TRANSESSUALISMO
Il t. (o transessualità) è la condizione di persona il cui sesso non è anatomicamente certo o che, pur essendo di sesso anatomicamente certo, si considera appartenente all'altro sesso, del quale aspira ad assumere le caratteristiche anatomiche e comportamentali. Il soggetto transessuale è quindi colui (colei) che, nato (-a) e registrato (-a) anagraficamente secondo un sesso, ha poi assunto in vario modo e per mezzo di interventi chirurgici e trattamenti ormonali le caratteristiche fisiche dell'altro sesso, cui soggettivamente ritiene di appartenere. Di qui appunto l'aggettivo transessuale (spesso abbreviato in trans), usato sia al maschile che al femminile, il cui primo uso risale al 1949, quando D.O. Cauldwell enucleò, senza attribuirvi connotazioni psichiatriche, un quadro clinico particolare, nell'ambito delle ''disforie di genere'', già note ai sessuologi e agli psicologi. Con disforia di genere s'intende una forma di angoscia, determinata dalla difficoltà o dal rifiuto di accettare il proprio sesso anatomico: si tratta di disturbi relativi all'identità di genere, con un atteggiamento di ostilità e di svalutazione nei riguardi del proprio corpo, relativamente alla sfera sessuale.
Il t. è ancora oggi considerato un'anomalia della formazione dell'identità personale, specificamente riferita all'assunzione del ''ruolo'' socialmente attribuito alle caratteristiche differenze sessuali. Nel 1953 H. Benjamin riprese questa terminologia in un articolo pubblicato sull'International Journal of Sexology (rivista poi cessata); nel medesimo anno, inoltre, ebbe molta diffusione nel mondo medico e soprattutto nei mass media la comunicazione fatta da G.K. Sturup ed E. Dahl-Iversen, i quali presentarono una ''conversione di sesso'' chirurgicamente ottenuta nel 1951, in Danimarca: George Jorgensen si era trasformato in Christine. Non si trattava, per la verità, del primo intervento del genere, ma l'evento ebbe grande risonanza.
Da allora il termine ''transessuale'' viene applicato nell'accezione comune agli individui che vogliono, con l'assunzione di ormoni del sesso opposto e con interventi chirurgici appropriati, ottenere di appartenere al sesso opposto e di averne il riconoscimento attraverso la rettifica anagrafica. All'inizio invece esso ebbe nell'opinione comune un significato psichiatrico, come di una stravaganza o di una follia. Attualmente, dopo che il criterio diagnostico delle dinamiche patogenetiche ha acquisito una maggiore accuratezza, si tende a distinguere ed evidenziare la quota di ''normalità'' o di ''patologia'' soggiacente alla disforia di genere, in particolare in vista dei possibili sviluppi di gravi psicosi, dopo l'intervento, psicosi prima mascherata dal ''progetto'' di cambiamento di sesso.
Con il progresso tecnico degli interventi chirurgici le trasformazioni si sono moltiplicate; il problema da clinico è divenuto anche legale, per la necessità di stabilire riferimenti anagrafici tali da consentire una vita sociale adeguata alla nuova situazione personale. La legislazione, per conseguenza, è stata modificata in molti stati (v. oltre: diritto). Dopo un periodo di notevole incremento (sia pure in una casistica non abbondante) si osserva attualmente una maggiore cautela da parte degli operatori chirurgici, per la complessità della diagnosi psicologica e per le difficoltà di adattamento sociale nella nuova identità. La società, infatti, mentre si lascia abbagliare da alcuni ''casi'' clamorosi, di tono divistico, mostra resistenze ad accettare quella che sembra una ''fissazione'' assurda. Di qui la necessità dell'assistenza psicologica anche dopo il cambiamento.
Effettivamente, dal punto di vista etiopatogenetico il t. rimane ancora fra gli enigmi insoluti. Considerato in una prospettiva storica, esso si trova presente in culture antiche molto diverse. Nelle religioni anatoliche il culto di una Grande Madre, signora di tutto il mondo animale e vegetale, praticato prevalentemente in celle sotterranee dei templi o in grotte oscure (chiaro simbolo delle profondità oscure del grembo materno), comportava momenti orgiastici, nei quali i fedeli di sesso maschile ''depositavano'' ai piedi della dea i loro genitali, nel simbolismo dell'unione sessuale fra l'uomo e la terra. Tale culto permeò, in forme localmente adattate, anche il mondo greco e romano, convivendo con la religione ufficiale. Chi si privava degli organi genitali diveniva sacerdote − o meglio sacerdotessa − della dea, che era Agditis o Astarte in Asia Minore, Cibele per i Frigi e in seguito per i Romani.
