TRASFORMAZIONE
. Fisica. - Si indica con questo termine ogni fenomeno che porta a una variazione nel sistema fisico che si considera; così, p. es.: una certa massa di ghiaccio fonde e si trasforma in acqua; un atomo di radio emette una particella α e si trasforma in emanazione (v. radioattività).
A rigor di termini, qualunque fenomeno fisico, in quanto per esso qualche cosa cambia effettivamente nel corpo, sede di quel fenomeno, o nelle relazioni reciproche del corpo con l'ambiente, è una trasformazione. Anche il semplice moto si può riguardare come una trasformazione. Ma se isoliamo idealmente un sistema fisico particolare (cioè, essenzialmente, un gruppo di atomi e molecole, in numero finito, di determinate specie chimiche e che - liberi o in particolari stati di aggregazione - occupano una regione finita di spazio) possiamo limitarci a considerare quei parametri così detti termodinamici (come il volume V, la temperatura assoluta T, la pressione p, ecc.) che definiscono le proprietà di quel complesso di atomi e molecole, o, in altre parole, che definiscono il comportamento termodinamico del sistema. Potremo allora, in un senso meno generale, indicare come trasformazioni unicamente quei fenomeni che portano a una variazione dei parametri T, V, p, ecc., del sistema. Si giunge così a definire una precisa categoria di trasformazioni, a cui viene dato il nome di trasformazioni termodinamiche.
1. Trasformazioni energetiche in generale. - Un sistema, abbandonato a sé stesso e non in equilibrio, passa per una serie continua di stati, finché raggiunge asintoticamente uno stato di equilibrio (termodinamico). Ogni ulteriore trasformazione richiede un'azione dall'esterno. (Potrebbe accadere che il sistema, lasciato a sé, non raggiungesse mai un equilibrio, ma questo allora vorrebbe dire che il sistema mantiene relazione con l'ambiente e con questo scambia energia). Una trasformazione, quindi, consiste sempre in processi in cui l'energia passa da un corpo a un altro (o da un punto a un altro dello stesso corpo) e da una forma a un'altra; queste forme potendo essere: di energia potenziale (elettrica, gravitazionale, ecc.) e di energia di movimento. Sotto quest'ultimo tipo va compresa anche l'energia dell'agitazione termica delle molecole, o energia cinetica dei loro moti disordinati: essa forma una parte del contenuto energetico del corpo, cioè del suo calore.
Questo trasmutarsi dell'energia in varie forme è un fatto generale, e si verifica anche quando non si hanno scambî con l'esterno: come accade, per esempio, nei processi di espansione del tipo Joule e Joule-Thomson. Il lavoro, che fanno le molecole del gas contro le forze (di attrazione intermolecolare) di Van der Waals, viene eseguito a spese della loro energia cinetica e quindi la temperatura varia; la grandezza e il segno della variazione dipendendo dal comportamento reale del gas.
2. Per poter verificare, dunque, che, in una trasformazione, tutti gli scambî sono compensati - come vuole il principio della conservazione dell'energia - oltre a considerare le variazioni d'energia, cosiddette "visibili": variazioni di energia meccanica (calcolabili, quando siano note le masse e, a un certo istante di tempo, le velocità e le energie potenziali dei singoli corpi); variazioni di energia elettrica e magnetica (che si producono quando si sposta un corpo, elettricamente carico, in presenza di altre cariche e, anche, di correnti; quando si chiude un circuito elettrico, ecc.); bisogna mettere in conto le variazioni dell'"energia interna" (o "invisibile").
