TRASAMONDO
(II). – Duca di Spoleto e nipote del duca omonimo, figlio di Faroaldo II, Trasamondo si impose come duca di Spoleto nel 719 o 720, ribellandosi contro il padre che fu ridotto allo stato clericale e costretto a ritirarsi nel monastero di S. Pietro in Valle (Terni).
Le circostanze della deposizione di Faroaldo II non sono altrimenti note; ma essa va collocata nel contesto delle operazioni militari contro la presenza bizantina in Italia, e in tale ambito nel quadro dei contrasti fra Roma e il potere imperiale. C’è ragione di ritenere che il disaccordo fu motivato dall’eccessiva subordinazione di Faroaldo II alla politica di re Liutprando. L’offensiva a tutto campo condotta da Liutprando e dai duchi di Spoleto e Benevento, che ebbe un momento saliente nella conquista di Narni (717, da parte di Faroaldo II), significava di per sé anche espansione dell’autorità regia verso sud, e di conseguenza una potenziale minaccia all’autonomia di Spoleto.
Nel conflitto fra il papa e Bisanzio, Trasamondo II si schierò apertamente contro l’esarca Paolo, inviato in Italia nel 724/725 con l’obiettivo esplicito di deporre Gregorio II, che si rifiutava di applicare sui possedimenti della Chiesa di Roma la politica fiscale dell’Impero. Il contingente inviato da Ravenna fu bloccato al ponte Salario dalla resistenza dell’esercito romano, supportato dai rinforzi provenienti da Spoleto e dalla Tuscia. Ma i rapporti di forza cambiarono con il nuovo esarca Eutichio, che nel 727 sostituì Paolo, in un momento nel quale la rivolta antibizantina imperversava a Roma (ove il duca Pietro, accusato di ordire l’uccisione del papa, fu deposto e accecato).
Rinunciando all’impossibile obiettivo di imporsi con la forza delle armi, Eutichio intavolò trattative direttamente con Liutprando, che vide in esse l’occasione non solo di svolgere un ruolo di mediazione fra Roma e Bisanzio, ma anche di consolidare la sua influenza nei ducati meridionali (rispetto ai quali non aveva sino ad allora manifestato un particolare interventismo). Nelle vesti di alleato dell’esarca, intraprese dunque nel 729 una spedizione militare verso sud, avendo come prima meta Spoleto, mentre Eutichio marciava direttamente su Roma.
Trasamondo II, così come Romualdo II, duca di Benevento, fu costretto a un atto di sottomissione formale a Liutprando, e dovette consegnare dei pegni a garanzia dell’impegno che si assumeva. Successivamente, grazie alla pressione esercitata dal suo esercito accampato al Campus Neronis, Liutprando condusse il negoziato tra l’esarca e Roma, con un sostanziale successo perché le insegne reali furono depositate alla tomba di san Pietro. È ragionevole pensare che il papa abbia rinunciato formalmente all’alleanza con Trasamondo II e Romualdo II.
La successiva elezione di Gregorio III (731-741) condusse però a rinnovare lo schema dell’alleanza fra Trasamondo II e il papa, con l’obiettivo di creare un fronte unitario contro Liutprando da un lato e l’Impero dall’altro. Nel 737-738, come reazione agli attacchi di Liutprando nella Pentapoli, Trasamondo II s’impossessò del castello di Gallese (sulla via Amerina, al confine settentrionale del Ducato di Roma), che controllava l’itinerario Roma-Ravenna. Presto però Gallese fu restituito al papa.
L’accordo fu sancito dal pagamento di una forte somma di denaro; secondo il Liber pontificalis esso specificava che la restituzione era fatta certamente a beneficio dell’impero (detto «santa repubblica»), ma anche dell’«esercito romano»: ovvero la comunità politica cittadina, che appare dunque dotata di prerogative pubbliche e di potere territoriale.
In questa trattativa (garantita da un patto scritto di non aggressione, e bilanciata dal ripristino di buoni rapporti fra Roma e Benevento), né Trasamondo II né il duca di Benevento avevano consultato il re. La reazione di Liutprando non si fece attendere e nell’estate del 739 si concretizzò in una spedizione armata per riprendere il controllo di Spoleto e venire a capo, una buona volta, della magna turbatio (così il Liber pontificalis) fra Romani e Longobardi che tale riavvicinamento comportava. Trasamondo II si rifugiò a Roma, presso Stefano patrizio e duca: ciò rimarcava l’obiettiva alleanza tra di loro, per la causa dell’autonomia.