Presso altre popolazioni, in Siberia, in Madagascar, nel Nord America e nell'America conquistata dagli Spagnoli, alcuni antropologi hanno trovato vestigia di simili usi, non sempre accompagnati dalla castrazione, certo però fortemente condizionati dal passaggio di comportamento dal maschile al femminile. Anche questi individui assumevano funzioni ''sacre'' come sciamani, dotati di poteri religiosi e medici, venerati dalla popolazione per la loro funzione di guida, di aiuto al gruppo. Per alcune di queste analogie la maggior parte degli studiosi dell'argomento si è chiesta quale significato può avere la figura femminile/materna nella vita di alcuni individui, al punto da provocare un bisogno così profondo d'identificazione e d'imitazione, e a quale stadio evolutivo è possibile far risalire la motivazione all'identificazione stessa.
I culti antichi mettono in rilievo l'importanza della figura femminile nella vita sociale di popolazioni che noi consideriamo primitive: è una figura carica di un potere immenso, dotata di una prerogativa che è negata all'uomo, la potenza generativa; il rapporto sessuale procreativo è inteso come un ''dono'' dettato da sottomissione alla potenza misteriosa che racchiude in sé la vita. L'indagine psicoanalitica ha rilevato spesso dinamiche simili nel rapporto figlio-madre, evidenziando altre forme più sfumate ma più profonde di sottomissione e devozione, fino all'autodistruzione. H. Benjamin (1968) e R.Y. Stoller (1968 e 1975) hanno tracciato un profilo del trans, dedotto dalla casistica osservata verso la fine degli anni Sessanta: una madre troppo possessiva e nettamente prevalente sulla figura paterna, scialba e poco incisiva; un figlio particolarmente ''inclinato'' a cadere vittima del proprio ambiente. Più attentamente Stoller in seguito ha evidenziato la scarsa femminilità della madre, figura ''incompiuta'', che s'identifica col figlio (femminilizzato) e trova in lui ciò che le manca, realizzando una simbiosi che porta all'identificazione psicologica, quindi al disturbo dell'identità di genere. Al figlio maschio viene sottratta la mascolinità psicologica; la sua virilità si riduce ai tratti somatici, che sempre si manifestano nella loro pienezza, al funzionamento regolare del sistema ormonale e − più ancora − al corretto patrimonio cromosomico. Questa ''normalità totale'' caratterizza il vero e proprio trans, con stridente contrasto con l'anomalia psichica. La frattura fra le due componenti determina un'angoscia intollerabile. Stoller aggiunge poi un'osservazione preziosa: "Queste madri... consentono lo sviluppo di altre funzioni dell'Io, come la mobilità, il linguaggio, la lettura e simili... Il bambino non sviluppa mai un rapporto eterosessuale con la madre...", permanendo così nell'identificazione femminile.
Naturalmente questa ipotesi esplicativa, sebbene più volte verificata, non soddisfa pienamente. La questione è più complessa, nel senso che non tutte le coppie genitoriali sono state così nettamente corrispondenti allo schema, né tutte le condizioni sociali sono analoghe. Recentemente J. Baldaro Verde e A. Graziottin (1991) hanno inquadrato la sindrome transessuale nella dinamica della ricerca dell'identità, allargando la considerazione ai ''fattori predisponenti'' che agiscono durante la vita fetale, nel gioco delle influenze ormonali sessuali sul cervello; un'ipotesi già avanzata dai genetisti, confermata solo per pochi casi e ancora in evoluzione. Vi sarebbe dunque un transessualismo ''primario'', come precondizione biologica al successivo sviluppo di un'identità contraddittoria fra soma e psiche, ma in realtà orientata nella direzione uomo-donna. Una situazione diversa si verificherebbe nel t. ''secondario'', nel quale entrerebbero in gioco fattori prevalentemente psicologici, quali reazioni a processi e difficoltà intrafamiliari, reazioni di tipo ''difensivo'', con l'assunzione di identità illusorie o costruite dall'Io, come barriera contro l'angoscia. Fattori sociali, come l'attuale volgarizzazione delle conoscenze sulle possibilità di trasformazione chirurgica, favorirebbero l'assunzione di questi atteggiamenti difensivi.
