TRAPANI (gr. Δρέπανον e Δρέπανα; lat. Drepănum; A. T., 2728-29)
Città capoluogo della provincia omonima, situata all'estremità occidentale della Sicilia, sopra una lingua di terra elevata solo di pochi metri sul livello del mare, nel quale essa si protende in direzione della più settentrionale delle Egadi (Levanzo). Alla forma di falce (δρέπανον) di quella sporgenza pare debba la città il nome antico, da cui, con lieve modificazione, derivò il moderno. È saldata con un istmo più basso a una breve e caratteristica pianura costiera, orlata di saline da un lato e dall'altro limitata dal Monte San Giuliano, l'antico M. Erice, a cui è strettamente connessa l'origine della città nell'età classica. Cinta di mura e di ben sette fortezze nel Medioevo, si apriva al mare e sull'istmo con otto porte, delle quali tre sul porto. Oltre l'istmo era il Castello, munito di cinque torri.
Nella città murata, in cui al principio dell'età moderna dovevano essere dai 15 ai 16.000 ab. (nel 1570 furono 16.286) si distingueva già una parte più antica verso oriente (Casalicchio), generalmente di aspetto modesto, ma con varî edifici e chiese di notevole importanza storica e artistica, e un' altra più a occidente, di forma bislunga e più regolare, la quale aveva preso incremento a cominciare dall'età aragonese (il quartiere Palazzo). Questa seconda parte, in cui è il duomo (S. Lorenzo), è tagliata dalla strada principale della città, il Corso Vittorio Emanuele, che, partendo dal Palazzo municipale, corre a occidente, verso cui l'abitato si va diradando e la penisoletta si restringe sempre più; e la Torre di Ligny segna il punto in cui essa termina a NO., o, per dir meglio, s'interrompe per ricomparire a tratti in una serie di scogli, mentre un po' a SO. da una più regolare scogliera la penisoletta stessa è congiunta alla piccola isola del Lazzaretto, che, insieme con la vicina Colombaia, ripara in certo modo da occidente l'ampio porto. Ma questo a mezzogiorno è meglio riparato dalle saline sporgenti, le quali nell'insieme costituiscono, con i molini a vento destinati alla macinazione del sale, la principale caratteristica di quei contorni.
Nel piano tra la città vecchia e il borgo Annunziata, che ha tal nome da un famoso santuario alle falde del Monte San Giuliano, ha preso largo sviluppo, in epoca più recente, un quartiere con edifizî moderni - tra i quali è il Palazzo del governo - e con strade ampie e regolari. Ivi è anche la Piazza Vittorio Emanuele, col monumento del Duprè al primo re d'Italia; ivi è la Villa Margherita, cioè il giardino pubblico, che con alcune sue piante richiama la non lontana flora africana.
Per il traffico commerciale in genere, e per quello marittimo in specie, Trapani si può considerare al 4° posto nell'isola, dopo le tre principali città: e il medesimo posto si assegna al suo porto, la cui attività si volge in modo speciale verso le isole vicine e lontane, come le Egadi, le Pelagie, Pantelleria, Ustica. Esso può ritenersi, come nell'antichità Lilibeo, una vera testa di ponte per le relazioni tra la Sicilia e l'Africa nord-occidentale. Prodotto tipico è il sale, che la città esporta largamente insieme con le paste alimentari, rinomate in Sicilia, il tonno e il vino, che sono anche i prodotti delle industrie locali più importanti: quella del corallo non desta più l'interesse di una volta.
La popolazione, che sulla metà del Settecento era di poco superiore a quella di due secoli prima, crebbe rapidamente nella seconda metà di quel secolo (1748: ab. 17.311; 1798: ab. 24.330). Nel 1931 si contarono nel capoluogo 48.839 ab., mentre in tutto il comune furono 60.001. Il territorio di questo (kmq. 283,09) si estende principalmente nella regione costiera, pianeggiante, ma s'interna anche nella regione collinosa, tra i comuni di Erice (Monte San Giuliano) e di Paceco. Esso dà, oltre al sale, marmi colorati da numerose cave. La vite e l'olivo vi crescono rigogliosi; ma più estesa vi è la cerealicoltura.
