o della prevalenza, il contratto misto, ergo la transazione mista, sarebbe unitariamente assoggettato alla disciplina unitaria del contratto prevalente. Ciò potrebbe accadere a patto che gli elementi del contratto non prevalente, regolabili con norme proprie, non siano incompatibili con quelli del contratto prevalente; in detta ipotesi si opererebbe integrando le diverse cause negoziali che si combinano nel negozio misto (Cass., 22.6.2005, n. 13399; Cass., S.U., 12.5.2008, n. 11656). Si è osservato in proposito che «a tal riguardo, deve nondimeno concordarsi con chi in epoca recente ha posto in luce l’equivocità della formula “transazione mista”, per lo meno se con essa si intende alludere alla riconducibilità di tale tipologia contrattuale nell’alveo dei contratti con causa mista. Sotto il profilo causale, infatti, la c.d. transazione mista risulta pur sempre caratterizzata dalla medesima funzione della transazione semplice – composizione della lite mediante reciproche concessioni –, differenziandosi dalla figura classica per il sol fatto che le parti pongono a oggetto delle reciproche concessioni rapporti estranei a quello su cui viene incentrata la lite. Quella che, pertanto, viene etichettata come transazione mista, null’altro configura se non una transazione tipica, regolata dalla disciplina codicistica a essa dedicata, a sua volta integrata da quella generale dei contratti» (Balestra, L., Transazione - contratto di, in Enc. giur. Treccani, Roma, 2008, 100).
Ponendo attenzione alla prestazione dedotta nel contratto transattivo si è, altresì, affermato che la problematica del contratto misto non dovrebbe investire la fattispecie della transazione “mista”. Difatti, lo scopo della transazione imprime ad essa una funzione specifica, differente da quella astrattamente assegnata dal tipo contrattuale al quale essa è riconducibile (del Prato, E., Transazione - dir. priv., in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992, 815).
Tale tesi è supportata, con autorevolezza, dalla convinzione che la transazione “mista” non è altro che una transazione tipica connotata dal fatto che il suo oggetto è più ampio di quello della lite transigenda (sul punto ancora del Prato, La transazione, cit., 31, il quale richiama le tesi di Nicolò, R., Il riconoscimento e la transazione nel problema della rinnovazione del negozio e della nozione dell'obbligazione, in Raccolta di scritti, I, Milano, 1980, 433 s.; di Cataudella, A., La donazione mista, Milano, 1970, 89 e di Vassalli, F., Composizione della lite e tutela dei creditori, I, La transazione, Milano, 1980, 138 s.).
La transazione cd. novativa, alla quale il legislatore allude – senza definirla – nell’art. 1976 c.c., per escludere (salvo patto contrario) la risoluzione della transazione per inadempimento se il rapporto preesistente è stato estinto per novazione, costituisce un aspetto del fenomeno transattivo tra i più indagati e controversi.
Sotto la vigenza del precedente codice era prevalente l’opinione che assegnava alla transazione natura meramente dichiarativa e, di conseguenza, era preclusa la possibilità all’accordo transattivo di dispiegare effetti novativi (Gennari, G., La risoluzione della transazione novativa, Milano, 2005, 139 s.). Un altro profilo, non marginale, da prendere in considerazione concerne la disciplina della novazione oggettiva secondo il codice del 1865. Quest’ultima privilegiava il requisito soggettivo dell’animus novandi, inducendo molti a ritenere che in presenza di una espressa intenzione novativa anche una modifica di scarso rilievo sarebbe stata sufficiente a dare luogo a novazione (Gennari, G., op. cit., 29). Ciò spiega, tra l’altro, il rilievo che la giurisprudenza più risalente, anche sotto la vigenza del nuovo codice, ha attribuito alla manifestazione dell’animus novandi. Occorre precisare che l’impianto del nuovo codice prevede, ai sensi dell’art. 1230 c.c., accanto all’elemento soggettivo anche la presenza di un elemento oggettivo che si concretizza nella “materiale” modificazione dell’obbligazione (aliquid novi ). Occorre, però, non confondere la nozione di transazione novativa con la novazione in senso tecnico: la novazione, infatti, riguarda i soli rapporti obbligatori, mentre la transazione può interessare qualsiasi situazione giuridica di cui le parti, come già detto, abbiano disponibilità (e quindi anche a carattere reale). Inoltre: «la transazione prevista dall’art. 1976 c.c., anziché novativa, dovrebbe dirsi piuttosto innovativa, nel senso che dà vita ad una situazione giuridica la quale sostituisce integralmente quella prima esistente» (Santoro Passarelli, G., op. cit., 83 s.). Di poi, altra differenza da rilevare è che la novazione non ha effetto se non esiste l’obbligazione originaria, mentre la transazione può prescindere dalla esistenza del preesistente rapporto. Difatti: «la transazione innovativa provoca l’assorbimento e la scomparsa della fonte e della situazione anteriore, la cui esistenza e consistenza non rilevano di regola sulla validità della transazione (articoli 1969 e 1972 del codice civile). Viceversa la novazione è caratterizzata dalla distinzione della situazione anteriore e di quella successiva e suppone l’esistenza dell’obbligazione precedente» (Santoro Passarelli, G., op. loc. ultt. citt.).