Gli autori citati trattano prevalentemente la questione del t. maschile, con il progetto Uomo-Donna. Molto meno studiato è il t. Donna-Uomo, la cui casistica è meno frequente, sebbene si stia osservando un tendenziale incremento; sembra che la cosa sia meno tollerata socialmente. Anche per questa forma di t. si postula come causa un difficile rapporto con la madre, descritta come persona fredda, anaffettiva, formalmente ineccepibile nel suo ruolo, ma incapace di accompagnare i suoi gesti con la tenerezza; in alcuni casi essa sarebbe del tutto assente fisicamente. La conseguenza è che la figlia ''sceglie'' di essere maschio, identificandosi con il padre, già molto precocemente.
Vi sono comunque serie difficoltà diagnostiche, dovute al fatto che il colloquio esplorativo urta contro una forte resistenza del soggetto a esplorare se stesso in profondità: vi è un'''impenetrabilità'' nella psiche del trans, che impedisce di giungere a ipotesi convincenti e attendibili. Si va avanti per tentativi. In genere il trans dà per certa la sua condizione di essere ''altro/a'' dal sesso anatomico, ricostruisce l'anamnesi personale secondo i criteri suggeriti dalla convinzione di ''essersi sentito sempre'' appartenente al sesso contrario e attribuisce con frequenza alla propria madre il desiderio di avere un figlio/a di sesso diverso. È tanto convinto/a di ciò che dice da riuscire talvolta a influenzare il clinico, al quale si rivolge per ottenere quanto desidera, col rischio di far incorrere in errori diagnostici sulle effettive dinamiche della personalità. Il follow-up dopo tre anni dall'avvenuto intervento, secondo P. Hertoft (1982), dimostra che esso è indicato solo in un ristretto numero di casi; per alcuni soggetti sembra avere un significato terapeutico nel senso che vengono superate antiche angosce che potevano indurre al suicidio, permette di avere una forma corporea rispondente al desiderio soggettivo e anche di realizzare in qualche modo un'unità interiore che rende vivibile la vita.
Dalla numerosa bibliografia si rileva la difficoltà di ''capire'' veramente che cosa è successo nell'evoluzione psicologica del trans. Gli schemi di Stoller e Benjamin e dei successivi studiosi non sono tali da indicare una specificità: molti individui si sono trovati immersi in dinamiche familiari simili o uguali, ma sono evoluti verso altre forme di disagio interiore, come la psicosi, la psiconevrosi, ecc. Rimane però sempre la domanda sulla condizione predisponente, che fa scattare questa scelta piuttosto che un'altra: se è una difesa contro il pericolo di cadere nella psicosi distruttiva; se è meglio sacrificare una parte del corpo piuttosto che doverlo distruggere tutto. La castrazione, dopo tutto, permette la sopravvivenza. Indubbiamente il coraggio e la tenacia nell'assoggettarsi a lunghi periodi di terapia ormonale e a pesanti interventi chirurgici, con relativa sofferenza, mostrerebbero che la posta in gioco è alta. E anche in seguito occorre un costante impegno di riadattamento per fruire dei vantaggi di una diversa condizione di vita. Quanto ai modelli identificatori seguiti dai trans, la lettura dei documenti tratti dai colloqui e dai test psicodiagnostici presenta caratteristiche comuni ai due sessi: essi aspirano a una vita nella quale prevalga l'erotismo, secondo schemi di ruolo sessuale per lo più superficiali, spesso convenzionali, talvolta estremamente esibizionistici, per lo più ispirati ai ''ruoli'' sessuali trasmessi dalla generazione precedente, molto più raramente da quella contemporanea. Comunque sono ruoli visti dal di fuori, come li può vedere un bambino ancora piccolo. Ciò che manca è la profondità della partecipazione alla consapevolezza di avere organi genitali funzionanti in ordine alla riproduzione, con il patrimonio immaginario che essi stimolano e anche il rapporto con il proprio corpo, prima disprezzato e poi narcisisticamente assunto, sembra piuttosto labile e insicuro.