Monumenti. - La città ha assunto oggi, nell'insieme, un aspetto moderno. Tuttavia, dai numerosi e cospicui resti di edifizî religiosi e civili, risulta ancora evidente quanto sia stato vivo a Trapani, nei secoli XIV, XV, XVI, il fiorire dell'architettura gotico-aragonese. Monumenti tipici, malgrado le trasformazioni subite, le chiese di S. Agostino e dell'Annunziata, i palazzi Chiaramonti e Ciambra. Fra i pochi monumenti di architettura del Rinascimento, molto notevole è la cappella del Cristo risorto aggiunta nel 1476 alla chiesa dell'Annunziata. Non pochi gli edifizî barocchi, ma di limitato interesse, salvo la Chiesa nazionale di tipo gesuitico.
Tra le sculture vi è da rammentare anzitutto, nella chiesa dell'Annunziata, la Madonna di Trapani, opera insigne di un maestro goticheggiante del sec. XV. In varie chiese e nel Museo Pepoli altre sculture pregevoli dei secoli XV e XVI; squisiti alcuni bassorilievi della più tarda arte gaginesca nella Chiesa nazionale. Tra le pitture più antiche vanno notate le tavole gotiche del museo e con esse gli affreschi trecenteschi, sotto influssi toscani, nella chiesa di S. Domenico. Pitture cinquecentesche nella chiesa di S. Maria di Gesù e in quelle della Nuova Luce. Opere attraenti del pittore trapanese Andrea Carrera (sec. XVII) nel museo, nel duomo, ecc.; sull'altare maggiore della Badia Nuova un bellissimo quadro di un ignoto fiammingo, con la data 1647.
In genere e pur essendovi stati, oltre al Carrera, altri maestri locali non trascurabili (Annibale Scudaniglio, Filippo Errante, ecc.) la dipendenza artistica di Trapani da Palermo appare manifesta per quanto concerne le arti maggiori. Invece alcune industrie artistiche hanno avuto a Trapani un proprio sviluppo e assunto caratteri esclusivamente locali. Così soprattutto l'arte del corallo, in fiore sino dal sec. XVI. Oggi queste arti trapanesi sono morte. In alcune chiese (l'Annunziata, la Badia Nuova, ecc.), in alcune collezioni private (D'Alì Staiti, ecc.), nella Congregazione di carità, nel Museo Pepoli restano documenti del loro antico splendore.
Bibl.: G. M. di Ferro, Guida per gli stranieri in Trapani, Trapani 1825; A. Sorrentino, Da Erice a Lilibeo (coll. Italia artistica), Bergamo 1928.
Storia. - Nell'antichità il nome greco di Drépana, da cui derivò quello odierno di Trapani, ricorre in più località delle quali sta a indicare la configurazione rassomigliante a una falce. Per la stessa ragione fu applicato, infatti, a una penisoletta dell'estremità occidentale della Sicilia della cui origine si favoleggiò in diversi miti, tra i quali, notissimo, quello relativo alla falce di Saturno.
Il porto di Trapani appartenne dapprima alla elima Erice, e, come tale, è appunto ricordato a proposito delle guerre di Dionisio il Grande; ma il nome greco di Drépana appare per la prima volta a proposito della prima guerra punica, quando questa località, che si trovava in possesso dei Cartaginesi, divenne un'importante stazione navale per la flotta, ad opera di Amilcare il quale, nel 260, vi trasferì parte della popolazione della vicina Erice. Per tale ragione questa posizione strategica fu aspramente contesa durante la prima guerra punica tra i due belligeranti: per il suo possesso ebbe luogo nel 249 la grande battaglia (v. sotto), in cui fu annientata da Aderbale la flotta di P. Claudio Pulcro; tenacemente assediata poi per lunghi anni dai Romani, questa località non doveva cadere nelle loro mani che nel 241, dopo la battaglia delle Egadi, per effetto della pace conclusa allora tra Amilcare e Lutazio Catulo. Durante il dominio dei Romani in Sicilia Drépana, nonostante rimanesse un fiorente centro commerciale, non ottenne speciali diritti e non fu che uno dei 68 comuni della provincia.
Quando alla rovina dell'Impero i Vandali occuparono la Sicilia, Trapani fu il primo punto di sbarco e di partenza per la conquista dell'isola. Seguì il dominio bizantino, che presto cedette alla forza esuberante dell'espansione araba nel Mediterraneo. Trapani musulmana fu tra le più fiorenti città della Sicilia, e continuò a esserlo, come attestano viaggiatori arabi e il famoso geografo Edrisi, anche durante il dominio normanno.
