Trasfusione
Il termine trasfusione (dal latino transfusio, derivato del verbo transfundere, "trasfondere") in medicina sta a indicare il provvedimento terapeutico consistente nell'introdurre nel sistema circolatorio di un individuo (ricevitore, accettore, ricevente) una certa quantità di sangue intero oppure di suoi componenti o derivati, prelevata da un altro individuo (donatore), il quale appartiene a un gruppo sanguigno compatibile.
I progressi tecnologici realizzati negli ultimi anni del 20° secolo in campo trasfusionale hanno consentito di separare il sangue nei suoi componenti cellulari (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine) e nei derivati costituiti dalle frazioni plasmatiche (albumina, fattori della coagulazione del sangue, immunoglobuline, fibrinogeno), consentendone un più corretto impiego. È, infatti, sempre più utilizzata una terapia trasfusionale mirata, che cioè somministra solo quei componenti del sangue di cui il paziente è carente, riservando a casi del tutto limitati la trasfusione di sangue cosiddetto intero. L'intervento terapeutico mirato non soltanto contribuisce a risolvere il grave problema della carenza di sangue, ma limita sensibilmente sia i rischi legati a incompatibilità sia quelli connessi con la trasmissione di malattie in cui si può incorrere con la trasfusione. Infatti, la migliore conoscenza di gravi patologie virali trasmissibili per questa via, come l'epatite C e l'AIDS, diffusasi negli ultimi decenni, hanno determinato una riduzione del ricorso alla trasfusione di sangue ed emocomponenti, favorendo da una parte i programmi per un più corretto uso del sangue e dall'altra le tecniche alternative alla trasfusione di sangue ricavato da donatore. Queste tecniche sono rappresentate dalla trasfusione autologa, che consiste nel predeposito del sangue del paziente prima dell'intervento chirurgico programmato, e dall'autotrasfusione intraoperatoria, cioè il recupero del sangue perso dal paziente durante l'intervento operatorio e sua immediata trasfusione. Medici e pazienti devono conoscere le complicanze legate alla trasfusione di sangue (v. oltre), che deve essere perciò effettuata laddove esistano precise indicazioni terapeutiche, dopo aver ottenuto il consenso del paziente che sarà stato opportunamente informato. Ravvisata la necessità del ricorso alla terapia di supporto trasfusionale, si dovrà inoltre valutare attentamente il tipo di emocomponente da somministrare, la frequenza e l'entità dell'apporto sostitutivo, facendo costante riferimento alla malattia di base e alle condizioni generali del paziente.
I primi esperimenti di infusione di sangue, da animale ad animale e successivamente da animale a uomo, risalgono al 17° secolo, ma il loro insuccesso determinò l'abbandono di questa pratica fino alla prima metà del 19° secolo, quando J. Blundell, medico dell'Università di Edimburgo, applicò la trasfusione di sangue mediante siringa in giovani pazienti con grave anemia da emorragia post partum. I frequenti insuccessi registrati venivano allora attribuiti alla coagulazione del sangue trasfuso all'interno della circolazione del ricevente, mentre molto probabilmente l'incompatibilità tra sangue del donatore e del ricevente era la causa delle reazioni trasfusionali immediate, fatalmente mortali. Successivamente, le scoperte in campo immunoematologico hanno permesso di individuare, nei tessuti e sulla superficie di tutte le cellule umane, marcatori (antigeni) ereditati geneticamente, capaci di garantire il successo di trasfusioni di sangue e dei trapianti (v.), se è rispettata la compatibilità tra patrimonio antigenico del ricevente e quello del donatore di sangue o di organo. È questa la ragione per la quale pietra miliare della moderna trasfusione deve essere considerata la scoperta dei gruppi sanguigni del sistema AB0 dei globuli rossi (con l'identificazione dei gruppi sanguigni A, B, AB e 0 della specie umana), nonché del fattore Rh, avvenuta nella prima metà del 20° secolo da