Transfert
In psicoanalisi si definisce transfert (derivato dall'inglese transfer, "trasferimento", passando per il francese transfert) il processo mediante il quale determinate rappresentazioni o contenuti - relativi a quella che in senso generico, quindi passibile di ulteriori precisazioni e determinazioni, possiamo definire la dimensione extracosciente di un paziente - si attualizzano nella relazione analitica, nel senso di venire rivissuti con riferimento alla figura dell'analista.
Possiamo dire - in breve, e con una certa limitazione di significati - che il transfert è il verificarsi di una ripetizione, nella relazione analitica, di prototipi esperienziali e comportamentali infantili. Ma questa definizione ridotta è, per molti versi, discutibile, sia perché alcuni autori - per es., di orientamento junghiano, a partire da Jung stesso (1946) - pongono la questione della ripetizione ben al di là dell'ambito personale o bipersonale, ipotizzando la riattualizzazione, nel transfert, di contenuti appartenenti a un patrimonio di funzioni strutturatosi filogeneticamente e in forme che vanno oltre l'esperienza individuale, sia perché è difficile capire il motivo per cui, una volta ammessa l'esistenza di un simile, pervasivo, processo psicologico, questo dovrebbe verificarsi nella sola situazione analitica e non, piuttosto, in ogni relazione, costituendo così la sostanza, profondamente connotata in senso proiettivo, di qualsivoglia rapporto umano. In ogni caso, si riconosce generalmente al transfert la qualità di luogo privilegiato e di strumento principe di osservazione, di interpretazione e, infine, di terapia del processo psicoanalitico. La riflessione su di esso, sulle sue modalità di manifestazione, sulla sua origine da eventi presenti o passati della vita individuale (o, come detto sopra, collettiva), sul come e quando interpretarlo, sul legame esistente tra questa scelta e l'efficacia stessa della cura e, infine, sul rapporto esistente tra il transfert del paziente e ciò che, con simmetrica ricchezza e articolazione di significati, si suole indicare con il termine controtransfert (ovvero la complessa reazione dell'analista a quanto proviene dal paziente) ha costituito, da S. Freud in poi, uno dei principali oggetti di indagine, di discussione e di elaborazione teorica.
Il concetto di transfert assume un ruolo via via più significativo nel pensiero freudiano, in parte anticipato da considerazioni sui meccanismi di formazione del sogno, in parte ricavabile da resoconti e considerazioni cliniche. Nel sogno, il transfert assume una connotazione simile a quella del meccanismo dello spostamento: un desiderio inconscio trova una sua espressione onirica trasferendosi, con l'intensità che gli è propria, su materiale proveniente dal preconscio (il cosiddetto 'residuo diurno'). Così, nella clinica, il transfert non si distanzia inizialmente dalle altre manifestazioni di spostamento dell'affetto: il fatto che esso prenda spunto dalla figura dell'analista viene considerato come espressione della particolare disponibilità di tale tipo di residuo, oltre che della resistenza del paziente a prender contatto con i propri desideri rimossi, per l'evidente difficoltà di parlarne alla persona interessata. La prospettiva cambia notevolmente con il commento critico aggiunto da Freud al caso clinico di Dora (1905): qui, è proprio la mancata interpretazione dei contenuti del transfert di Dora a venir indicata da Freud come motivo dell'insuccesso della terapia. Freud coglie successivamente, nel caso clinico dell'uomo dei topi (1909), l'intrinseca ambivalenza della configurazione del transfert proprio in quanto specificamente legato, come è inevitabile che sia, a una serie di 'introietti' sia positivi sia negativi delle figure parentali. Così come esiste un Edipo negativo e uno positivo, esisterà una componente positiva e una negativa del transfert: la prima (definita irreprensibile) riprodurrà l'insieme dei sentimenti teneri, affettuosi, provati nei confronti di un genitore (e costituirà la base di quell''alleanza' tra paziente e analista che è condizione necessaria allo svilupparsi della terapia); l'altra, l'insieme dei sentimenti ostili. In ogni caso, acquisiscono una centralità particolare per il trattamento analitico sia il riemergere, in una forma specificamente rivolta all'analista, di desideri e conflitti infantili - è la 'nevrosi di transfert', che si sostituisce alla nevrosi comune -, sia il lavoro interpretativo intorno a essa: l'analista dovrà saper fronteggiare quel tipo speciale di resistenza, la 'resistenza di transfert', che deriva appunto dal fatto che sentimenti infantili si riattualizzano nella figura del terapeuta, e in virtù della sua capacità, sapersene districare nel lavoro analitico e infine utilizzarli nella scoperta e nella rievocazione dei conflitti infantili.
