trapianto d’organo, problemi psicologici del
Il trapianto ha per la prima volta reso possibile realizzare l’atto di donazione volontaria e di condivisione assoluta di parte di se (o del proprio congiunto), aprendo problemi nuovi e non facilmente affrontabili sul piano sociale e psicologico. La donazione di per se e strettamente connessa al sacrificio, tematica che, insieme all’altruismo, permea la storia, il pensiero, i miti e le fantasie della nostra specie. La donazione d’organo comporta il fatto che, nel caso del donatore cadavere, la donazione stessa e collegata a una morte che spesso non si ha né il tempo né la capacita socioculturale di riconoscere e accettare. Se cioè da un lato donare l’organo di un parente e un modo per far sopravvivere qualcosa del morto, dall’altro questo coincide necessariamente con la fine dell’apparenza della vita (che il morto a cuore battente sembra ancora conservare) e con la conseguente rinuncia a ogni speranza. La donazione presuppone un lutto, parziale (sotto forma di una mutilazione) nella donazione tra viventi, assoluto nella donazione da cadavere. In entrambi i casi si attivano fantasie di potenza (‘ridare la vita’), che possono contribuire a rendere più difficile il processo di elaborazione del lutto nella donazione da cadavere, oppure una corretta valutazione dell’atto (che e pur sempre una grave mutilazione), nella donazione da vivo a vivo. Per quanto riguarda la donazione da cadavere sono presenti fantasie di sopravvivenza, di riparazione della morte, di immortalità che, sebbene consentano un parziale compenso della lacerazione emotiva provocata dalla morte di un famigliare, a volte non permettono la realistica accettazione della perdita e la ricostruzione di un nuovo equilibrio famigliare. In tal senso la donazione da parte del gruppo parentale del donatore cadavere e una scelta complessa, condizionata dall’evento emozionale, che va spesso assistita da una consulenza psicologica professionale.