3. Le variazioni di questo secondo tipo si manifestano come calore scambiato con l'esterno, o lavoro eseguito, a spese di un abbassamento di temperatura del corpo; come calore di reazione in una combinazione chimica, ecc. In altre parole un corpo, p. es., un cristallo, se pure in quiete, ha un contenuto proprio di energia di cui però si possono indicare le varie origini fisiche: energia potenziale di coesione, dovuta alle forze interatomiche; energie cinetiche di oscillazione degli atomi intorno alle loro posizioni di equilibrio nel reticolo cristallino; energia degli elettroni nell'atomo, ecc. Così, se in una serie di trasformazioni il corpo ha scambiato il calore ΔQ e ha eseguito il lavoro esterno ΔL, la sua energia interna U è aumentata di: ΔU = J • ΔQ − ΔL dove J (= 4,186 • 107erg/cal) è l'equivalente meccanico della caloria (I principio della termodinamica). Inoltre U è una "funzione di stato" del corpo, cioè U assume - com'è evidente per quanto si è detto - uno e un solo valore, per ogni particolare stato del corpo. Sarebbe quindi impossibile, attraverso un ciclo di trasformazioni, fare in modo che il corpo ritorni allo stato iniziale senza che U riprenda lo stesso valore. (Difatti, p. es., è una legge fondamentale della termochimica che, se un gruppo di corpi subisce una serie di diversi processi chimici che lo riportano alla composizione chimica iniziale senza che avvengano scambî con l'esterno, la somma delle tonalità termiche delle singole reazioni è nulla).
4. La ragione sperimentale per cui si può dire che l'energia "si conserva" in questo transito da una forma ad un'altra, si può far consistere nella costanza del valore di J, qualunque sia la natura del processo, scelto per determinarlo. Così si suole distinguere convenzionalmente - secondo la natura della forza che ha prodotto il lavoro - un "equivalente meccanico" e un "equivalente elettrico" della caloria; ma i loro rispettivi valori sperimentali coincidono entro i limiti degli errori sperimentali, naturalmente diversi per queste due serie diverse di misure.
Delle molte determinazioni dell'equivalente meccanico della caloria - che consistono essenzialmente nel misurare l'energia meccanica che si trasforma in calore per attrito, o nella compressione di un gas (v. termodinamica) - la più precisa è quella di Rowland (1880), che dà: J = 4, 187 • 107 erg/cal. Una determinazione molto accurata dell'equivalente elettrico della caloria è invece quella eseguita (nel 1921) nella Physikalisch-technische Reichsanstalt (J risultò 4,186 • 107 erg/cal). Venne misurato l'aumento di temperatura di una massa di acqua (50 lit.) che assorbiva il calore, svolto, per effetto Joule, in una bobina percorsa da una corrente. Si trovò di regola che, nelle condizioni sperimentali realizzate, occorreiano 210 kilojoule per elevare di 1° la temperatura dell'acqua. Anche l'energia magnetica si può trasformare in calore ed è quello che avviene in un trasformatore per corrente alternata, cioè quando si magnetizza e si smagnetizza una massa di ferro, ponendola in un campo magnetico esterno. Il calore W che si sviluppa durante un ciclo d' isteresi:
si può calcolare praticamente dalla formula empirica di Steinmetz:
dove η è una costante e Bmass il valore massimo dell'induzione magnetica per qoel ciclo.
Un'altra determinazione importante di J è stata quella (la prima volta eseguita da Curie e Laborde) che consisteva nel misurare il calore, che si svolge in una capsula di piombo, contenente nel suo interno una quantità determinata di radio. L'involucro di piombo assorbiva completamente i raggi α e i raggi β e, in parte, i raggi γ. Conoscendo il numero di disintegrazioni per 1″ e l'energia liberata in ogni disintegrazione, si può calcolare l'energia complessivamente trasformatasi in calore nel piombo e quindi J: si trovò che 1 gr. di Ra in equilibrio con i suoi sottoprodotti svolge in un'ora 132,86 calorie in buon accordo con il valore teorico di 136 calorie. Un altro metodo, infine, consiste nel determinare, per via spettroscopica, il lavoro di dissociazione di una molecola, misurabile direttamente in calorie come calore della corrispondente reazione.
