TRAPEZIO (τραπέξιον, trapezium)
È un quadrilatero avente due lati paralleli. Questi lati si chiamano basi (maggiore e minore), la loro distanza altezza. Se uno degli angoli d'un trapezio è retto, tale ne è anche un secondo e si ha il cosiddetto trapezio rettangolo. Se i due lati non paralleli sono uguali, il trapezio si dice isoscele. ed ha gli angoli uguali a due a due: prolungando i due lati uguali fino al loro incontro s'ottiene un triangolo isoscele.
L'area del trapezio s'ottiene moltiplicando la somma delle basi per l'altezza e dividendo il prodotto per 2.
Questa regola si ricava osservando che un trapezio è equivalente a un triangolo che ha la stessa altezza e la base uguale alla somma delle basi del trapezio.
La parola greca τραπέζιον (dernante da τετράπεζα = [tavola] a quattro piedi), non ha presso Euclide lo stesso nostro significato. La Def. 22 del Libro I degli Elementi definisce varie specie di quadrilateri, cioè i quadrati, i rettangoli, i rombi, i romboidi (ossia i parallelogrammi che non sono né equilateri, né equiangoli) e termina poi così: "I quadrilateri all'infuori di questi si chiamino trapezî". Ma già in Erone la parola si trova usata nel significato odierno. Nella letteratura matematica italiana, invece, la parola "trapezio" conservò per molto tempo il significato più generale euclideo. Le figure quadrilatere con due lati paralleli si trovano studiate nella Practica geometriae di Leonardo Pisano detto il Fibonacci (1220), ma con la denominazione di figure "quae habent capita abscissa". Presso i matematici italiani del Cinquecento è comune il nome di "capotagliato" o "capomozzo" per indicare i trapezî. In Cattaneo Novaarese (Opera del misurare, 1608) si trova il nuovo nome "gli trapezi overo capitagliati", ma soltanto più tardi esso entra nell'uso comune.
Bibl.: E. Bortolotti, Noterelle di terminologia matematica, in Periodico di matematiche, s. 4a, I (1921), p. 127.