parte di K. Landsteiner (v. sangue). Inizialmente la trasfusione era diretta da donatore a ricevente; successivamente, con la raccolta del sangue del donatore in flaconi di vetro, fu resa possibile l'utilizzazione di sangue prelevato anche dopo un breve periodo di conservazione. Ma soltanto con l'avvento del materiale plastico (sacche multiple in plastica), particolarmente adatto per la raccolta, la manipolazione e la conservazione del sangue intero e delle componenti ematiche, si è potuta realizzare con estrema facilità la separazione del sangue nelle sue principali componenti, attuando al meglio una trasfusione mirata. Un ulteriore progresso in campo trasfusionale si è ottenuto con l'impiego dei separatori cellulari, apparecchiature mediante le quali è possibile separare e concentrare in notevoli quantità le cellule circolanti nel sangue del donatore, programmando il tipo di raccolta. L'intervento trasfusionale in caso di anemia (v.) deve essere stabilito con estrema accuratezza, badando alla reale indicazione della somministrazione di sangue, in modo da ricavarne tutti i possibili vantaggi in rapporto ai possibili rischi. Nei casi di anemizzazione acuta, generalmente conseguente a emorragie (v.) di interesse medico (soprattutto emorragie dell'apparato gastroenterico) o chirurgico (traumi importanti), con sintomi di collasso cardiocircolatorio più o meno grave, può trovare indicazione il ricorso alla trasfusione di sangue intero o anche della combinazione di globuli rossi concentrati e soluzioni colloidi o cristalloidi, capaci di mantenere o ripristinare la massa di liquidi perduti in seguito all'emorragia. Addirittura in questo tipo di emergenze da shock emorragico è più importante dare la precedenza alla somministrazione di liquidi rispetto a quella di globuli rossi al fine di migliorare i sintomi legati alla perdita acuta di sangue. A volte l'emergenza è tanto drammatica da richiedere la trasfusione urgentissima di sangue intero o di concentrati di globuli rossi di gruppo 0-Rh negativo senza le preliminari prove di compatibilità trasfusionale. Il sangue intero trova ancora indicazione nel ricambio totale del sangue dei neonati con problemi di incompatibilità materno-fetale. In tutti i casi in cui la terapia trasfusionale non rivesta carattere di estrema urgenza, ma può essere programmata, come è il caso delle anemie croniche per difetto di produzione di globuli rossi da parte del midollo osseo (v.) emopoietico (anemie mediterranee, aplasie midollari, malattie neoplastiche ecc.) o da eccessiva perdita o distruzione di globuli rossi (anemie da emorragie croniche, anemie emolitiche), è specificamente indicato il ricorso al trattamento sostitutivo con globuli rossi concentrati: in tutte queste patologie, infatti, la sintomatologia legata all'anemia (pallore cutaneo e delle mucose, facile stancabilità, cardiopalmo, affanno dopo sforzi anche lievi ecc.) può essere rapidamente corretta soltanto con l'apporto trasfusionale. Invece, in tutti i casi di anemia moderata o anche di media entità ma ben tollerata dal paziente, in cui lo stato anemico può essere corretto con il trattamento specifico per la malattia di base (somministrazione di ferro nelle anemie da carenza di questo elemento, somministrazione di vitamina B₁₂ o acido folico nelle rispettive anemie carenziali), è controindicato l'intervento trasfusionale. I globuli rossi prelevati con i moderni sistemi di sacche in plastica, come accennato, possono essere conservati a temperatura di + 4 °C, con aggiunta di soluzione conservativa, per circa 35 giorni, ma la facilità con cui è oggi possibile congelarli (potendoli così utilizzare anche dopo anni dal prelievo dal donatore) ha contribuito a risolvere i problemi legati alla carenza di sangue. Può infatti costituirsi in questo modo una vera banca di globuli rossi congelati cui ricorrere in caso di urgenti richieste trasfusionali, in coincidenza di emergenze stagionali, disastri, trapianti o richieste di sangue di gruppo raro ecc.