5. Da quanto precede è chiaro che la suddivisione dell'energia in varie parti risulta in ultima analisi una distinzione di puro comodo. Nulla vieta, in linea di principio, di considerare un sistema fisico nella sua intima struttura e di risolvere una data trasformazione in un numero enorme di atti elementari, a cui gli atomi prendano parte individualmente. Sarebbero allora unicamente le leggi della meccanica, o - diciamo meglio - della meccanica atomica, a determinare l'andamento di quella trasformazione. Nel fatto, tuttavia, conviene distinguere tra i "moti ordinati" (d'insieme) corrispondenti a stati organizzati - p. es., un moto di convezione, comune a tutte le molecole di un gas - e moti "non ordinati", corrispondenti a stati disorganizzati. Se è possibile seguire i fenomeni del primo tipo nel loro svolgimento e calcolare la "legge del moto", per i fenomeni del secondo tipo è necessario limitarsi a considerazioni di probabilità, applicando i metodi della meccanica statistica. Comunque, seppure il carattere dell'impostazione del problema è, in ogni caso, meccanico - e così la conoscenza dello spettro d'energia delle molecole permette il calcolo dell'energia interna del gas - non è meno vero, per questo, che c'è una ragione fisica profonda per mantenere distinti i due tipi, ora ricordati, di fenomeni. Difatti quell'elemento d'irreversibilità, che compare in ogni processo fisico elementare, come una conseguenza inevitabile delle leggi quantistiche, risulta, per così dire, attenuato straordinariamente nei "moti ordinati" e, in genere, in tutti i processi meccanici macroscopici; invece esso si presenta come un fatto essenziale e caratteristico negli "stati disorganizzati" della materia (cioè nei "moti disorganizzati"). Nella pratica perciò l'energia meccanica e quella elettrica si presentano come energie di qualità superiore rispetto all'energia calorifica. E questa, a sua volta, si presenta di qualità tanto inferiore quanto minore è la differenza delle temperature - a parità di temperatura superiore - tra cui funziona la macchina che trasforma il calore in lavoro (v. carnot; termodinamica). Le trasformazioni tra le forme superiori d'energia - in cui la produzione di calore, per quanto inevitabile, è un fenomeno accessorio - sono invertibili e i rendimenti che si hanno possono rendersi molto vicini all'unità. Invece le trasformazioni di energia termica in energia meccanica avvengono, in generale, con rendimenti molto bassi. Se, dunque, si vogliono studiare le trasformazioni dei corpi nelle loro reali condizioni, e non ci si propone di considerare - isolandolo dagli altri con opportuni accorgimenti sperimentali - un particolare processo elementare, conviene applicare i metodi e i concetti della termodinamica classica. Questo faremo in seguito su alcuni casi concreti.
6. Trasformazioni termodinamime. - Siano x1, x2, ..., xm le variabili fisiche, in numero finito, che interessi determinare per un certo stato Σ del sistema G; e si conoscano (n − m) relazioni - tra queste n variabili - che permettano di calcolare i valori delle ultime (n − m) in funzione delle prime m. Ammesso, poi, che ogni gruppo di valori (x1, ..., xm,) fissi - in senso termodinamico - senza ambiguità uno stato di G, si potrà far corrispondere ad ogni punto P dello spazio, a m dimensioni, delle x1, ..., xm uno stato del sistema e, quindi, alla più generale trasformazione, che porti G da uno stato Σ′ ad un altro Σ″, la curva Γ, che il punto rappresentativo del sistema traccia - nello spazio delle x1, ..., xm, - andando da P′. (corrispondente a Σ′) a P″ (corrispondente a Σ″). Sarà, allora, Γ il diagramma della trasformazione nello schema delle x1, ..., xm.