Proprio in relazione ai processi di attualizzazione del transfert sulle caratteristiche peculiari della figura del terapeuta nasce, però, un quesito destinato a orientare gran parte del dibattito successivo. Si è visto come Freud assegnasse al transfert lo statuto di strumento di indagine sui conflitti infantili e considerasse, a questo scopo, necessario il superamento della forma, per così dire, immediata che il transfert assume in riferimento alla figura dell'analista, per poter giungere a una ricostruzione il più possibile attendibile di quanto avvenuto nel passato. Ma come pervenire a una condizione di transfert 'trasparente' rispetto all'emergere oggettivo di un ricordo, se poi è proprio nella perturbazione reciproca tra paziente e analista che deve essere colta la natura essenziale del transfert? In altre parole, è possibile rintracciare un'evidenza 'esterna' in una situazione, come quella analitica, così fortemente caratterizzata in senso interattivo? Non dovrà, più semplicemente, essere ammesso che ogni situazione analitica crea i suoi specifici fenomeni di transfert, che risultano, quindi, dipendenti da fattori molteplici, come il particolare comportamento (per es., più o meno assertivo) dell'analista, ma anche la sua emotività, la sua visione del mondo, la sua tecnica interpretativa, il suo sesso, oltre ad aspetti, per così dire, più formali come, per es., le caratteristiche del suo studio, la frequenza delle sedute, le forme pattuite di pagamento. Quanta parte del transfert riferire al conflitto infantile e quanta, invece, ascriverne alle caratteristiche reali (specifiche e aspecifiche) della relazione, al cosiddetto 'qui e ora', diverrebbe, dunque, un inevitabile oggetto di negoziazione tra paziente e analista (Sandler 1983; Rangell 1984). Si capisce, allora, perché la teoria della tecnica successiva a Freud abbia voluto rendere via via più espliciti i termini di tale negoziazione, intervenendo eventualmente su di essi per realizzare interventi terapeutici più efficaci. Ciò ha condotto a trasformazioni dell'impianto teorico stesso della psicoanalisi, che sono andate esplicitandosi man mano che si rendeva possibile un distacco dalle concezioni del maestro. Non era, infatti, difficile sostenere che il 'qui e ora' del transfert costituisse, nella sua specifica modalità interattiva, un tipo di ripetizione da non intendere, alla maniera di Freud, come ascrivibile a fasi dello sviluppo libidico individuale, quanto, piuttosto, al carattere intrinsecamente duale dei rapporti primari del bambino con le figure parentali. Perciò si assiste, a partire dagli anni Quaranta del 20° secolo, a una modificazione strisciante di paradigma: se il transfert di Freud si aggancia all'ipostatizzazione di un tipo particolare di conflitto (quello edipico) e rende accidentali le forme che esso assume nella vita e nelle relazioni di ognuno, nel postfreudismo - in particolare all'interno della scuola inglese delle relazioni oggettuali (W.R.D. Fairbairn, H. Guntrip, D.W. Winnicott, M. Balint ecc.), ma il discorso può estendersi ai giorni nostri, fino alla cosiddetta psicologia del SÉ - divengono essenziali le forme peculiari delle relazioni infantili di ciascun paziente, ed è a partire da esse (non importa se osservate o solo ipotizzate sulla base di fantasie successive) che vanno osservate le configurazioni assunte dal transfert, costruendo eventualmente dispositivi e tecniche transferali ulteriori (Kohut 1971) e via via più raffinate. Con ciò finiscono per embricarsi, fin nelle contemporanee dispute sul transfert, due prospettive difficili da separare: una prima prospettiva che utilizza l'attenzione ai contenuti del transfert come 'grimaldello' per modificazioni all'approccio ortodosso, a favore di una teoria che affermi una differente priorità di eventi significativi; una seconda che, prescindendo da ogni specifica esigenza teorica, valorizza il 'qui e ora' del transfert ponendolo come premessa a una percezione realistica e condivisa del lavoro analitico, come base, cioè, di un diverso accordo tra paziente e analista che conferisca valore al contributo comune alla costruzione di una situazione terapeutica (Thomä-Kächele 1985-88). La prima strada sostituisce a un transfert inteso come ripetizione astorica di un conflitto intrapsichico un transfert che è ripetizione, pur sempre astorica, di relazioni primarie; la seconda considera la trasformazione terapeutica un processo da validare e ridefinire continuamente sulla base di un'attenta consapevolezza degli scambi consci e inconsci tra paziente e analista (Gill 1982; Modell 1984).