La trasfusione di piastrine è indicata in caso di importante riduzione delle piastrine circolanti (piastrinopenia) o di alterazioni della loro funzionalità (piastrinopatia), accompagnate da gravi manifestazioni emorragiche. La terapia con concentrati piastrinici, ottenuti da donatore per separazione dal sangue intero prelevato in sacche multiple o mediante uso di separatore cellulare, ha ridotto notevolmente le morti dovute a emorragie gravi (soprattutto cerebrali) in pazienti con deficit piastrinici conseguenti a leucemie e linfomi, chemioterapia o radioterapia. Oltre all'impiego delle piastrine in corso di eventi emorragici di particolare gravità, i concentrati possono essere somministrati prima che le emorragie si manifestino in pazienti a rischio, quando il numero di piastrine circolanti nel sangue risulti inferiore alle 20.000 U/l, caso frequente specie in corso di malattie neoplastiche del sangue (leucemie), in conseguenza delle pesanti chemioterapie applicate nella cura di queste affezioni. Anzi, proprio l'impiego delle piastrine durante queste fasi di grave compromissione della produzione midollare di tali elementi, indotta dalla chemioterapia, ha consentito di ottenere risultati terapeutici più significativi nella lotta alle leucemie, grazie alla possibilità di ricorrere ad associazioni chemioterapiche più aggressive con ridotto rischio di complicanze emorragiche gravi, causa di elevate percentuali di decessi prima dell'avvento di questa insostituibile terapia di supporto. Uno dei maggiori problemi conseguenti alla terapia trasfusionale con piastrine è rappresentato dalla comparsa di anticorpi sviluppati dal ricevente contro antigeni del sistema di istocompatibilità dell'uomo (HLA, Human leukocyte antigen), espressi dai linfociti del donatore presenti nel concentrato piastrinico: i pazienti così immunizzati diventano non rispondenti alle successive trasfusioni, almeno fintanto che non vengano somministrate piastrine ricavate da donatori HLA-compatibili con il paziente ricevente. Ciò è facilmente realizzabile ricorrendo alla piastrinaferesi (tecnica di separazione selettiva, dal sangue intero, delle piastrine) mediante separatore cellulare di piastrine da un unico donatore HLA-compatibile; tale tecnica consente non soltanto un risparmio di donatori, ma anche una maggiore efficacia terapeutica accanto a minore rischio di immunizzazione del ricevente e di trasmissione di agenti virali. Perché la terapia risulti efficace nell'arrestare o prevenire le manifestazioni emorragiche, è necessario dare grande importanza alla qualità del concentrato piastrinico, ottenuto con le differenti metodiche e conservabile, in agitazione continua, fino al momento della sua trasfusione al paziente, tenendo conto che il massimo di attività antiemorragica è fornito dal concentrato piastrinico entro 48 ore dalla preparazione. Il controllo di efficacia post-trasfusionale può basarsi su parametri di carattere biologico (calcolo dell'incremento piastrinico dopo trasfusione, correzione del tempo di emorragia nel ricevente, sopravvivenza in circolo delle piastrine trasfuse); tuttavia l'elemento di maggiore interesse per la valutazione è rappresentato dal rilievo clinico della riduzione o dell'arresto della sindrome emorragica. È opportuno sottolineare che in presenza di fattori quali febbre settica, splenomegalia, pregressa isoimmunizzazione antipiastrinica, coagulazione intravascolare disseminata (CID), la quantità e i ritmi di somministrazione dei concentrati dovranno essere incrementati per ottenere un risultato efficace; altri elementi di guida alla quantità di piastrine da trasfondere e alla frequenza