Naturalmente, quando sia nota l'espressione analitica della Γ, è possibile calcolare le variazioni complessive delle altre grandezze xm + 1, ..., xn per effetto dell'avvenuta trasformazione. (In molti casi pratici bisognerà limitarsi a determinare sperimentalmente per punti la Γ e applicare, poi, metodi di calcolo grafici). In ogni modo si può dire che la Γ contiene in sé la legge della trasformazione. Non è detto però che tutte le trasformazioni reali siano rappresentabili con una curva Γ nello spazio delle variabili indipendenti scelte. Questo perché se gli stati, iniziale e finale, sono termodinamicamente definiti e si possono dare i valori che le variabili x1, ..., xm assumono in corrispondenza di essi, questo può in generale non verificarsi per gli stati intermedî tra Σ′ e Σ″. Nelle trasformazioni reali accade anzi che non ha senso, spesso, parlare di una "pressione" e di una "temperatura" da attribuirsi, istante per istante, a un gas, mentre dura la trasformazione, perché evidentemente possono formarsi delle differenze di pressione o di temperatura tra una parte e un'altra dello stesso gas. (Si pensi, p. es., a una detonazione). È chiaro tuttavia che quanto più lenta sarà la trasformazione, tanto più sarà lecito considerarla come una successione di "quasi-equilibrî" e tanto più si sarà vicini al caso ideale della rappresentabilità. In altre parole, le trasformazioni rappresentabili sono, in genere, le reversibili. Ma quel che preme in pratica non è tanto rappresentare la trasformazione quanto calcolare la variazione che per essa subiscono le diverse funzioni di stato come l'energia interna U, l'entropia S, l'energia libera F (= U − TS), l'entalpia W (− U + p V), ecc. Ora appunto perché gli stati Σ′ e Σ″, iniziale e finale, sono certamente rappresentabili e le grandezze S, F, W sono funzioni di stato basterà calcolare le loro complessive variazioni attraverso un'altra trasformazione (Σ′ → Σ″), che sia però rappresentabile, cioè reversibile. Di qui s'intende l'importanza, non solamente teorica, delle trasformazioni reversibili. Nei tipi più comuni di trasformazioni (rappresentabili) la curva Γ è definita da un sistema di (m − 1) equazioni:
dove C1, C2, ..., Cm - 1 sono costanti e le ϕ sono - per lo meno alcune - parametri termodinamici noti come T, V, p, S, W, ecc. Si parla quindi usualmente di trasformazioni isobariche (p = cost), isotermiche (T = cost), isometriche (V = cost), isoentropiche (S = cost), isoentalpiche (W = cost), isodinamiche (U = cost), ecc.
7. Trasformazioni dei fluidi. Gas ideali. - Nei gas ideali, secondo la loro stessa definizione, le variabili p, V, T soddisfano l'equazione di stato:
dove T è la temperatura assoluta, R (per 1 grammimolecola) è 8,31 • 107 erg/gradi. La più generale trasformazione reversibile sarà rappresentata nello spazio delle p, V, T da una curva qualunque appartenente alla superficie di equazione (1). Lo studio teorico di questi gas ha un interesse fisico, perché quanto più grande è V - a parità di numero di grammimolecole - tanto più le proprietà di un gas reale si avvicinano a quelle di un gas ideale. Questo è anzi un criterio per dedurre dai valori sperimentali dei calori specifici a volume costante C. di un gas reale, il valore teorico del calore specifico C0, per il gas ideale
L'energia interna di un gas ideale si scrive:
dove Cv è una funzione soltanto della temperatura e delle costanti fisiche, proprie del tipo di molecole o di atomi che costituiscono quel gas. (Se è un miscuglio di varî gas Cv; è la media ponderale dei calori specifici dei singoli gas). Cv a temperatura ordinaria è per gas monoatomici eguale a ~ 3/2 R; per molecole poliatomiche eguale a ~ 3 R; per molecole biatomiche, o poliatomiche con struttura rettilinea, eguale ~ 5/2 R. Nel caso di gas monoatomici Cv è costante sino a bassissima temperatura; per gas di molecole decresce al diminuire di T sino a raggiungere (a basse temperature) lo stesso valore 3/2 R dei gas monoatomici. Comunque, per intervalli non molto estesi di temperatura, si possono per Cv. adoperare utilmente formule d'interpolazione lineari o quadratiche.
Ciò premesso, è opportuno dalla (1) e dalla (2), dedurre per
le tre espressioni equivalenti:
Da queste e dalle (1), (2) si possono calcolare facilmente, per una trasformazione finita tra due stati Σ′ e Σ″, le variazioni totali di entropia: [S] = S (Σ″) − S (Σ′); di energia interna: [U] = U (Σ″) − U (Σ′), il calore scambiato in totale con l'esterno [Q], e il lavoro eseguito: [L] = ʃpdv.
Trasformazioni isometriche (dV = 0). - (Si hanno, p. es., ponendo il gas, racchiuso in un volume costante, a contatto con una sorgente di calore a una temperatura T″ diversa dalla T′ del gas). Quando il gas avrà raggiunto lo stato finale, la sua temperatura sarà T″ e la sua pressione p″ = p′ T″/T′.. Il lavoro eseguito essendo nullo, tutto il calore scambiato con l'esterno sarà eguale alla variazione di energia interna: [U] = Cv (T″ − T′), dove per semplicità si è supposto Cv costante ed eguale a un valore medio (per quell'intervallo di temperatura) Åv. Dalla (3′) si ha ancora: [S] = Åv log (T″/T′).