Tali concrete attenzioni terapeutiche si sono sviluppate anche attraverso la formalizzazione dell'esistenza di un altro 'protagonista' centrale della scena analitica - il controtransfert - che oggi si ha la tendenza a definire (seguendo Raker 1957) come l'insieme degli atteggiamenti consci e inconsci dell'analista nei confronti del paziente. L'esistenza di tale protagonista non era sfuggita a Freud, che lo aveva però più semplicisticamente e schematicamente definito come 'reazione dell'analista al transfert del paziente'. Questa reazione era intesa, almeno in un primo momento, da Freud (e a questo punto non dovrebbe essere difficile comprenderne le ragioni), come espressione di complessi e resistenze dell'analista e, di conseguenza, come ostacolo da superare per giungere a una corretta percezione dei conflitti inconsci del paziente. Vero è che tale accezione del controtransfert trova, nello stesso Freud, una parziale correzione, in quei punti del suo discorso in cui viene indicato nell'inconscio dell'analista il vero 'organo ricevente' delle comunicazioni del paziente. Le prime reali modificazioni del modo ortodosso di intendere la coppia transfert-controtransfert si hanno però successivamente, tra gli analisti di indirizzo kleiniano (P. Heimann, W. Bion, L. Grinberg ecc.): viene, in particolare, sottolineato da questi ultimi il contenuto conoscitivo delle emozioni suscitate nell'analista dal rapporto con il paziente; più specificamente, i concetti di transfert e controtransfert si embricano al concetto, già centrale in M. Klein, di 'identificazione proiettiva', che tende a rendere l'analista un potenziale esecutore di contenuti inconsci scissi, prima, e proiettati poi in lui dal paziente; contenuti da percepire e analizzare attentamente, per formulare ipotesi e interpretazioni attendibili sui conflitti di quest'ultimo. Va comunque notato che questa impostazione teorica confina di nuovo l'analista nel ruolo asimmetrico di 'cercatore' delle sensazioni, più o meno differenziate, che il paziente introduce letteralmente dentro di lui e che sarà poi suo compito rintracciare e interpretare. Attualmente si è addivenuti a una concezione più simmetrica della situazione analitica, secondo la quale è ragionevole che vi siano scambi (ancorché, si spera, regolati dalla tecnica, nelle sue continue evoluzioni) di sentimenti di ogni tipo tra paziente e analista, compresi gli estremi dell'odio e dell'amore (Winnicott 1949); scambi all'interno dei quali risulta praticamente impossibile isolare sia transfert sia controtransfert. A proposito di tali interazioni forti, vengono considerate come particolarmente cogenti le riflessioni sviluppate dal clinico H.F. Searles (1979), secondo il quale l'analista vivrebbe, in corrispondenza con il transfert del paziente, fasi simbiotiche e fasi edipiche di controtransfert, e diverrebbe suo compito suscitare un passaggio dalle prime alle seconde; per J. Sandler (1983), il controtransfert si disperde infine nella trama continua e fittissima di messaggi consci e inconsci tra paziente e analista, messaggi interferenti e riverberanti a vari livelli, in una trama intrinsecamente duale che tenderebbe, pertanto, a trascendere le singole individualità in analisi. Ciò non significa naturalmente che sia esaurito il compito, etico prima ancora che scientifico, di continuare a decodificare, almeno per tentativi, contenuti e significati di tale trama.
bibl.: s. freud, Brüchstück einer Hysterie-Analyse, "Monatsschrift für Psychiatrie und Neurologie", 1905, 18, pp. 285-310, 408-67 (trad. it. in id., Opere, 4° vol., Torino, Boringhieri, 1970, pp. 305-401); id., Bemerkungen über einen Fall von Zwangsneurose, "Jahrbuch für Psychoanalytische und Psychopathologische Forschungen", 1909, 1, 2, pp. 357-421 (trad. it. in id., Opere, 6° vol., Torino, Boringhieri, 1974, pp. 7-75); m.m. gill, Analysis of transference, New York, International Universities Press, 1982 (trad. it. Roma, Astrolabio, 1985); c.g. jung, Die Psychologie der Übertragung, Zürich, Rascher, 1946 (trad. it. Psicologia del transfert, Milano, Il Saggiatore, 1962); h. kohut, Narcissism and the analysis of the Self, London, Hogarth Press, 1971 (trad. it. Torino, Boringhieri, 1976); j. laplanche, j.-b. pontalis, Vocabulaire de la psychanalyse, Parigi, PUF, 1967 (trad. it. Bari, Laterza, 1968); a.h. modell, Psychoanalysis in a new context, New York, International Universities Press, 1984 (trad. it. Milano, Cortina, 1992); h. raker, The meanings and uses of countertransference, "Psychoanalytic Quarterly", 1957, 36, pp. 303-57 (trad. it. in id., Studi sulla tecnica psicoanalitica, Roma, Armando, 1970, pp. 172-229); l. rangell, The analyst at work, "International Journal of Psychoanalysis", 1984, 65, pp. 125-40; j. sandler, Die Beziehungen zwischen psychoanalitischen Konzepten und psychoanalytischer Praxis, "Psyche", 1983, 37, pp. 577-95; h.f. searles, Countertransference and related subjects, New York, International Universities Press, 1979 (trad. it. Il controtransfert, Torino, Bollati Boringhieri, 1994); h. thomä, h. kächele, Lehrbuch der psychoanalitischen Therapie, 2 voll., Berlin, Springer, 1985-88 (trad. it. Torino, Bollati Boringhieri, 1990-93); d.w. winnicott, Hate in countertransference, "International Journal of Psychoanalysis", 1949, 30, pp. 69-74 (trad. it. in id., Dalla pediatria alla psicoanalisi, Firenze, Martinelli, 1975).