delle somministrazioni sono costituiti dalla gravità delle manifestazioni emorragiche, dalla sede dell'emorragia (le emorragie a maggiore rischio vitale sono quelle cerebrali), nonché dalla validità della risposta terapeutica. Nei casi di manifesta e imponente sindrome emorragica da piastrinopenia il ricorso all'uso dei concentrati piastrinici è intervento necessario, mentre diverso è l'approccio terapeutico in caso di prevenzione delle emorragie nel paziente con piastrinopenia. La terapia preventiva va sempre effettuata nei pazienti con piastrine circolanti inferiori a 50.000 U/l per la preparazione a interventi chirurgici o in caso di manovre diagnostiche invasive (puntura lombare, biopsia ossea, inserimento di cateteri ecc.); è da evitare, invece, il ricorso all'impiego dei concentrati in tutti i casi con piastrinopenia cronica anche se a rischio emorragico (spesso con valori di piastrine circolanti inferiori a 20.000 o addirittura a 10.000 U/l), in quanto il processo di isoimmunizzazione che si determinerebbe in seguito a somministrazioni ripetute renderebbe difficile la terapia con concentrati piastrinici in caso di emergenze di ordine emorragico. Tuttavia, il campo più ampio di applicazione delle trasfusioni piastriniche a scopo preventivo è quello dei pazienti con emopatie acute soprattutto neoplastiche (leucemie acute), nei quali il trattamento preventivo si rende obbligatorio quando la piastrinemia scende sotto il livello delle 10-15.000 U/l, indipendentemente dalla presenza di manifestazioni emorragiche.
Poiché la trasfusione di plasma non è del tutto esente dal rischio di trasmissione di malattie soprattutto virali, quali le epatiti B e C (v. epatite) e l'infezione da virus dell'immunodeficienza acquisita (HIV, Human immunodeficiency virus; v. aids), o dalla comparsa di complicanze di tipo allergico anche di particolare gravità (crisi anafilattiche in soggetti con deficit di immunoglobuline IgA), è necessario che a tale terapia di supporto si ricorra in mancanza di alternative più efficaci, facendo comunque continuo riferimento a quelle che vengono universalmente definite le corrette indicazioni alla trasfusione di plasma fresco. Queste indicazioni riguardano l'uso del plasma nei pazienti con difetti congeniti o acquisiti dei fattori della coagulazione (fattore VIII, IX, II, V, X; v. coagulazione), quando non sia possibile il ricorso all'uso dei concentrati specifici. Altra condizione è rappresentata dai pazienti con CID o da quelli affetti da porpora trombotica trombocitopenica o, infine, nei casi di manifestazioni emorragiche da sovradosaggio di anticoagulanti orali. Anche la terapia con albumina deve essere effettuata seguendo precise indicazioni terapeutiche, evitandone la somministrazione nei casi di documentata inefficacia e inutilità (per es., a scopo nutritivo, nelle sindromi da malassorbimento con albuminemia superiore a 2,5 g/dl, per favorire la guarigione delle ferite, nelle ipoalbuminemie croniche da perdita o ridotta sintesi senza edemi). Al contrario, la terapia con albumina trova assoluta indicazione nelle gravi ipoalbuminemie legate a cirrosi epatica, nei pazienti con gravi emorragie e documentata riduzione della pressione oncotica con anasarca e/o ipotensione acuta legate alla ipoalbuminemia. Può inoltre essere utilizzata nelle condizioni di emergenza (per es., ustioni estese, pancreatiti, shock traumatico, gravi emorragie ecc.) come plasmaexpander nei pazienti non trattabili con soluzioni colloidi o cristalloidi artificiali. Trova infine largo impiego come liquido di rimpiazzo nei soggetti da sottoporre a plasmaferesi o citoaferesi produttive o terapeutiche.