Trasformazioni isobariche (dp = 0). - (S'immagini, p. es., un gas in un cilindro e compresso dal pistone, su cui siano deposti dei pesi: p rimane costante; se, con un mezzo qualunque, s'innalza la temperatura del gas dal valore T′ al valore T″, il gas si espande isobaricamente). Il calore scambiato parte va in lavoro esterno, parte va in aumento di energia interna. Si ha difatti: [L] = p (V″ − V′); [Q] = (Åv + R) (T″ − T′); [U] = Åv (T″ − T′) e dalla (3″): [S] = (Åv +R) log T″/T″.
Trasformazioni isotermiche. - (Esempî si hanno nelle compressioni e nelle espansioni di un gas, mantenuto in equilibrio termico con una sorgente a temperatura costante). Non potendo variare l'energia interna, il calore scambiato con la sorgente compensa esattamente il lavoro esterno eseguito: [U] = 0; [L] = [Q] = RT log V″/V′. = RT log p′/p″. Inoltre dalla (3′) e dalla (3″) si ha: [S] = R log V″/V′ = R log p′/p″.
Trasformazioni adiabatiche. - Sono definite dalla condizione dQ = 0: non si hanno cioè scambî con l'esterno. (Questo si può ottenere praticamente riducendo di molto il tempo della trasformazione).
Essendo: dS = 0, sono anche isentropiche. Dalla (3″), posta eguale a 0, si ha che durante la trasformazione è sempre:
Di qui si deduce ancora:
Inoltre è:
Trasformazioni politropiche. - Molte trasformazioni, non completamente adiabatiche, si lasciano rappresentare, con sufficiente approssimazione, da equazioni del tipo: pVn = cost con n 〈 k) numero conveniente. Esse prendono il nome generico di trasformazioni politropiche. Dalla (1) si ha:
e dalla (3‴):
dove con Cn si indica il "calore specifico relativo alla politropica" in questione, cioè:
Difatti è:
Si ha infine:
8. Gas reali (al disopra del punto critico). - Il calcolo delle trasformazioni dei gas reali procede sulla stessa linea del calcolo delle corrispondenti trasformazioni dei gas ideali. Anche in questo caso, se si conoscesse l'espressione analitica delle forze agenti tra le molecole, si potrebbe calcolare, con i metodi della meccanica statistica, l'espressione generale dell'equazione di stato. (Naturalmente essa varierebbe secondo la natura del gas, cioè secondo il tipo d'interazione molecolare). Ma essendo questo un calcolo eseguibile solo per alcuni gas - per cui si hanno i dati necessarî - e, anche in questi casi, solo nell'ambito di validità di alcune necessarie ipotesi semplificatrici, l'unica cosa realmente possibile in pratica è quella di determinare, caso per caso, un'equazione di stato di natura più o meno empirica. In tal modo ci si riduce a scrivere al posto della (1) una relazione tra p, V, T la cui forma generale è:
in cui la f(p, T) contiene un certo numero di costanti, determinate in modo che, nell'intervallo di temperatura considerato, sia reso, con sufficiente approssimazione, il comportamento reale del gas. Nel caso del gas CO2, p. es., è possibile dare alla (1′) la forma di Van der Waals (v. gas) ed è:
dove (misurando p in atmosfere per cmq.) sono: a = 3,609 • 106; b = 42,75. Nel caso di molti aeriformi si può porre (formule di Zeuner): f = Apn. Dalla (1′), per mezzo delle relazioni fondamentali della termodinamica, si possono calcolare le varie funzioni di stato. Così, p. es., in base alle relazioni differenziali esistenti tra il potenziale termodinamico (a pressione costante) Φ = U − T • S + pV ed S, V (v. termodinamica: eq. 40) si ha:
da cui, integrando rispetto a p, si ottiene la Φ, a meno di una funzione ϕ (T) della T. Può togliersi anche questa indeterminazione, ricordando che il calore specifico a pressione costante - che è dato dalla
tende per p → 0 al valore Cp0 = Cv0 + R del calore specifico Cv0 del gas ideale corrispondente. In tal modo si ottengono per dS e dL le espressioni:
dove:
Inoltre, utilizzando la relazione tra dT, dp, dV che si ottiene differenziando la (1) si possono ricavare dalla (4) le espressioni, analoghe alle (3′) e (3″):
in cui Cv risulta dato dalla:
Le equazioni scritte permettono di studiare analiticamente, come abbiamo fatto per i gas ideali, i varî tipi di trasformazione dei gas reali. Se, p. es., comprimiamo isotermicamente un gas, per cui la (1′) assuma la forma di Van der Waals, otteniamo:
da cui si potrebbe avere immediatamente: [Q] = T [S] e [U] = [Q] − [L]. Quest'ultima grandezza, che per i gas ideali è sempre nulla (U dipende solo da T′) in questo caso è ≠ 0. Sostituendo nelle espressioni ottenute ad a e b i loro valori, si può vedere, p. es., che comprimendo isotermicamente una grammomolecola di CO2 da 1 a 5 atm., o da 10 a 50 atm., occorre eseguire un lavoro maggiore di quello che sarebbe necessario (~ 959 cal.) se il CO2 si comportasse come un gas ideale. Le deviazioni sono tanto maggiori quanto maggiore è la pressione iniziale (per p′ = 1 atm. del 0,01%; per p″ = 10 atm. dell'i %). Inoltre la diminuzione di entropia (sempre per una compressione da 1 a 5) è, per i gas ideali, sempre 3,20 cal./grad.; per il CO2, è rispettivamente 3,25 oppure 3,62, secondo che la pressione iniziale sia di 10 o di 50 atm.
Questo lavoro di determinare per ogni terna di valori (p, V, T) di uno stato effettivo del gas, le relative funzioni S, U, W si può fare una volta per tutte. In tal modo, determinati sperimentalmente un certo numero di punti della curva Γ, rappresentatrice di una data trasformazione, si possono ricavare da opportune tavole e diagrammi, già preparati (per lo meno per i gas più adoperati nella tecnica) i valori di S, U, W pertinenti a questi diversi punti di Γ; e quindi calcolare immediatamente le grandezze fisiche che si richiedono. Dobbiamo qui fare un cenno particolare a una classe speciale di trasformazioni, che hanno una grande importanza teorica, per lo studio del comportamento dei gas, e importanza pratica, perché applicate nei processi industriali di liquefazione dei gas. Vogliamo dire le trasformazioni adiabatiche-isentalpiche (cioè δQ = o; δW = 0). L'esperienza di Joule-Thomson è un esempio tipico di queste trasformazioni. Essa ha un andamento nettamente irreversibile: un flusso continuo di gas, a pressione p1, avanza in un tubo di sezione costante (regione 1) finché all'ultimo passa attraverso un filtro o stoppaccio - formato da fili di seta e bambagia compressi - e penetra in un tubo, di sezione maggiore (regione 2) e occupato da altro gas a pressione (p2) più bassa (p2 〈 p1).