Dal sec. XII al XIV il porto di Trapani fu molto frequentato da Genovesi e da Pisani. La città partecipò alla rivoluzione dei Vespri, accolse per prima Pietro d'Aragona che, sbarcato a Trapani, ivi giurò gli statuti del Regno. Nella guerra quindi scoppiata, più volte gli Angioini tentarono di strappare agli Aragonesi Trapani, punto strategico per essi importantissimo. Furono sconfitti nelle acque di Trapani il 1284; furono respinti dopo un assedio, durato più di un anno per terra e per mare, nel 1315. Ed anche un secolo dopo, Luigi d'Angiò nel 1432 invano assediò Trapani, che vittoriosamente resistette, e che meritò allora il titolo di invittissima. La Sicilia oramai era attratta nell'orbita politica spagnola; e Trapani per la sua posizione, più d'ogni altra città dell'isola, ne sentì vantaggi e svantaggi. Il pericolo barbaresco nel Mediterraneo durante il sec. XVI fu quanto mai minaccioso per la città. Da essa Carlo V trasse piloti, marinari esperti e forze per la sua spedizione di Tunisi; a Trapani egli donò lo stendardo vittorioso al ritorno dall'impresa.
Le fortificazioni compiute verso la fine del Cinquecento la resero sicura dagli assalti barbareschi. La città dal Seicento al Settecento prosperò per le industrie del sale, della pesca, del corallo e per la navigazione.
Durante il breve dominio sabaudo, dopo il trattato di Utrecht, Trapani diede a Vittorio Amedeo II un valente ministro, Giuseppe Osorio.
Nel sec. XIX Trapani partecipò ai moti rivoluzionarî del 1820 e del 1848-49. Per la sua condotta nel '48 e '49 la città fu insignita della medaglia d'oro. E per il 1860 meritò da Garibaldi il più alto elogio per il valore dei volontarî, combattenti da Calatafimi a S. Maria di Capua. N. Ro.
La battaglia navale del 249 a. C. - Nel 252 la guerra fra Romani e Cartaginesi si era localizzata intorno alla fortezza punica di Lilibeo, e l'assedio pareva dovesse prolungarsi senza fine, sia per la vigorosa resistenza dei difensori, sia soprattutto per l'incompleto blocco marittimo dei Romani. Una non numerosa, ma ben agguerrita flottiglia punica, stazionante a Drepanum sotto il comando di Aderbale, manteneva infatti le comunicazioni fra l'Africa e la Sicilia, e alimentava di tempo in tempo gli assediati. Nel 249 i Romani, compreso che una decisione, più che dalle logoranti operazioni di posizione, poteva aversi da una vittoria sul mare, diedero forse ordini in tale senso al nuovo console, P. Claudio Pulcro, che aveva il comando delle forze sotto Lilibeo, e gl'inviarono circa 10.000 uomini per rifornire gli stremati equipaggi. Appena ricevuti i rinforzi, e fatto loro un sommario addestramento, P. Claudio, senza attendere che si riunisse a lui il console P. Giunio con altra flotta, concepì il piano di sorprendere e di distruggere all'ormeggio di Drepanum l'armata nemica. Come risulta dal chiaro, logico racconto di Polibio (I, 53), la flotta romana, partita troppo tardi nella notte, giunse in vista di Drepanum dopo l'alba, e diede così modo ad Aderbale, che l'aveva avvistata da lontano, di riunire gli equipaggi, imbarcarli e togliere gli ormeggi.
Il console romano, che inopportunamente, in azione siffatta, si era tenuto con la nave ammiraglia in coda, pur avendo visto mancare la sorpresa non modificò il suo schieramento e, mentre lasciava che le navi d'avanguardia infilassero la stretta imboccatura del porto, senza tuttavia bloccarne l'uscita, mantenne il restante della flotta in linea normale di navigazione a ridosso della piatta costa sicula. Avvenne così che Aderbale, facendo sfilare le sue navi nello stretto passaggio navigabile, rasente alla costa nord del porto, e alle pericolose scogliere d'occidente (Lazzaretto e Colombara), riuscì a guadagnare il libero mare, e a schierare nel modo più opportuno la sua flotta. P. Claudio diede allora all'avanguardia l'ordine di retrocedere e alle restanti navi di far fronte al nemico. Il miglior schieramento, la maggiore velocità delle navi e la superiorità degli equipaggi cartaginesi ebbero presto ragione dell'armata romana, a cui non valse la disperata e tenace difesa tentata con il consueto valore da qualche reparto.