Il fatto che occorrono interventi di controllo frequenti per conservare gli esiti dell'intervento rende precario tale rapporto. I trans si sentono trascinati ad assumere una forma corporea deprivata dell'effettiva funzionalità fisiologica sessuale; le gratificazioni si riducono alla tenerezza, all'erotismo, allo scambio di sentimenti amorosi. È il sesso senza sesso. Una fuga dal sesso, un vivere ''come se'' si fosse l'''altro''. La prospettiva, in sostanza, è la castrazione, il sesso senza rischio, la gratificazione in termini di immaginario, anche se ancorato a un'apparenza di realtà. E tutto ciò se tutto va bene. La convivenza con un partner fisso è accennata nello studio di Baldaro Verde e Graziottin che abbiamo già citato: "Nella maggior parte dei casi... il partner e il trans sembrano condividere un'idea fissa illusoria o meglio un'idea ''sopravvalutata'' in quanto fortemente condizionata dall'affetto che lega fra loro i soggetti". Vi è la ricerca dell'amore, generalmete con un partner dominante; il legame appare di tipo omosessuale, vissuto quasi sicuramente a livello inconscio. Nel trans è intesa la negazione della propria omosessualità con l'incomprensione della reale consistenza del legame.
Connessa con la difficoltà diagnostica è la difficoltà d'ipotizzare una terapia specifica: è esperienza di tutti gli psichiatri e psicoterapeuti il fallimento di tutti i tentativi di correzione: l'unico intervento utile è quello di assecondare il progetto del trans, una volta accertato che siano esclusi tratti psicotici o di borderline. Il soggetto ''esige'' una totale complicità del clinico, garantita dall'abilità tecnica. Nel 1968 Benjamin affermava: "La mente del trans è immutabile nel suo falso orientamento di genere", e − a distanza di 20 anni − M. Canestrari (1988) ripeteva: "Finora non esistono casi di psicoterapia ben riuscita, che siano cioè in grado di ri-orientare la sessualità in modo corretto". Semmai il compito del terapeuta non è d'imporre una correzione non gradita al paziente, ma di trovare le tecniche psicologiche idonee a far vivere la straordinarietà del progetto, rispettando la libertà e la dignità del soggetto e offrendogli gli aiuti personali e sociali per fargli vivere il resto della sua vita libero dalle più tormentose angosce, valorizzandosi in ciò di cui è capace.
Bibl.: D.O. Cauldwell, Psychopatia transexualis, in Sexology, 16 (1949), p. 274; G.K. Sturup, E. Dahl-Iversen, in Journ. of Am. Med. Ass., 1953; H. Benjamin, Il fenomeno transessuale, Roma 1968; R.Y. Stoller, Sex and gender, New York 1968; Id., Perversioni, Milano 1975; Id., The transexual experiment, Londra 1975; H. Benjamin, Il fenomeno transessuale. Rapporto scientifico sul transessualismo e sui cambiamenti di sesso, in Psiche e Coscienza, Roma 1981; P. Hertoft, Sessuologia clinica, Milano 1982; M. Canestrari, Uomo o donna, Bologna 1988; J. Baldaro Verde, A. Graziottin, L'enigma dell'identità, Torino 1991; AA.VV., Sesso nomade. Transessualità, androginia e oscillazioni dell'identità sessuale, Roma 1992; A. Riva, Storia di John: un transessuale?, Bologna 1993.
Diritto. - Il t. dev'essere distinto dall'ermafroditismo, in cui la divergenza tra sesso accertato al momento della nascita e sesso effettivo è dovuta alla presenza nel soggetto di caratteristiche sessuali non ben definite al momento della nascita e a un'evoluzione di segno diverso rispetto al sesso accertato, ovvero di caratteristiche sessuali all'apparenza definite, ma solo in un successivo momento rivelatesi nella loro realtà. Anche in quest'ultima ipotesi sul piano soggettivo si riscontra una divergenza rispetto al sesso accertato al momento della nascita ma non − come invece accade nel caso delle persone transessuali − rispetto al sesso fisico effettivo. L'ermafrodita sul piano giuridico aspira a una rettificazione delle indicazioni contenute nei registri dello stato civile, non corrispondenti al suo sviluppo sessuale, diverso rispetto all'accertamento compiuto al momento della nascita. Esattamente, quindi, in questa ipotesi l'ordinamento italiano non ha mai posto limitazioni alle operazioni di adeguamento né alla rettificazione dei registri, riconducendo la fattispecie all'"errore" di cui all'art. 454 cod. civile. La decisione relativa al compimento delle eventuali operazioni di adeguamento e di conseguenza all'appartenenza a un sesso diverso da quello accertato, è rimessa incondizionatamente al soggetto, che può ottenere una rettificazione con efficacia ex tunc.