La giurisprudenza afferma che, sotto il profilo oggettivo, le parti, per risolvere o prevenire una lite, devono essere addivenute ad una rinunzia reciproca, anche parziale, delle proprie pretese. Detta rinunzia è diretta a modificare, estinguendola, la soluzione negoziale precedente e a instaurarne una nuova, dato che tra i due rapporti sussiste una situazione di obiettiva incompatibilità. Sul piano soggettivo è necessario che sussista una inequivoca manifestazione di volontà delle parti in tal senso: queste devono palesare il comune intento di instaurare un nuovo rapporto e di estinguere quello originario (Cass., 28.2.2006, n. 4455).
Da ultimo occorre precisare che la disposizione di cui al citato art. 1976 c.c. concerne un’eccezione ai principi generali della risoluzione dei contratti a prestazioni corrispettive: è infatti inammissibile la risoluzione della (sola) transazione novativa per inadempimento, a meno che le parti non abbiano pattuito diversamente. In tal caso, la risoluzione per inadempimento della transazione restituisce il rapporto nella situazione giuridica preesistente, facendo risorgere tutte le ragioni, azioni ed eccezioni di cui le parti potevano originariamente disporre (Cass., 27.4.1968, n. 1238).
Gli artt. 1966, co. 2, e 1972, co. 2, c.c. disciplinano due fattispecie di nullità “speciale”. I vizi posti alla base delle due ipotesi sono molto simili: l’illiceità della transazione nel primo caso è “diretta”, poiché attiene “all’accordo transattivo”, mentre nel secondo caso concerne il “negozio sottostante” (Santoro Passarelli, F., op. cit., 126).
Appartengono all’ambito di applicazione cui si riferisce l’art. 1966, co. 2, c.c. le questioni relative: allo stato della persona, ai diritti agli alimenti e, più in generale, ai diritti dal contenuto non patrimoniale.
I diritti della personalità, data la loro intrinseca indisponibilità, sono incedibili ed intrasmissibili e, pertanto, non possono essere oggetto di transazione e questa, se del caso, è nulla per illiceità dell’oggetto (Pugliatti, S., op. cit., 475).
Di poi, ai sensi dell’art. 1972 c.c., la transazione è nulla se: «relativa a un contratto illecito, ancorché le parti abbiano trattato della nullità di questo». L’illiceità del negozio su cui si è transatto si riflette nella transazione, pertanto anch’essa è illecita. La nullità non è “immanente” alla transazione ma è dipendente dal contratto su cui essa si poggia (Moscarini, L.V.-Corbo, N., op. cit., 11). L’àmbito della nullità di cui al co. 1 dell’art. 1972 c.c. è stato ricondotto da taluni esclusivamente alla contrarietà all’ordine pubblico e al buon costume (Stolfi, G., Teoria del negozio giuridico, Padova, 1961, 86 s.). Altra parte della dottrina ha ritenuto, al contrario, che data l’assenza di precisazioni l’illiceità debba coincidere (pienamente) con quanto indicato dall’art. 1343 c.c. (Valsecchi, E., op. cit., 392). Dal tenore del co. 2 dell’art. 1972 c.c. si desume che è ammissibile l’accordo volto a superare la controversia sulla nullità del titolo; il contrappeso a tale principio è rappresentato dal co. 1 dell’art. 1972 c.c., che riserva al giudice ogni decisione relativa all’illiceità (del Prato, E., La transazione, cit., 83 s.).