Al delinearsi della sconfitta, P. Claudio si diede vergognosamente alla fuga, avendo con sé, secondo Diodoro (XXIV,1, 5), dieci, secondo altri autori, trenta (Polibio, loc. cit.; Eutrop., II, 26; Oros., IV, 10, 3) o venti navi (Front., Strat., II, 13, 9). Il resto della flotta romana fu in parte distrutto, in parte catturato.
Gli uomini uccisi furono, secondo le verosimili notizie di Orosio (IV, 10, 3), 8000 circa, i prigionieri 20.000. Gravissime furono per Roma le conseguenze della sconfitta: i Cartaginesi, divenuti padroni del mare, oltre a cogliere frutti immediati dalla vittoria, come la cattura di un grosso convoglio di navi onerarie e la rottura del blocco di Lilibeo, rinvigorirono la loro resistenza sulle basi siciliane, dando tra l'altro origine più tardi al pericoloso episodio della settennale guerra Barcina.
Bibl.: O. Meltzer, Geschichte der Karthager, II, Berlino 1896, p. 29; G. De Sanctis, Storia dei Romani, III, i, Torino 1917, p. 169 segg.; J. Kromayer e G. Veith, Schlachten-Atlas (Röm.-Abt.), I, tav. I, Lipsia 1922.
Battaglia navale del giugno 1266. - Presso Trapani si combatté verso la metà di giugno del 1266 una battaglia fra una squadra veneziana di 27 galere comandata da Iacopo Dandolo, che aveva ai suoi ordini A. Gradenigo e G. Contarini, e una genovese di 28 galere al comando di Lanfranco Borborino Della Turca. La squadra veneziana proveniente da Messina, quantunque inferiore di numero, attaccò la genovese e riuscì con ardita manovra ad avvolgerla. La battaglia fu lunga e accanita, e l'esito dapprima incerto, ma alla fine la linea delle navi genovesi fu rotta: tre galere furono incendiate e 24 catturate, i morti furono 1500 e i prigionieri 2600. L'ammiraglio Borborino e parecchi capitani della sua squadra poterono a stento salvarsi a nuovo. Anche i Veneziani subirono gravi perdite. La sconfitta genovese fu dovuta in gran parte all'imperizia del comandante in capo e alla scarsa combattività dei suoi dipendenti. Fu aperta una severa inchiesta: i capi furono condannati a gravi pene e banditi dal territorio della repubblica.
La provincia di Trapani. - Si stende, per kmq. 2507,64, con coste prevalentemente alte a N. e a NO., ove il capo S. Vito limita l'ampio golfo di Castellammare, e con coste basse a O. e a SO. Qui l'ampia fascia pianeggiante, che si allunga dalle falde del M. San Giuliano sino al confine meridionale (presso Porto Palo, a E. delle rovine di Selinunte), si restringe verso il centro, in direzione del Capo Boeo o Lilibeo, estremità occidentale della provincia e dell'isola. In pochi luoghi il rilievo raggiunge 500 m., in due, a settentrione, supera i 1000 metri (M. Sparacio, m. 1109; M. Inici, 1064). Le acque si raccolgono in massima parte nel Fiume Freddo a N., nel Birgi a O., nel Mazzaro, nel Delia, nel Belice a SO. La popolazione, divisa in 20 comuni, era nel 1931 di 374.520 abitanti, con un notevole aumento rispetto al 1921 e più rispettto al 1911 (densità: 142 nel 1911; 147 nel 1921; 149 nel 1931). Ma purtroppo tende anche a crescere la popolazione agglomerata rispetto alla sparsa (popolaz. sparsa: 24,6% nel 1911; 24,2 nel 1921; 17,3% nel 1931). Infatti la maggior parte della popolazione si agglomera in pochi centri, come Trapani, Alcam0, Marsala, Mazara, Castelvetrano, Salemi e qualche altro. Eppure essa è essenzialmente agricola (nel 1931, addetti all'agricoltura 71.917; industriali e artigiani 9777; commercianti 5354).
I prodotti agricoli più notevoli sono l'uva, le olive, gli agrumi, i cereali. Il primo alimenta l'industria più progredita col commercio più attivo della provincia, quello dei vini.
L'analfabetismo tende sempre a diminuire: era stato del 51,2% nel 1921, fu del 40,7% nel 1931 (34,2% nel capoluogo).