Il t. determina problemi di diversa natura: medici, giuridici, sociali. I primi sono causati soprattutto dalla complessità del trattamento chirurgico necessario per un adattamento dei caratteri sessuali. Tale trattamento, a cui il soggetto può sottoporsi soltanto dopo aver ottenuto un'autorizzazione del Tribunale, è considerato dalla legge italiana quale presupposto per ottenere mediante sentenza la "rettificazione di attribuzione di sesso", cioè la modifica dell'indicazione del sesso nei registri dello stato civile e nei documenti personali, nonché la modifica del nome. In questo caso gli effetti non sono retroattivi (l. 14 aprile 1982 n. 164). Il punto da cui prendere le mosse per un'adeguata comprensione della problematica in esame riguarda l'accertamento del sesso della persona. Esso, com'è noto, viene compiuto immediatamente dopo la nascita in base alle caratteristiche sessuali esterne; in quel momento non ha luogo, né potrebbe aver luogo date le attuali conoscenze, un accertamento della personalità psichica. La divergenza tra il sesso accertato e quello a cui il soggetto sente di appartenere si manifesta quindi in una fase successiva della vita della persona; in alcuni casi comunque già dopo pochi anni.
La soluzione a cui di recente si è pervenuti nell'ordinamento italiano −così come è avvenuto in altri paesi − si fonda su "intervenute modificazioni dei caratteri sessuali" (art. 1 legge cit.) e sul convincimento del soggetto (maggiorenne) di appartenere al sesso diverso da quello risultante nei registri dello stato civile. Al riguardo la legge prevede una consulenza intesa ad accertare le condizioni psicosessuali dell'interessato (art. 2). Da un lato, quindi, si rimane legati al tipo di accertamento − oggettivo − che si compie al momento della nascita, dall'altro s'introduce un nuovo tipo di valutazione, basata sul convincimento della persona, cioè su un elemento di tipo soggettivo. Il contrasto tra l'elemento fisico e quello psichico e la difficoltosa ricerca di una corrispondenza costituiscono le ragioni di travaglio della persona transessuale, ma anche di un momento di impasse dell'ordinamento giuridico che attribuisce rilievo al convincimento psichico soltanto a condizione che venga artificiosamente creata una discrepanza tra i dati risultanti dall'accertamento compiuto al momento della nascita e le ''attuali'' caratteristiche sessuali, e si determini in tal modo una (più o meno accentuata) corrispondenza tra il corpo e la psiche. Pertanto, anche con la nuova normativa, che ha superato un secolare divieto, l'ordinamento rinuncia soltanto in parte al tradizionale criterio di accertamento. Infatti, la legge prende in considerazione l'elemento soggettivo, ma il convincimento della persona non è sufficiente, poiché occorre che in base a un nuovo esame delle caratteristiche fisiche − ottenute mediante intervento chirurgico − sia possibile giungere a una conclusione diversa da quella che aveva determinato il sesso anagrafico del soggetto. Il convincimento della persona rileva in modo autonomo soltanto quale presupposto per l'autorizzazione al compimento delle operazioni necessarie per conseguire le "modificazioni dei caratteri sessuali" (art. 2, terzo comma, e 3 legge cit.) e quindi la rettificazione.
La prudenza della scelta legislativa, che considera irrinunciabile la presenza di dati oggettivi su cui basare il mutamento, testimonia la difficile ricerca di un punto d'incontro tra l'interesse della persona a vedere riconosciuto il sesso a cui sente di appartenere e l'interesse pubblico che impone una regolamentazione autoritativa degli atti di disposizione attinenti alla persona fisica e della materia dello stato civile. Pur essendo incerta la configurabilità nel nostro ordinamento di un diritto all'identità sessuale, che secondo alcuni potrebbe essere ricondotta alla norma della Costituzione sui diritti inviolabili (art. 2), la legge rappresenta tuttavia il riconoscimento della meritevolezza dell'interesse in questione, che trascende situazioni precarie e scelte arbitrarie esprimendo piuttosto momenti essenziali della realtà e del destino della persona umana.
Bibl.: P. D'Addino Serravalle, P. Perlingieri, P. Stanzione, Problemi giuridici del transessualismo, Napoli 1981; S. Patti, M.R. Will, Mutamento di sesso e tutela della persona, Padova 1986; P. Stanzione, Transessualità, in Enciclopedia del diritto, vol. xliv, Milano 1992, pp. 874 ss.