La rilevanza dell’errore nella transazione è una questione piuttosto dibattuta e controversa, difatti la vigente scelta codicistica è stata criticata da una parte della dottrina. Occorre precisare che l’erronea supposizione circa l’esistenza di una lite rende nullo il contratto di transazione per assenza di causa. Orbene, la transazione al pari di ogni altro contratto soggiace alla disciplina “generale” dell’errore (artt. 1428 ss. c.c.), fatta eccezione per le deroghe poste dalla disciplina speciale. L’art. 1969 c.c. dispone che la transazione non possa essere annullata per errore di diritto relativo al caput controversum; la dottrina e la giurisprudenza tendono ad estendere detta disciplina anche all’ipotesi in cui l’errore sia di fatto (Santoro Passarelli, F., op. cit., 159; Cass., 14.4.2010, n. 11632). Se l’errore ricade sulle reciproche concessioni e, pertanto, non attiene alla lite, ha rilevanza ai sensi di quanto previsto dall’art. 1429 c.c. L’errore in tal caso non riguarda né i presupposti della transazione né le questioni controverse, ma l’oggetto (del Prato, E., op. ult. cit., 91 s.). L’art. 1973 c.c., afferente al (citato) novero delle disposizioni di natura speciale, prevede, altresì, che possa essere annullata la transazione posta in essere (del tutto o in parte) su documenti la cui falsità è stata riconosciuta successivamente. Di poi, ai sensi di quanto previsto dall’art. 1974 c.c., se la transazione è precedente al passaggio in giudicato della sentenza, e nessuna tra le parti l’ha invocata nel successivo iter processuale, il contratto transattivo è annullabile. La transazione è altresì annullabile, ai sensi del co. 1 dell’art. 1975 c.c., se una parte ha scoperto l’esistenza di documenti (precedentemente ignoti) successivamente alla stipula. Il co. 2 del citato articolo circoscrive l’annullabilità al solo caso in cui una delle parti non abbia alcun diritto.
La risoluzione per inadempimento della transazione non novativa è sempre possibile, mentre la transazione novativa è risolubile a meno che le parti non abbiano convenuto diversamente. La ratio della diversità di regime risiede nella volontà delle parti, che hanno stipulato un contratto di transazione novativo, di mettere metaforicamente da parte la situazione “di partenza”. Viene, pertanto, esclusa la reviviscenza (Moscarini, L.V.-Corbo, N., op. cit., 18 s.).
Ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dall’art. 1970 c.c., la transazione non può essere rescissa per lesione. La ragione dell’irrescindibilità non risiede nell’aleatorietà del contratto: la transazione non è un contratto aleatorio. Se lo fosse stato, l’impossibilità di applicare l’azione generale di rescissione per lesione sarebbe dipesa dall’art. 1448 c.c. e non sarebbe stata necessaria una disposizione ad hoc. La ratio di tale scelta dipende dalla volontà del legislatore di preservare la volontà compromissoria e impedire, così, la rescissione della transazione «la quale presuppone l’intervenuta completa ed esaustiva reciproca valutazione dell’opportunità della soluzione transattiva». Inoltre, non è prevista un’analisi sulla situazione preesistente (Moscarini, L.V.-Corbo, N., op. cit., 19 s.).
Artt. 1965-1976 c.c.
Alpa, G., Manuale di diritto privato, Padova, 2015; Ascarelli, T., L’astrattezza dei titoli di credito, in Riv. dir. comm., 1932, I, 390; Balestra, L., Transazione (contratto di ), in Enc. giur. Treccani, Roma, 2008; Betti, E., Teoria generale del negozio giuridico, in Tratt. Vassalli, XV, Torino, 1960; Cataudella, A., La donazione mista, Milano, 1970; Carresi, F., La transazione, in Tratt. Vassalli, IX, Torino, 1966, 42; del Prato, E., La transazione, Milano, 1992; del Prato, E., Transazione (dir. priv.), in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992; del Prato, E., Fuori dal processo. Studi sulle risoluzioni negoziali delle controversie, Torino, 2016; Falzea, A., Accertamento (teoria generale ), in Enc. dir., I, Milano, 1958, 205; Gennari, G., La risoluzione della transazione novativa, Milano, 2005, 139 s.; Messineo, E., Dottrina generale del contratto, III ed., Milano, 1958; Moscarini, L.V.-Corbo, N., Transazione: I) Diritto civile, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1994; Pugliatti, S., Gli istituti del diritto civile, Milano, 1943; Pugliatti, S., Della transazione, in Comm. D’Amelio-Finzi, Libro delle obbligazioni, II, Firenze, 1949, 448; Radoccia, I., Transazione e accertamento, in Giur. mer., 2005, 1259; Santoro Passarelli, F., La transazione, II ed., Napoli, 1975; Stolfi, G., Teoria del negozio giuridico, Padova, 1961; Trabucchi, A., Istituzioni di diritto civile, Padova, 2015; Valsecchi, E., Il giuoco e la scommessa. La transazione, in Tratt. Cicu-Messineo, XXXVII, Milano, 1954; Vassalli, F., Composizione della lite e tutela dei creditori, I, La transazione, Milano, 1980.