L’assedio fu senza esito, ma permise a Liutprando di impadronirsi di vari castra (Amelia, Orte, Bomarzo, Blera) e di ostacolare così le comunicazioni tra Roma e la Tuscia e Roma e Ravenna.
Nella corrispondenza diplomatica che seguì a questo episodio tra Liutprando, Carlo Martello e il papa, Trasamondo II (rifugiato in Roma) fu il pomo della discordia: il papa rifiutò di consegnarlo a Liutprando, trincerandosi dietro il pactum stipulato con lui, e di fronte alle accuse del re per la prima volta chiese ai Franchi un intervento diretto contro i Longobardi.
Al ritorno verso nord del re, Trasamondo II poté ripristinare la sua autorità sul Ducato di Spoleto, con l’appoggio delle truppe romane, che permise di aprire un doppio fronte, in Sabina e nei Marsi. Con tale appoggio, Trasamondo II veniva ricompensato dell’aiuto che aveva dato a Roma contro l’esarca, nel 724-725. Ilderico, nominato duca da Liutprando, fu ucciso (dicembre 739).
Pur di ottenere l’aiuto per la riconquista di Spoleto, tuttavia, il duca si era impegnato con il papa, con i duca Stefano e Romani a fornire aiuto per la riconquista dei quattro castelli presi da Liutprando; ma una volta ripreso il potere, disattese la promessa. L’avvicendamento papale, con l’elezione di Zaccaria (dicembre 741) fu dunque l’occasione per un nuovo rovesciamento delle alleanze: Trasamondo II si alleò con i Bizantini, Roma e Liutprando si riavvicinarono. E a compenso della restituzione dei quattro castelli, il papa fornì l’appoggio militare di Roma a una nuova spedizione di Liutprando contro Trasamondo II (inizi del 742). Il legame fra il Ducato romano e Trasamondo aveva garantito l’equilibrio regionale durante vari pontificati, ma ora il duca di Spoleto si trovò privo di ogni possibile aiuto. Fu pertanto costretto ad assoggettarsi a Liutprando e fu ridotto allo stato clericale (un contrappasso, rispetto alla sorte che aveva imposto al padre impadronendosi del potere).
Analogamente a quanto fatto a Benevento (dove Godescalco fu sostituito da Gisulfo II, nipote ex filio) il re sostituì Trasamondo II con il proprio nipote Agiprando, duca di Chiusi, che aveva proceduto alla restituzione dei castelli.
Un atto (trascritto nel regesto di Farfa) datato in nome di Trasamondo II (aprile 744) ha indotto taluni a ipotizzare un’ulteriore riconquista del Ducato da parte sua, ma tutto lascia credere che si tratti di un errore di Gregorio di Catino che, privo al momento della compilazione del regesto di qualsiasi notizia su Agiprando, avrebbe modificato in modo passivo e meccanico il nome del duca in carica. L’ipotesi di un terzo effimero periodo di governo da parte di Trasamondo non può tuttavia essere esclusa del tutto, tenuto conto dei frequenti cambiamenti di equilibri e di alleanze non solo fra i duchi e i poteri contigui, ma anche all’interno del Ducato.
Del periodo di governo di Trasamondo II si conservano due diplomi per Farfa. Il primo (maggio 724) era la donazione pro anima della chiesa di S. Getulio (località scomparsa presso Ponte Sfondato, comune di Montopoli Sabina, sulla riva sinistra del Farfa), dove si conservava il corpo del santo, sino ad allora non valorizzato dalla chiesa vescovile di Rieti. Il secondo (gennaio 740) conferiva a Farfa diritti e beni fiscali (pascoli, ulivi) ubicati soprattutto nel fundus Germanicianum (poi curtis Germaniciana, ben documentata nell’archivio monastico). Si ha notizia di un terzo diploma perduto, con il quale Trasamondo II assegnava alla madre dell’abate farfense Fulcoaldo (740-759 circa) il monastero di S. Pietro in Classicella, vicino a Rieti, perché vi conducesse vita monastica.
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