Lo stoppaccio fa sì che si possa formare una condizione di regime, per cui le molecole del gas dall'essere spinte in avanti dalla pressione p1, passano improvvisamente in uno stato in cui devono eseguire un lavoro (contro p2) per poter avanzare ulteriormente. Complessivamente, se V1 e V2 sono i volumi per grammimolecola del gas in 1 e in 2, e U1 e U2 sono le rispettive energie interne, poiché tutto quanto avviene senza svolgimento di calore si ha (essendo dL = p1V1 − p2V2):
Quindi U + pV rimane costante durante la trasformazione, che perciò è isentalpica. L'esperienza ha mostrato che, in questo tipo di espansione, alcuni gas si riscaldano (H2 He), altri si raffreddano. Ma la differenza ΔT, fra la temperatura T1 del gas, prima che abbia attraversato lo stoppaccio, e quella T2, dopo, è una funzione che dipende da T, p, e da (p1 − p2). È possibile rendersi conto di questi risultati disegnando nel piano (T, p) le curve isentalpiche (W = cost): la temperatura T finale è quella del punto - rappresentativo dello stato finale - che corrisponde alla pressione p2 (nota) e che giace sull'isentalpica, passante per il punto (p1, I1) rappresentativo dello stato iniziale. Si può quindi leggere subito sull'asse delle T la differenza ΔT, che si cerca. Ora l'andamento generale di queste curve mostra che ΔT può essere positivo, negativo e anche nullo, perché le isentalpiche sono delle curve leggermente concave rispetto all'asse delle p. Questo fatto si può vedere anche analiticamente perché - nel caso che per la (1′) sia possibile la forma di Van der Waals - si ha, per una trasformazione isentalpica infinitesima, dalla (4) (dovendo essere dW = TdS + Vdp = 0):
cioè ΔT è negativo o positivo a secondo che la T (dello stato iniziale) sia inferiore o superiore al cosiddetto punto di inversione (T ≃ 2 a/Rb); che in generale risulta (tranne per H2 e He) molto al disopra della temperatura ordinaria.
Trasformazioni dei solidi. - Dalla funzione somma degli stati si possono calcolare teoricamente (in casi molto generali) le varie funzioni F, U, S e anche p, C2, ecc. Si può avere quindi una relazione che corrisponda a un'equazione di stato (v. aggregazione). Si può procedere poi per il calcolo della trasformazione come per i gas.
9. Trasformazioni in sistemi eterogenei. Trasformazioni allotropiche. - In un sistema eterogeneo, costituito cioè da sostanze - chimicamente omogenee o eterogenee - in differenti stati di aggregazione o fasi, le relazioni tra le diverse variabili fisiche non si possono mettere, per lo meno nel caso più generale, sotto forma di equazioni fra termini finiti, come, p. es., la (1) e la (1′). Queste relazioni, difatti, in sé stesse non contengono nient'altro che l'espressione delle condizioni di equilibrio (per ciascun componente) tra le varie fasi; e assumono quindi un aspetto diverso in dipendenza dai vincoli imposti al sistema. Così se le trasformazioni che spontaneamente avvengono nel sistema - qualora questo, lasciato a sé stesso non sia in equilibrio - si possono considerare come adiabatiche, lo stato finale corrisponde al valore massimo dell'entropia. Se invece tali trasformazioni avvengono isotermicamente e a pressione (o a volume) costante, lo stato di equilibrio si ha in corrispondenza del minimo del potenziale termodinamico a pressione costante Φ (o di quello a volume costante, l'energia libera, F). In questi potenziali, ove sul sistema agiscano delle forze, dovute, p. es., a un campo elettrico esterno, vanno comprese come ulteriori termini additivi le funzioni potenziali, corrispondenti a queste forze. Ora se f(i) e f(k) sono i potenziali termodinamici di due fasi generiche i e k ed
sono i numeri di grammimolecole della sostanza r, presenti nelle stesse fasi i e k, le condizioni di equilibrio si esprimono scrivendo:
Nel caso particolare infine che il sistema sia costituito da corpi chimicamente omogenei, la condizione di equilibrio tra due fasi i e k è:
Le relazioni di Gibbs-Helmholtz e il teorema di Nernst (v. termodinamica) permettono di determinare la quantità Aik - la cosiddetta affinità (v.) - in funzione di grandezze direttamente misurabili, come la differenza U0 di energia interna tra le due fasi; e quindi permettono di renderci conto di quello che accade nelle trasformazioni allotropiche: nelle trasformazioni, cioè, tra due modificazioni allotropiche di una stessa sostanza. Così dal diagramma riportato in fig. 1, si vede come procedano le trasformazioni (a pressione ordinaria) tra le due modificazioni dello Zn: zinco bianco e zinco grigio. Esse sono stabili rispettivamente al disopra e al disotto di 19° (T = 292°), che è il punto di trasformazione (per temperature decrescenti) della prima modificazione allotropica nella seconda. Il diagramma difatti mostra che per basse temperature il potenziale Φ1 per la modificazione zinco bianco, ha valori più grandi di quelli del potenziale Φ2 della modificazione zinco grigio, perché l'affinità A (= Φ1 − Φ2) è dapprima positiva, si annulla in corrispondenza del punto di trasformazione e poi diventa negativa.