La trasfusione di sangue o di emocomponenti può essere seguita da complicanze di tipo immunologico (mediate da anticorpi diretti contro globuli rossi, globuli bianchi o piastrine del ricevente) o da reazioni non immunitarie (trasmissione di agenti infettivi). Tra le prime, vanno ricordate le reazioni emolitiche, caratterizzate da distruzione dei globuli rossi trasfusi da parte di anticorpi antieritrocitari, come può verificarsi in caso di incompatibilità nell'ambito del sistema AB0 per errata identificazione del sangue del paziente da trasfondere. La trasfusione incompatibile può anche essere causa di decesso per insufficienza renale acuta e shock irreversibile. Molte reazioni febbrili post-trasfusionali sono dovute alla distruzione di leucociti e piastrine, mediata da anticorpi; queste manifestazioni possono essere prevenute ricorrendo a trasfusioni prive di leucociti. Altre reazioni più banali (reazioni cutanee allergiche a tipo orticaria) non sono infrequenti, ma possono essere facilmente dominate dalla somministrazione di antistaminici. Molte malattie, spesso gravi e a volte mortali, possono essere causate dalla trasmissione, con la trasfusione di sangue, di agenti infettivi come virus, batteri o Protozoi. Sebbene le donazioni di sangue siano sottoposte per legge a tutta una serie di indagini (per il virus delle epatiti B e C, virus dell'infezione da HIV, sifilide, transaminasi), la prolungata persistenza in circolo di tali agenti (soggetti portatori asintomatici), i lunghi periodi di incubazione delle patologie associate a tali agenti, la possibilità di causare infezioni asintomatiche (virus epatite C) e altri fattori impediscono di eliminare completamente il rischio di patologie trasfusione-trasmesse. In linea del tutto ideale, ogni donazione di sangue dovrebbe essere sottoposta a tutte quelle indagini capaci di evidenziare ogni possibile agente responsabile di patologie infettive. Nella pratica clinica i test eseguiti sulle donazioni risultano validi nell'identificare gli agenti infettivi, responsabili delle patologie più gravi nei pazienti trasfusi. Purtroppo, la maggior parte di questi test non individua tutti i donatori potenzialmente infetti. Tale rischio potenziale può essere notevolmente ridotto, eseguendo un'accurata selezione del donatore di sangue. Il ricorso a donatori volontari periodici e la loro stretta sorveglianza attraverso indagini di laboratorio sempre più efficaci hanno ridotto fino quasi ad annullarlo il rischio di trasmissione del virus dell'epatite B, mentre rimane un serio problema sanitario quello dell'epatite C post-trasfusionale per la possibile progressione verso forme di malattia epatica cronica dei pazienti infettati da tale virus. Anche il virus HIV, agente implicato nell'AIDS, può essere trasmesso con la trasfusione di sangue: si calcola che l'attuale rischio di infezione (seppure fortemente ridotto per i criteri sopra esposti) sia stimabile in circa 1 caso ogni 250.000 unità di sangue trasfuse. Come accennato, l'avere individuato l'HIV quale responsabile di infezione attraverso la trasfusione di sangue ha contribuito al notevole impulso dato alla ricerca nel settore delle malattie trasmissibili per trasfusione, favorendo non soltanto l'individuazione di test sierologici sempre più sensibili nell'identificare donatori potenzialmente infettanti, ma anche lo sviluppo in medicina trasfusionale di tecniche alternative alla trasfusione di sangue da donatore (autotrasfusione, recupero intraoperatorio), fino a prevedere applicazioni future nell'uomo di sangue artificiale, attualmente in avanzata fase di studio.
bibl.: b. genetet, g. andreu, j.m. bidet, La terapia trasfusionale nella pratica, ed. it. a cura di G. Isacchi, Roma, Delfino, 1989; f. mandelli, Ematologia: fisiopatologia clinica, terapia, Roma, Delfino, 1984, 19912; p.l. mollison, c.p. engelfriet, m. contreras, Blood transfusion in clinical medicine, Oxford, Blackwell, 199710; Principles of transfusion medicine, ed. E.C. Rossi et al., Baltimore, Williams and Wilkins, 1991, 19962.