10. Trasformazioni dei miscugli liquido-vapore. - Più interessanti per le applicazioni che trovano nello studio delle macchine termiche sono le trasformazioni dei miscugli liquido-vapore. Si assumono come variabili indipendenti la temperatura T e il titolo x del miscuglio (il rapporto, cioè, tra la massa del vapore e quella del liquido). La pressione p del vapore (saturo) risulta invece, com'è noto, una funzione univoca della temperatura. Questa funzione si può determinare, p. es., scrivendo come si modifica, per una variazione infinitesima di p, la relazione (6) che deve sussistere tra le due fasi liquido-vapore.
Si ottiene così l'equazione di Clausius-Clapeyron (v. aggregazione) che, integrata, dà a meno di una costante additiva la p come una funzione di T. (Per il vapor d'acqua, p. es., serve bene tra 0° e + 200° la relazione [di Bertrand]:
dove p è misurata in kg./cmq. e T è la temperatura assoluta).
Quanto al volume specifico v (per unità di massa) del miscuglio, esso si calcola dalla: v = sx + (1 − x)σ dove s e σ sono i rispettivi volumi specifici del vapore e del liquido. Di essi, σ, per intervalli non molto grandi di temperatura, si può considerare crescente linearmente con T, mentre s, approssimativamente, è proporzionale inversamente a p - e quindi s è funzione rapidamente decrescente con T. (Per l'acqua, p. es., tra +50° e 200° può proporsi s = 1,724/p0,938). Se si considerano poi il calore di evaporazione r (che diminuisce con T e si annulla nel punto critico, dopo il quale la fase liquida scompare) e i valori specifici a titolo costante γ1 e γ2 del liquido e del vapore, si deve tener conto che tra queste quantità sussiste la relazione:
Da tutte queste equazioni si ricava che per un aumento dx del titolo e uno dT della temperatura, si deve somministrare al miscuglio il calore:
e corrispondentemente si ha un lavoro:
Nel caso di trasformazioni isotermiche, r, s e così σ non variano, e quindi dalle (7) e (8) si ottiene, integrando, che, per una variazione del titolo dal valore x1 ad un altro x2, si hanno per il lavoro complessivo [L] per [Q] e per [S]:
Il calcolo per gli altri tipi di trasformazione non sarebbe più così immediato perché bisognerebbe tenere esatto conto della dipendenza da T delle diverse grandezze r, s, ecc. Tuttavia, supponendo γ1 costante e integrando la (7) eguagliata a zero, si può dedurre facilmente la relazione importante per le trasformazioni adiabatiche o isentropiche (dQ = 0; dS = 0):
che permette di calcolare dai valori T1, x1 dello stato iniziale il titolo x2 corrispondente alla temperatura T2 dello stato finale.
Nelle applicazioni tecniche, anche per queste trasformazioni sono molto usati i metodi grafici. Per i vapori più usati (NH3, H2O, ecc.), si hanno dei diagrammi come quello della fig. 2. Sulle ascisse sono segnati i valori di S, sulle ordinate i valori di T. Le curve x = 0 e x = 1, che si raccordano nel punto critico P, limitano nel piano (T, S) la regione del miscuglio liquido-vapore. A tutti i punti di uno dei segmenti A1 C1, A2 C2 paralleli all'asse delle ascisse, corrisponde l'unico valore della pressione segnato sull'asse perpendicolare a destra. Dopo gli estremi C1, C2, ..., le isobare-isoterme A1 C1, A2 C2, ..., continuano nelle curve C1 D1, C2 D2, ..., che sono le isobare della regione del vapore surriscaldato. In questo diagramma sono segnate anche altre curve (tratteggiate) per altri valori, costanti, del titolo x.
Così su questo diagramma si possono leggere immediatamente per una determinata trasformazione, isotermica o isentropica, i valori della coppia (T, x) corrispondente allo stato finale.
Bibl.: O. Bordoni, Fondamenti di fisica tecnica, Bologna 1936; Müller Pouillet, Lehrbuch der Physik, III; Handbuch der Physik, IX, X, XI.